SOCIETÀ
Italia, la Repubblica dei margini
Foto: Antonio Zambardino/Contrasto
Chi è l’emarginato? Il povero, certo. Ma soprattutto chi non ha voce. Colui per varie ragioni – economiche, culturali e politiche – invece di osservare è osservato, descritto, non è insomma artefice del discorso su di se. È questa la definizione a cui attinge David Forgacs, italianista della New York University, nell’ultimo Margini d’Italia. L’esclusione sociale dall’Unità a oggi (Laterza 2015).
Il libro passa in rassegna luoghi e momenti fortemente simbolici della marginalità nell’Italia postunitaria: dalle periferie delle grandi città al passato coloniale, dalla “questione meridionale” ai manicomi, per finire con i cosiddetti campi nomadi, luoghi esemplari dell’esclusione sociale nella società di oggi. Tutti casi in cui l’individuazione di ciò che è eccentrico e deviante è servita di riflesso a fondare l’identità italiana. Pagina dopo pagina si compone una collezione di documenti scritti e fotografici che illustra i meccanismi attraverso i quali soprattutto intellettuali e industria culturale, in maniera spesso inconsapevole, individuano, rappresentano e in qualche modo creano la marginalità. Linguaggi e generi molto diversi, che spaziano dall’apparente freddezza scientifica, pieni di echi lombrosiani e zoliani, dei rapporti di inizio Novecento sulle condizioni igieniche dei quartieri popolari, fino alle accorate ed empatiche pagine di autori come Ignazio Silone o Carlo Levi.
Rappresentazioni che, pur nella loro evidente eterogeneità, contribuiscono tutte non di meno a costruire una separazione tra il noi e il loro. “Noi non siamo cristiani, non siamo uomini, – scrive ad esempio Levi in Cristo si è fermato ad Eboli, in un brano riportato da Forgacs – non siamo considerati come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che le bestie, i fruschi, i frusculicchi” (fruschi: spiriti e spiritelli nella tradizione locale). Anche nel caso in cui, come per i cafoni di Fontamara, si vuole dare voce alla popolazione usando anche alcuni accorgimenti (l’uso delle ripetizioni e di termini di uso dialettale), Forgacs rileva il prevalere sottotraccia del punto di vista dell’autore, con la sua origine sociale e i suoi schemi. Con il rischio di contribuire paradossalmente proprio allo stigma sociale che si dichiara di combattere. Un po’ come è avvenuto, sempre secondo lo studioso, per il sociologo statunitense Edward C. Banfield, che nel 1958 formula il fortunato concetto di familismo amorale. Un termine che nasce per descrivere, ma che da allora serve anche a catalogare, in maniera agevole e frettolosa, una serie di notizie che arriva dal Meridione italiano, spesso evitando il fastidio di cercare spiegazioni e cause più concrete.
Un discorso che sembra ripetersi anche oggi, ad esempio con la questione dei cosiddetti campi nomadi, oggetto dell’ultimo capitolo del volume: insediamenti apparsi nelle città del Nord Italia alla fine degli anni Sessanta e poi diffusisi su tutto il territorio nazionale. Secondo un censimento in Italia nel 2008 si contavano 167 campi, di cui 124 abusivi, per un totale di oltre 12.000 persone per lo più appartenenti di etnia rom e sinti, in massima parte provenienti dalla Romania e dall’ex Jugoslavia (molte delle quali non avevano mai avuto esperienza di nomadismo prima di venire in Italia). Una realtà dunque poco importante numericamente, ma che è assurta negli ultimi anni a un’esposizione incredibile quanto indesiderata. Le persone di lingua romanì, spesso accusate di costituire comunità chiuse e volutamente impermeabili nei confronti dei gagé (i non rom), costituiscono l’oggetto ideale per una l’individuazione e la rappresentazione della marginalità, soprattutto da un punto di vista mediatico.
Qualcosa di affine a quello che sta succedendo negli ultimi anni con i migranti e i profughi che negli ultimi anni sbarcano sulle nostri coste. Interi paesi e quartieri in tutto lo Stivale trovano improvvisamente solidarietà e unità nel tentativo di opporsi con tutti i mezzi all’insediamento dei nuovi ospiti. Come ad esempio sta avvenendo a Ormea, un paese da 1.700 anime del cuneese dove i cittadini si offrono addirittura di prendere in gestione un albergo pur di scongiurare il rischio che questo possa ospitare dei migranti. Proprio l’atteggiamento rispetto ai migranti è, secondo Forgacs, la spia dell’atteggiamento dell’Italia di oggi verso la marginalità sociale, ove l’esclusione serve a fondare l’inclusione, e definire gli altri (immancabilmente brutti, sporchi, profittatori...) aiuta a definire il noi della comunità. Perché, ricorda Forgacs, nessun luogo è marginale di suo, nessuna persona si emargina da sé.
Daniele Mont D’Arpizio