UNIVERSITÀ E SCUOLA

Erasmus: i liceali partono, i prof restano

Quanto è orientata a esperienze internazionali la scuola superiore italiana? Intercultura, l’associazione che dal 1955 promuove scambi e periodi formativi all’estero per gli studenti, dedica ogni anno un’indagine (realizzata da Ipsos) che valuta specifici aspetti dell’idoneità del nostro sistema scolastico ad avere rapporti proficui con quelli di altre nazioni, europee e non. Quest’anno l’attenzione si sposta sui professori, il perno (potenziale) del dispositivo che dovrebbe offrire ai ragazzi la consapevolezza, il desiderio e la concreta possibilità di svolgere un periodo scolastico in un Paese straniero. Le conclusioni dell’analisi sono piuttosto sconfortanti: i docenti delle superiori non sono, in larga parte, interessati a promuovere iniziative all’estero per i propri allievi né ad accettarne per sé; auspicherebbero, in astratto, una più fitta rete di contatti ed opportunità internazionali, ma non desiderano, in genere, farsene carico. Sostanzialmente diversa è l’opinione dei dirigenti scolastici, ottimisti sulla situazione e sulle prospettive dell’apertura internazionale dei propri istituti. Una percezione, quella degli insegnanti, che contrasta con l’evoluzione positiva in corso nelle scuole italiane: nel 2014 sono stati 7.300 gli studenti che hanno compiuto un periodo formativo all’estero con un programma di lunga durata. L’aumento rispetto all’ultima rilevazione (2011) è del 55%, mentre sono il 14% in più gli studenti stranieri che hanno trascorso parte dell’anno scolastico in Italia (in totale sono stati 3.200). Buona anche la progressione nel coinvolgimento delle scuole: l’anno scorso il 68% degli istituti ha aderito ad almeno un progetto internazionale, contro il 50% del 2011. Ma un aspetto rilevante è che i progetti sono rivolti in massima parte agli studenti, mentre i docenti ne sono toccati in misura residuale: nel 2014/2015 iniziative per i ragazzi sono state promosse dal 58% delle scuole, il 25% ha organizzato l’accoglienza di studenti stranieri, mentre le attività per i docenti hanno coinvolto appena il 18% degli istituti.

Il rapporto Intercultura divide i docenti in tre fasce: gli “internazionali” (che hanno trascorso periodi professionali all’estero pari in media a 9 mesi) sono solo il 18% del corpo docente; gli “aperti” (con esperienze all’estero pari in media a 4 mesi) sono il 22%; i “local” (mai stati all’estero per lavoro) sono, dunque, il 60%, ben più della metà degli insegnanti italiani. I docenti appaiono del tutto consapevoli delle caratteristiche poco cosmopolite dell’istruzione italiana: dovendo esprimere un voto da 1 a 10 sull’attitudine internazionale delle scuole, gli insegnanti indicano 5,1 contro un ben più rassicurante 7 assegnato dai dirigenti scolastici. Il divario tra categorie si conferma anche nella valutazione dei progressi compiuti: mentre il 62% dei presidi ritiene che negli ultimi due anni la propria scuola sia stata più aperta alle esperienze internazionali, condivide questa opinione solo il 28% degli insegnanti. 

La conoscenza delle lingue straniere appare ancora privilegio di una minoranza. I docenti che dichiarano una padronanza buona/ottima dell’inglese sono il 43%, dato che scende al 21% per il francese, al 9% per lo spagnolo, al 6% per il tedesco. Una lacuna di base collegata anche alla scarsa frequenza a corsi di aggiornamento: solo il 19% degli insegnanti dichiara di aver seguito, nel corso della carriera, almeno un corso di lingue organizzato dal proprio istituto. L’autovalutazione delle proprie capacità linguistiche è sostanzialmente confermata anche dalla percezione che ogni docente ha dell’uso delle lingue da parte dell’insieme dei colleghi: il 39% degli intervistati ritiene che la maggioranza padroneggi l’inglese, il 17% il francese, l’8% lo spagnolo, il 4% il tedesco.

A fronte di questa situazione, però, la maggioranza dei docenti non è per nulla disponibile a cambiare atteggiamento: secondo l’indagine, solo il 32% sarebbe disposto a compiere esperienze di insegnamento all’estero, e appena il 37% accetterebbe di frequentare corsi di lingue. Percentuali rispecchiate dall’opinione dei presidi, che ritengono fortemente interessato ad esperienze internazionali non più di un terzo dei docenti della propria scuola (una percentuale che decolla al 72% nel caso dei soli insegnanti di lingue straniere). Infine, nel giudizio degli stessi insegnanti nei confronti dei colleghi quasi la metà del corpo docente della propria scuola viene ritenuto scarsamente disponibile verso una formazione internazionale. Quanto al fattore età, è certamente rilevante ma non decisivo: i docenti “internazionali” o “aperti” della fascia fino ai 44 anni sono il 47%, contro il 38% nella fascia 45-54 anni e il 34% della fascia 55 anni o più. Una situazione che appare paradossale, se si pensa che, di fronte alla prospettiva che un proprio studente compia un’esperienza all’estero, il 61% dei professori gli consiglierebbe senza riserve di partire, per un semestre o per l’intero anno scolastico. 

Emerge, in sintesi, da parte dei docenti la consapevolezza dell’importanza di aprire le proprie scuole ai progetti all’estero; ma, al contempo, una netta chiusura a parteciparvi. I “colpevoli” di questa situazione? Docenti (52%) e presidi (41%) concordano nell’indicare come primo responsabile il Miur, che non finanzierebbe né promuoverebbe in modo adeguato i progetti internazionali. Molto migliore l’immagine dell’Unione Europea, ritenuta sia dai presidi che dai docenti il principale promotore degli scambi.

Divergenti, infine, gli sguardi sugli effetti della riforma “La buona scuola”: la maggiore autonomia per istituti e presidi è valutata come un possibile incentivo all’internazionalizzazione dal 73% dei dirigenti scolastici, ma solo dal 40% dei docenti. 

Martino Periti

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