SOCIETÀ

Il futuro del giornalismo? La pignoleria

 “Il nostro non è un paese per fact-checkers”: cosi tristemente dichiarava l'ucraina Margo Gontar,  del sito StopFake.org, partecipando al grande raduno che nella tarda primavera del 2014 ha visto “verificatori di fatti” provenienti da tutto il mondo confluire al Global Fact-Checking Summit organizzato presso la London School of Economics. Eppure, per quanto all'apparenza Kiev e dintorni siano poco ospitali nei confronti di chi fa le pulci a politici e giornalisti, una recentissima indagine condotta dal Reporters' Lab della Duke University registra che in Ucraina negli ultimi mesi è nato un nuovo spazio in rete, Vladometr, dedicato al fact-checking. Minuscolo (ma non troppo) segnale di una tendenza in crescita ovunque nel pianeta. 

Le cifre sono eloquenti: in base alla ricerca del Reporters' Lab, attualmente i siti che nel mondo ogni giorno setacciano notizie e dichiarazioni per controllarne l'attendibilità sono 64, ben 20 in più rispetto a un analogo studio eseguito a maggio dell'anno scorso, proprio in occasione dell'incontro londinese. E se si contano anche i siti la cui attività è circoscritta al periodo elettorale, il numero aumenta: complessivamente i fact-checkers erano 59 alla metà del 2014, sono oggi ben 89. 

Purtroppo in Italia, paese dove una costante verifica delle asserzioni e delle promesse sballate che ci piovono addosso ogni giorno sarebbe benedetta, la mappa del Reporters' Lab mette in evidenza solo tre siti, di cui due (Politicometro e Fact-checking, la verifica della notizia) inattivi. Oggi da noi resiste infatti solo Pagella politica (sottotitolo “Perché le bugie hanno le gambe corte”), messo in piedi da un gruppo di giovani, il cui curriculum – non certo a caso – è caratterizzato da lunghe e sostanziose esperienze di studio e di lavoro all'estero. Se il sito riuscirà a dare pane, oltre che lavoro, a questi “ragazzi” studiosi, che pendolano tra Parigi, Milano, Londra, Malta, Roma e Bruxelles, è da vedere, ma il pubblico del sito li ha già in certa misura premiati, dal momento che oltre cento lettori hanno aderito alla campagna di finanziamento dal basso lanciata dai coraggiosi fact-checkers nostrani, pronti ad affibbiare voti belli e brutti (dal semipositivo “C'eri quasi” fino all'ignominioso “Panzana pazzesca”, passando per “Pinocchio andante”) a politici e giornalisti "fantasiosi".

Caratteristica comune ai verificatori di fatti non solo italiani è infatti la verve, anche se il giornalista britannico Peter Cunliffe-Jones, inaugurando il summit londinese, ha dichiarato scherzosamente che “il raduno globale dei fact-checkers ha lo stesso fascino di un'assemblea mondiale dei contabili”. A non crederci per primo è del resto lo stesso Cunliffe-Jones, giornalista di lunghissimo corso e da due anni fondatore e coordinatore di AfricaCheck, osservatorio non-profit il cui lavoro di scavo si riverbera intorno ai media africani, così convinto dell'importanza del fact-checking, da definirlo una “affascinante e sempre più sviluppata articolazione del giornalismo, che grazie ad essa diventa sempre più forte”. 

Cunliffe-Jones e con lui Neil Brown, direttore e vicepresidente del “Tampa Bay Times”, al cui interno si annida il  PunditFact (vincitore del Pulitzer nel 2009 quando ancora si chiamava PolitiFact) o Bill Adair, ex PolitiFact, oggi Reporters' Lab, sono true believers, “veri credenti” in un giornalismo migliore. Un giornalismo a prova di rischi e minacce, come a Londra hanno testimoniato l'indiano Govindraj Ethiraj di FactChecker.in (“Sbagliamo un passo e il nostro ufficio va a fuoco”) o il macedone Bardhyl Jashari (“Ci auguriamo solo che il coraggio sia contagioso”). 

Ma i pericoli possono essere anche di taglio diverso. Dall'economista Paul Krugman è arrivata una critica che i fact-checkers non possono ignorare: “Vogliono apparire equilibrati ad ogni costo, ma così facendo rischiano di perdere la loro incisività”. Forse pensando a questo, nel suo intervento al summit della London School of Economics, Neil Brown ha voluto sottolineare che il desiderio di verità non deve diventare pignoleria fine a se stessa: 

“Non diventiamo un movimento di spulciatori a oltranza, non intralciamo l'oratoria politica quando è ispirata”.  

Peccato che, almeno nel pianeta Italia, l'oratoria politica ispirata si sia esaurita decenni fa e le “panzane pazzesche” circolino indisturbate. 

Maria Teresa Carbone

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