CULTURA

L’anima di Van Gogh, tra il grano e il cielo

“Talvolta, in inverno, il freddo è tale che si dice: fa troppo freddo, che mi importa se all’inverno seguirà l’estate? Il brutto supera di gran lunga il bello. Ma, che noi lo si voglia o no, il freddo a un certo punto finisce e un bel mattino il vento cambia e comincia a sgelare. Confrontando il tempo col nostro umore e con le circostanze, soggette anch’esse a variazioni notevoli, spero ancora che le cose possano migliorare”. È il 1879, Vincent van Gogh scrive al fratello Théo, condividendo con lui un sentimento di attesa e speranza. Compiendo un lungo e intenso viaggio dentro di sé, tra l’autunno del 1872 e l’autunno del 1880, Van Gogh scrive oltre 150 lettere, arrivando persino a comunicare a Théo la volontà di dedicarsi alla pittura, intenzione presto trasformata in reale attività artistica dal 1880 al 1890. 

La mostra Van Gogh, tra il grano e il cielo, appena inaugurata alla Basilica Palladiana di Vicenza (e aperta fino all’8 aprile 2018), cerca nel profondo e proprio per questo si concentra su questi scritti, veri e propri specchi dell’anima, capaci di svelare i moti interiori offrendosi come traccia per comprenderne la vicenda umana e la ricerca artistica.

Vincent van Gogh, Interno di un ristorante, 1887 olio su tela, cm 45,5 x 56,5 Otterlo, Kröller-Müller Museum 

L’esposizione presenta 129 opere del pittore olandese, di cui 43 dipinti e 86 disegni (un centinaio provengono dal Kröller-Müller Museum di Otterlo), proponendo un percorso a tappe, fino a raggiungere la luce che ne rende riconoscibile l’opera, con gli interni dei ristoranti parigini, le nature morte, il ponte levatoio appena fuori da Arles, gli ulivi di Provenza, i campi di papaveri dell’Aia e i campi di grano a Auvers: “So con certezza di avere il senso dei colori e che esso si svilupperà sempre di più – scriveva nell’agosto del 1882 –. E so altrettanto bene di avere la pittura nella pelle”. Ma, prima di tutto, prima di raggiungere il colore dei dipinti, incontriamo i disegni, così poco conosciuti ma assai preziosi, rivelatori di una grammatica dell’anima e di “una tensione spasmodica per la verità in arte”, spiega il curatore Marco Goldin. “Non potrò mai dirti quanto, nonostante il fatto che ogni giorno si presentino e si presenteranno nuove difficoltà, non potrò mai dirti quanto sia felice di aver ripreso il disegno – scrive il 24 settembre 1880, rivolgendosi a Théo – […] Si tratta per me di imparare a disegnare bene, a dominare sia la matita sia il carboncino sia il pennello, e una volta raggiunto questo farò delle buone cose, non importa dove”.

Se la mostra attraversa le emozioni racchiuse nelle lettere, non dimentica però di raccontare i luoghi, così strettamente legati agli stati d’animo dell’artista: il Borinage, Etten, L’Aia, il Drenthe, Nuenen, Parigi, Arles e Saint-Rémy, con un grande plastico che ricostruisce l’istituto di cura per malattie mentali di Saint-Paul de Mausole, in cui van Gogh sceglie di farsi ricoverare da maggio 1889 a maggio 1890, fino a Auvers-sur-Oise, dove dipinge i campi di grano nel luglio del 1890, pochi giorni prima di suicidarsi.

“Il mondo non mi interessa molto, se non fosse che ho un debito nei suoi confronti, e anche l’obbligo – perché ci ho camminato sopra per trent’anni – di lasciargli in segno di gratitudine qualche ricordo sotto forma di disegni o di quadri che non sono stati fatti per piacere all’una o all’altra tendenza, ma per esprimere un sentimento umano sincero” (Lettera a Théo, 1883).

Francesca Boccaletto

Vincent van Gogh, Vecchio che soffre, 1882 matita, pastello litografico nero e acquerello bianco opaco su carta per acquerello, mm 45 x 471 Otterlo, Kröller-Müller Museum  / Vincent van Gogh, Vecchio che soffre ("Alle porte dell'Eternità"), 1890 olio su tela, cm 81,8 x 65,5 Otterlo,  Kröller-Müller Museum

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