SOCIETÀ

Diritti umani e Occidente: amore a corrente alternata

Pochi concetti sono distanti dalla percezione comune quanto quello di “diritti umani”. Ne abbiamo una rappresentazione istintiva, che ci fa pensare a qualcosa di acquisito da sempre, immutabile: invece è una nozione infinitamente più complessa e problematica. Le contraddizioni e l’evoluzione nell’idea di diritti umani sono state al centro della lezione di Hans Joas, noto sociologo della religione, docente all’Università Humboldt di Berlino. Joas, intervenuto a Padova al ciclo “Segnavie”, ha chiarito come le controversie tra studiosi si spingano fino a discutere del “certificato di nascita” di questo concetto. Quando inizia ad affermarsi un comune sentire in proposito? Le interpretazioni sono distantissime. C’è chi ne teorizza un emergere molto recente, che coinciderebbe con la Dichiarazione Universale di Parigi del 1948 o addirittura si spingerebbe alla Dichiarazione di Helsinki del 1975 o alle politiche del presidente Usa Jimmy Carter avviate nella seconda metà dello stesso decennio. Altri, secondo una prospettiva opposta, ritengono che la storia dei diritti umani sia parallela allo sviluppo delle religioni monoteiste, della filosofia, dell’illuminismo o altri momenti di svolta nella vita spirituale o del pensiero collettiva, come la riforma protestante o la diffusione del confucianesimo. C’è poi una corrente che identifica il sorgere della concezione di diritti umani con la loro prima codificazione. Le teorie sono molte, chiarisce Joas, ma è difficile sposarne una in toto: per esempio, per il sociologo è difficile concordare, in tema di diritti umani, su una funzione progressiva tout court dell’illuminismo, termine che conterrebbe, secondo Joas, un’eccessiva carica antireligiosa; si rischierebbe di tralasciare tutte le posizioni filosofiche dell’epoca le quali, pur essendo parte dello stesso contesto storico-culturale, non possedevano alcuno spirito polemico nei confronti delle diverse confessioni.

Se c’è un largo consenso sull’importanza, nell’affermazione dei diritti umani, di tappe come l’abolizione della tortura o della schiavitù, Joas sottolinea come anche questi processi non siano stati immuni da fortissime incongruenze: l’eliminazione della schiavitù nei Paesi europei non si è accompagnata, ricorda lo studioso, a un’abolizione contestuale della pratica nelle loro colonie. Allo stesso modo, secondo Joas, non si può dimenticare che Thomas Jefferson, il padre del “tutti gli uomini sono creati uguali”, era proprietario di centinaia di schiavi. Difficile quindi teorizzare (riprendendo il titolo scelto per la lezione) che i diritti umani siano una prerogativa, o addirittura un’esclusiva dell’Occidente. È invece corretto attribuirne ai Paesi occidentali la primogenitura della codificazione nazionale: se Francia e Stati Uniti possono legittimamente considerarsi le patrie delle prime dichiarazioni di Stati sovrani sui diritti umani, la situazione torna problematica se passiamo da un’ottica nazionale a una transnazionale. Siamo sicuri, si chiede Joas, che atti come la dichiarazione Onu del 1948 siano ispirati principalmente, se non in toto, dalle nazioni occidentali? Il sociologo nega decisamente questo assunto, ricordando il ruolo fondamentale che, nella preparazione del documento, fu svolto da personalità di altre aree geografiche e culturali.

Alla lezione squisitamente teorica di Jonas è seguito un suo faccia a faccia con il filosofo Paolo Costa, della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Il dialogo si è spostato su temi di attualità: Joas ha respinto qualunque possibile intreccio diretto tra religione e violenza. Parlare genericamente di “religione” come matrice di violenza sarebbe inaccettabile quanto strumentalizzare il concetto di “secolarismo”, anch’esso suscettibile, per Jonas, di essere utilizzato a pretesto di repressione e violenza, come in Unione Sovietica. Ma Joas non ha rinunciato ad andare nel dettaglio, respingendo ogni specifico addebito all’Islam in quanto tale: di fronte ad azioni violente apparentemente ispirate a visioni islamiste, ha spiegato, si rinuncia ad approfondire le reali radici della contrapposizione, che per Joas vanno ricercate nelle singole culture di provenienza e non nella religione. Culture che comunque, in generale, vanno rispettate: sul tema dei migranti Joas ha rivendicato il diritto di chi arriva in un Paese straniero a non doversi necessariamente conformare ai valori tradizionali degli ospitanti. Una cosa, per Joas, è il rispetto delle leggi nazionali, che è inderogabile; altra cosa il poter mantenere una differente visione del mondo e non sentirsi costretti ad abbracciare quella del Paese di accoglienza.

Joas ha anche tracciato un parallelo tra la prima rivoluzione industriale e la globalizzazione attuale: se è innegabile che il progresso economico comporti, in qualche misura, una maggiore consapevolezza in termini di diritti umani, è possibile immaginare che oggi sorga una sempre maggiore coscienza dei costi umani connessi alla fase economica che stiamo vivendo. Se nel Settecento si è cominciato a dibattere sulla disumanità del lavoro nelle colonie, spiega Joas, è sperabile che oggi nessuno rinunci a chiedersi quali siano le condizioni dei lavoratori, nella fabbrica che ha prodotto il nostro smartphone.

Martino Periti

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