SOCIETÀ

Elezioni: i primi sconfitti sono i sondaggi

Dal Brexit alle elezioni spagnole per ora ci sono solo degli sconfitti sicuri: i sondaggi. Nel primo caso, dopo il brutale assassinio della parlamentare pro-Ue Jo Cox, si dava ormai per certa la volontà dei britannici di rimanere sotto l’egida di Bruxelles, mentre nel secondo veniva pronosticato con una certa sicurezza il sorpasso (in italiano nei giornali iberici) di Podemos nei confronti dei socialisti.

Le cose alla fine sono andate in maniera molto diversa, dando fiato a quanti negli ultimi anni esprimono sempre più dubbi sulla validità di questi strumenti. In realtà si tratta di un percorso che arriva da lontano e che in Italia conosciamo da tempo (basti pensare alle elezioni politiche del 2013). Ma cosa valgono oggi i sondaggi? Lo abbiamo chiesto a Luigi Fabbris, docente di statistica all’università di Padova e tra i pionieri in Italia in questo campo. Insomma, la persona giusta a cui chiedere cosa sta capitando ai sondaggisti di mezzo mondo.

“Con il Brexit ad esempio - spiega Fabbris - hanno toppato alla grande, si sono fatti influenzare dall’onda emotiva seguita all’assassinio della Cox e hanno creduto senza riflettere a quello che diceva la gente”. Perché, come avrebbero dovuto comportarsi? “Dovevano capire subito che non era possibile che in un solo giorno potesse cambiare idea addirittura il 5% dell’elettorato, una cosa mai successa. Tanto è vero che alla fine il risultato è stato lo stesso di quello rilevato il giorno prima dell’attentato”. E la colpa, secondo il docente, è anche dei giornalisti: “Avrebbero dovuto rendersi conto anche loro che un cambiamento così repentino non era possibile”.

Ma perché la gente dovrebbe mentire ai sondaggisti? Le ragioni sono molteplici: “Oggi più che mai le opinioni politiche sono considerate argomenti intimi, il voto non esprime più un’appartenenza ma piuttosto un’opinione personale. Ma lo sa che oggi oltre l’80% delle persone non risponde alle domande sulle intenzioni di voto?” Veramente no... “Queste cose non si dicono perché allora nessuno ricorrerebbe ai sondaggi”. Una tendenza che per la verità non si applica solamente alla politica: “Pensi che oggi è più facile far parlare le persone sulla loro vita sessuale che, ad esempio, sui loro rapporti con la fede”. E perché?  “Perché ci sono da sempre dei temi maggiormente soggetti a riprovazione morale”. E si torna ai giornalisti: “In generale le persone sono restie ad esprimere posizioni ‘perseguitate’ dai media”.

In pratica una parte considerevole dell’elettorato britannico avrebbe dato una risposta falsa per non essere associata, nemmeno dall’anonimo intervistatore, a Thomas Mair, il nazista di 52 anni autore dell’omicidio. Ma allora ci si può ancora fidare delle rilevazioni di opinione? “I sondaggi possono ancora essere uno strumento utile, a patto di rivolgersi a chi li sa veramente fare. Non basta mettere il dito nell’acqua per vedere temperatura: partendo dal presupposto che solo una minima parte del campione risponde o risponde sinceramente, bisogna riuscire ad usare l’arte e le proprie capacità di interpretazione”. Insomma l’analisi non può limitarsi a registrare i numeri, i dati vanno ‘pesati’: “Basti pensare che quando abbiamo iniziato con i primi exit poll, nel 1976, il 64% degli elettori metteva il proprio voto nell’urna trasparente all’uscita del seggio. Adesso saranno meno del 30%. Bisogna inoltre considerare tanti fattori: ad esempio solo la metà delle donne dichiara il proprio voto rispetto gli uomini”. E anche le dichiarazioni a ridosso delle tornate elettorali vanno attentamente valutate: “Pensi che in Italia circa il 14% dell’elettorato decide chi votare durante il tragitto da casa al seggio: come un partito di media grandezza”.

Come riconoscere quindi i sondaggisti bravi? “Sono quelli che sono capaci anche di andare contro corrente, senza sensazionalismi”. Insomma, in un’epoca in cui il controllo sulle nostre abitudini è sempre più pervasivo, anche a causa della rete, anche non riferire le proprie opinioni può essere un atto di ribellione a quella che Edward L. Bernays (pubblicitario americano considerato uno dei primi comunicatori moderni o spin doctor) chiamava l’ingegneria del consenso. 

Daniele Mont D’Arpizio

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