CULTURA

Cronaca di una avventura pedagogica

“Bambini e ragazzi sono assai sensibili di fronte all’energia e alla convinzione che gli adulti mettono in ciò che fanno e ne traggono le debite conseguenze”. Ci sono maestri speciali, insegnanti ‘eroici’ che si può avere la fortuna di incontrare a scuola o tra le pagine di un libro. È il caso di Franco Lorenzoni, romano, classe 1953, co-fondatore, nel 1980, della casa-laboratorio di Cenci, luogo di ricerca educativa e artistica nella campagna di Amelia, e, soprattutto, maestro elementare a Giove, paesino umbro in provincia di Terni, che porta il nome di un pianeta e di un dio e non conta neppure duemila abitanti. Lorenzoni ha raccontato la sua avventura pedagogica, lasciando al lettore indicazioni concrete per un insegnamento innovativo. “Ho desiderato raccontare un anno di vita di una quinta elementare del piccolo paese dove insegno – spiega - perché ascoltando nascere giorno dopo giorno parole ed emozioni, ragionamenti, ipotesi e domande, che emergevano dalla voci delle bambine e dei bambini con cui ho lavorato per cinque anni, ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a scoperte preziose, che ci aiutano ad andare verso la sostanza delle cose e verso l’origine più remota del nostro pensare il mondo”.

Ci sono maestri speciali, dicevamo. E letture illuminanti, che di quei maestri e dei loro alunni raccontano la storia. Nel libro I bambini pensano grande. Cronaca di una avventura pedagogica (Sellerio), che è il diario appassionato di un anno di scuola, Lorenzoni racconta la sua esperienza in classe, con i suoi bambini. Regalando stimoli e idee, favorendo la riflessione, indicando la strada. “I bambini della scuola elementare incontrano per la prima volta la storia, le scienze, l’arte e il pensiero che pensa se stesso – si legge - Cominciano a esplorare in modo diverso e più strutturato la matematica e la lingua che praticano da quando sono nati. Come far sì che questi incontri si presentino a loro conservando il sapore di scoperte che hanno trasformato la percezione umana del mondo?”.

Così il maestro di Giove fa tesoro delle lezioni, più o meno lontane nel tempo, di Pitagora o Raffaello, di Fellini e Grotowski, e sfrutta appieno la preziosa eredità di insegnanti-guida, come Emma Castelnuovo, didatta della matematica, “che non si stancava di ripetere che bisogna dare ai ragazzi il tempo di perdere tempo”; o Nora Giacobini - insegnante di storia che, nell’Italia degli anni Sessanta, fondò il Movimento di cooperazione educativa -, presa a modello per tracciare il profilo del buon maestro, ovvero colui che fornisce “elementi, idee, percorsi e collegamenti perché bambini e ragazzi possano entrare dentro alle vicende, ciascuno a modo suo”, e analizzando in profondità questioni pedagogiche come quelle messe in campo da Guido Armellini sulla differenza tra domande legittime e domande illegittime (rispettivamente quelle di cui non si sa la risposta e quelle che si formulano solo “per controllare se chi è interrogato sa dire quello che tu già sai”). Non vengono fornite soluzioni da manuale, ma vengono messe al centro l’esperienza, la vivacità della ricerca condivisa, l’importanza del confronto e la necessità di “sostare, approfondire e andare alla radice. Unire il difficile al divertente. Coltivare qualcosa che appartiene a tutti noi e, insieme, sapere anche volare leggeri e imparare senza accorgercene”, per usare le parole dei suoi bambini. Lavorare in gruppo, vivere appieno gli spazi, stimolare il dialogo, in cui sta l’essenza di ogni pratica educativa. “Rimango sempre stupito quando assisto alla meraviglia del nascere di un pensiero – spiega Lorenzoni nel libro - Penso che il bello, nel dialogare, stia proprio nella tensione di ciascuno a cercare di chiarirsi un’idea tramite parole che nascono in un gioco di reciproco ascolto e di scambio che, quando s’innesca, sembra non avere fine”.

Tra i tanti spunti e concetti su cui soffermarsi, ce n’è uno fortissimo: quello che introduce l’esigenza di educare alla vulnerabilità. “La mia sensazione è che tutto ciò può cominciare ad accadere quando sperimentiamo la nostra vulnerabilità. Quando accettiamo di essere colpiti e feriti da qualcosa che incontriamo. Quando si rompe la nostra indifferenza”. E così, Lorenzoni dimostra di non aver paura nell’affrontare anche temi difficili, spesso dolorosi. Dalla perdita all’esclusione che provocano sofferenza. Parla della vita e della gioia, non nasconde la morte e il lutto. E’ un insegnante coraggioso, che non esita a strappare le pagine di un catalogo d’arte per consegnare i fogli ai suoi ragazzi e favorire il contatto con le opere in vista di una gita alla collezione Guggenheim di Venezia, perché “non conta il libro, che non è mai sacro, ma il gesto di farlo tuo e, ancora di più, il gesto di condividerlo”. Non rinuncia al ritmo, alla musica, al canto, intesi come territori di sperimentazione e, ai suoi alunni, per aprire la giornata, propone canzoni dall’Africa, dei nativi d’America o dei nomadi tzigani, regalando “una sorta di buongiorno che fa sentire a tutti lo stato di salute e di coesione del gruppo, in un’azione che si fonda sullo scambio generoso di energia e di allegria”. E ancora, riconsegna dignità e valore allo scarabocchio - perché “quando un bambino scarabocchia, se gli stai accanto e ascolti ciò che dice, quasi sempre narra una storia” – e ritrova nel teatro, praticandolo con i suoi alunni, “il terreno della comicità, del gioco e a volte anche delle piccole e grandi crudeltà di cui sono capaci i bambini”.

Per chiudere, ripartiamo dall’inizio. Dalla frase semplice e al tempo stesso folgorante con cui Lorenzoni apre il libro. Da una verità, una considerazione che dovrebbe aiutare a ricollegarci con le sorprendenti risorse e il senso profondo delle domande (troppo spesso inascoltate) dei bambini: “I pensieri infantili sono sottili. A volte sono così affilati da penetrare nei territori più impervi arrivando a cogliere, in un istante, l'essenza di cose e relazioni. Ma sono fragili e volatili, si perdono già nel loro farsi e non tornano indietro. Così alla maggior parte delle bambine e dei bambini non è concesso il diritto di riconoscere la qualità dei propri pensieri e rendersi conto della loro profondità”.

Francesca Boccaletto

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