SCIENZA E RICERCA

Energia rinnovabile, ora tocca alle onde

Uno scafo, simile a un guscio d’uovo, e un pendolo che oscilla al suo interno. Il moto relativo tra scafo e pendolo viene tradotto in energia elettrica da un generatore. Si tratta di Pewec (Pendulum Wave Energy Converter), la nuova tecnologia recentemente presentata da Enea per ottenere energia dalle onde del mare. Un progetto condotto in collaborazione con il politecnico di Torino nell’ambito di un accordo di programma con il ministero dello Sviluppo economico sulla ricerca di sistema elettrico. Una delle ultime proposte in ordine di tempo nel settore, tra le numerose al vaglio in Italia e all’estero.

“Mi occupo di energia da moto ondoso dal 1999 – esordisce Luca Martinelli del dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale dell’università di Padova, con larga esperienza nel campo delle costruzioni marittime – Ero in Danimarca e lavoravo a uno dei primi dispositivi galleggianti, Wave Dragon. Dopo i tentativi compiuti a metà degli anni Settanta, è infatti solo intorno al Duemila che si riprende il concetto di energia rinnovabile da moto ondoso”. Di preciso era il 1974, in risposta alla crisi petrolifera, quando un gruppo di scienziati tra cui Stephen Salter dell’università di Edimburgo in Scozia, prese in considerazione la possibilità di generare energia dalle onde dell’oceano. Lo studio portò a un dispositivo, noto con il nome di Salter Duck, che ottenne alte rese su piccola scala, ma che incontrò difficoltà quando fu portato in mare aperto. Le indagini tuttavia non poterono proseguire poiché, quando negli anni Ottanta il prezzo del petrolio diminuì, furono tagliati i finanziamenti alla ricerca scientifica nel settore. 

Fino a quel momento tuttavia qualcosa era stato fatto. Venivano proposti dispositivi da collocare lungo le rive, anche se la soluzione si rivelava poco idonea per l’impatto visivo e acustico che ne derivava. Senza contare che le coste non potevano essere utilizzate a fini turistici. Questa la ragione per cui, quando si riprese a lavorare nel campo delle rinnovabili da moto ondoso, si abbandonò questo tipo di approccio, preferendo sistemi galleggianti da mettere al largo.  

Parlando dell’Italia Martinelli fa qualche precisazione. “Le onde del mare hanno tantissima energia, ma la maggior parte è presente negli oceani. Nei nostri mari ne esiste molta di meno, le onde sono piccole”. Al punto che, se venissero collocati dei dispositivi lungo tutte le coste della penisola, non si supererebbe il 3-4% del fabbisogno nazionale. Al contrario se gli stessi dispositivi fossero situati lungo le coste atlantiche, dunque lungo il Portogallo, la Spagna, la Francia fino all’Inghilterra, potrebbero fornire energia a tutta Europa. “Ciò significa che parlare di energia da moto ondoso ha senso a livello europeo, ma potrebbe non risultare così vincente in Italia”. Eppure i mari italiani un vantaggio ce l’hanno. “Attualmente – spiega Martinelli – non esiste un sistema in grado di resistere alle onde dell’oceano Atlantico. Paradossalmente, dunque, i nostri mari potrebbero rappresentare il luogo adatto in cui sviluppare la tecnologia per poi esportarla negli oceani”. 

Oggi gli impianti sono tutti in fase dimostrativa, per sperimentarne la tecnologia e valutarne i costi. Alcuni sono stati messi in commercio, ma non hanno retto. Si sono rotti o sono stati spiaggiati, perché messi sul mercato troppo presto. All’estero uno dei dispositivi che raccoglie maggior consenso è Weptos, che riprende per certi versi alcuni principi su cui si basava Salter Duck. In Italia, oltre a Enea, altri si stanno impegnando in questa direzione. A Padova ad esempio si sta lavorando a Slow Wed, un progetto nuovo da considerarsi un aggiornamento del sistema Giant, progettato da Manlio Boito e Dino Peterle. Nel 2011 un piccolo prototipo è stato installato a San Basilio nel canale della Giudecca dal Comune di Venezia, tramite l’Agenzia veneziana per l’energia (Agire). 

Ancora, al politecnico di Torino un gruppo di ricerca coordinato da Giuliana Mattiazzo ha progettato Iswec, un generatore di energia da moto ondoso che è entrato in mare la settimana scorsa e sarà  trasferito a Pantelleria il 7 agosto per la sperimentazione. Da qui al 2018 si prevede la realizzazione di ulteriori impianti anche in Sardegna, in Marocco e alle Baleari. All’università di Reggio Calabria invece è stato ideato Rewec, ad opera del team di Paolo Boccotti. Si tratta, nello specifico, di un dispositivo che viene installato nei porti. Al momento un prototipo è stato costruito al porto di Civitavecchia, mentre altri due impianti sono previsti a Marina di Cicerone (Formia) e al porto commerciale di Salerno: nel primo caso il progetto è stato approvato, nel secondo già appaltato.

“L’energia da moto ondoso – osserva Martinelli – non è contemporanea alle altre forme di energia rinnovabile, come quella che deriva dal sole o dal vento (sebbene esista certamente una correlazione tra onde e vento). E questo costituisce un vantaggio, perché tutte le risorse diventano complementari e non si rende necessario l’accumulo, che genera spesa”. Certo i costi sono ancora elevati e molto dipende dal fatto che la tecnologia è ancora in fase di sviluppo, ma tentando delle ipotesi si suppone che tra cinque, dieci anni possano arrivare sul mercato i primi dispositivi che producono energia rinnovabile dalle onde del mare. Forse non saranno ancora convenienti, specifica il docente, ma saranno disponibili. Sarà necessario più tempo invece, circa una ventina d’anni, per realizzare una vera e propria rete basata sull’energia da moto ondoso. 

Secondo la Commissione europea si tratta di una risorsa che non solo potrebbe aiutare a ridurre la presenza di gas serra nell’atmosfera, obiettivo che ci si è preposti, ma potrebbe anche favorire la crescita economica con la creazione di nuovi posti di lavoro. Tra i 10.500 e i 26.500 nuovi posti di lavoro permanenti e fino a 14.000 temporanei entro il 2035, soprattutto nelle zone costiere dell’Atlantico. Per questo la Commissione oltre a sostenere programmi di finanziamento alla ricerca, che permettano di testare i molti dispositivi progettati ogni anno, ha anche proposto un piano d’azione per sostenere questo settore emergente, articolato in due fasi. Dopo la creazione di un forum sull’energia oceanica (2014-2016), si prevede infatti la possibilità di avviare un’iniziativa industriale europea (2017-2020), un partenariato pubblico-privato che riunisca “l’industria, i ricercatori, gli Stati membri e la Commissione per definire e realizzare obiettivi chiari e condivisi nell’arco di un periodo specifico”. 

Il lavoro che resta da fare è, evidentemente, ancora molto, sia sul fronte scientifico che politico, ma i risultati attesi sembrano promettenti.  

Monica Panetto

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