SOCIETÀ

George Orwell a Pechino

Sono passati quasi cinquant'anni da quando un giovanissimo Pier Luigi Aprà, vestendo i panni del maoista Camillo, scriveva sui muri di una città della Romagna La Cina è vicina in uno dei primi film di Marco Bellocchio. Ma a dispetto di quella stagione politica ormai remota e, più di recente, della globalizzazione, che ha riempito le nostre case e le nostre vite di oggetti “made in PRC”, la Cina resta incredibilmente distante, difficilmente comprensibile. Per quanto i media occidentali si sforzino di seguire passo passo quanto accade a Pechino e a Shanghai e nelle campagne sperdute di questo paese sterminato (il terzo più grande del mondo dopo Russia e Canada), molto sembra sfuggirci: le griglie interpretative che siamo soliti usare si rivelano spesso inutili, a volte addirittura fuorvianti.

Prendiamo il caso del “sistema dei crediti sociali”, di cui i giornali italiani hanno parlato finora molto poco, ma che da qualche mese fa colare ettolitri di inchiostro virtuale nei siti di lingua inglese. L'ultimo articolo su questo tema è uscito solo pochi giorni fa sulle pagine web della BBC: “Nella maggior parte dei paesi – scrive la giornalista Celia Hatton – l'esistenza di un sistema di credito non è particolarmente controversa. Le informazioni finanziarie sul passato vengono utilizzate per prevedere se le persone in futuro pagheranno la rata del mutuo o il conto della carta di credito. Ma la Cina porta questo concetto alcuni passi oltre. Il governo cinese sta mettendo in piedi un sistema onnipotente di “crediti sociali” concepito per valutare l'affidabilità di ogni singolo cittadino”.

Insomma, una sorta di elaborata pagella che mira a condizionare la vita di tutti i cinesi, volenti o nolenti. E difatti: “Paternalismo, sorveglianza, controllo sociale... è come se qualcuno avesse preso tutti i miei romanzi, li avesse miscelati, trasformandoli poi in pratica politica” ha commentato Cory Doctorow, scrittore di fantascienza, o più precisamente di fantathriller (tra gli altri Little Brother e Homeland, pubblicati in Italia da Multiplayer), che alla vicenda ha dedicato sul sito Boing Boing un articolo veemente e prodigo di informazioni: “Il tuo punteggio – scrive Doctorow – sarà generato non solo dalle tue attività, ma dalle attività delle persone che identifichi come amici sui social media. I tuoi punti verranno diminuiti se per esempio citi il  massacro di Tienanmen o rifletti sulla corruzione pubblica o compi azioni, come giocare ai videogame, da cui lo stato ti vuole 'dissuadere'”. 

In questi termini, non c'è da stupirsi che lo scrittore americano parli di “una tempesta perfetta dell'orrore”. Altri osservatori, però, si dimostrano più cauti, facendo notare che il sistema dei crediti sociali è ancora lontano dalla sua realizzazione (si prevede che andrà a regime nel 2020) e soprattutto, come rileva Marie-Ann Russon sull'International Business Times, che “il governo cinese non ha ancora chiarito in base a quali criteri sarà fatta la valutazione della sincerità dei cittadini”. 

Il fatto è che i particolari forniti da Doctorow e da altri frettolosi commentatori non si riferiscono al progetto governativo, finora avvolto nella nebbia di un documento reso pubblico un anno fa e nel quale si esaltano “i valori tradizionali” della “economia socialista di mercato” senza specificare in che modo verrà fatta trionfare “la cultura della sincerità”. No, il sistema a punti che in tanti hanno definito (non senza motivo) “orwelliano” in effetti esiste già in Cina, ma – lo mette bene in luce  Tech in Asia – è gestito e realizzato da due entità non governative: Tencent, che possiede tre tra i cinque social network più grandi del mondo (QQ, WeChat e QZone), e Alibaba, gigante dell'e-commerce, attraverso il suo sistema di valutazione Sesame Credit, che offre agevolazioni di vario tipo (per esempio un check in più rapido all'aeroporto di Pechino o la possibilità di noleggiare un'auto senza lasciare deposito) a chi accumula un maggior numero di crediti. 

Pare anzi che il governo cinese non veda di buon occhio queste iniziative e che l'idea del sistema a punti sia collegata a un tentativo di arginare il fenomeno o più precisamente di controllarlo meglio. Del resto, ancora Marie-Ann Russon fa notare che “il governo cinese ha sempre spiato l'attività online dei cittadini (non a caso Facebook e Twitter sono bandite nel paese) e dunque su questo versante non ci sono novità”, e che d'altra parte “Tencent e Alibaba, equivalenti cinesi di Google, cercano di manipolare gli utenti ai loro fini ed è improbabile che la situazione cambi in tempi brevi”.

In definitiva, visto da fuori e da lontano, se non è Orwell, poco ci manca. Ma da dentro, come sarà?

Maria Teresa Carbone

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