CULTURA

L’arte di vivere (divagando)

“Ci sono due momenti che nessuno di noi può evitare: la nascita e la morte. L’inizio e la fine, dal punto di vista degli atei. Il viaggio e il ritorno, secondo i mistici. Tra l’uno e l’altro si compie l’avventura umana. Montaigne, al quale tanta lucidità giocherà un giorno un brutto tiro, riduce a ben poca cosa il tempo compreso tra la nascita e la morte, in cui in fin dei conti consiste la nostra vita, facendo notare che cominciamo a morire nel preciso istante in cui nasciamo. È il genere di riflessione che ti balena in mente, in tutta la sua evidenza, dopo tre giorni di pioggia ininterrotta. Resti alla finestra a guardare la strada finché il cane non reclama di uscire”. Divagazioni e attimi di vita, quella dell’autore ma anche la tua. È per pensieri come questo che vale la pena continuare a leggere, immaginando che le parole siano state scritte nel pigro intervallo che separa la preparazione di una tazza di caffè dalla sua lenta degustazione, mentre il mondo là fuori continua a correre fregandosene di quel che ti accade e dei bisogni impellenti del tuo cane.

L’Arte ormai perduta del dolce far niente di Dany Laferrière (edito da 66thand2nd) è un viaggio che attraversa infanzia, amore, tempo, solitudine, guerra, potere, morte ed eternità. In perfetto equilibrio tra leggerezza e profondità, tra cielo e terra. Non un romanzo, non un saggio, ma una lunga riflessione che abbatte le barriere tra scrittore e lettore e attraversa l’esistenza, citando Talete di Mileto, Montaigne, Salinger, Borges, Bulgakov, Rulfo, Hemingway, Bashō. E la Bibbia, letta dall’autore, per la prima volta a quindici anni, in un giorno di febbre e pioggia, con la scoperta, nel Libro dei Re, della discutibile strategia di Davide che, per rubare la moglie a un suo ufficiale, mandò quest’ultimo a morire al fronte: “L’adolescenza è un’età in cui si vive molto di immaginazione. I ragazzi hanno l’innocenza e l’energia per lanciarsi nelle più folli imprese. Ed io ero appena venuto a sapere, non potete capire con quale sorpresa, che un re della Bibbia, l’eletto del Dio di Israele, nella vita privata si comportava come il peggiore dei farabutti. La cosa più strana è che un modo di fare tanto spregevole mi avvicinava a lui anziché allontanarmene. Davide ci assomiglia”.

Questo libro riesce a ridimensionare la nostra presenza nel mondo senza farci sentire completamente inutili, riesce a dar voce all’arte di vivere viaggiando solo con un bagaglio a mano, a ritrovare il ricordo e riflettere sul presente scivolando lieve sia sulle piccole cose personali che sulla grande storia collettiva. “Ognuno di noi pensa, magari a ragione, che il mondo cominci con la sua nascita e finisca con la sua morte. Ci rifiutiamo di accettare il fatto –triste, lo so- che il mondo è cominciato prima di noi e che continuerà dopo di noi. Per quanto mi riguarda, trovo rasserenante il pensiero di non essere responsabile di tutta la faccenda. Sono solo uno di passaggio […] Non siamo né al principio né alla fine del mondo. Perciò, stiamo calmi”.

C’era dunque bisogno di incontrare le parole di Laferrière, di leggerle e rileggerle saltando qua e là, cercando i frammenti che più ci somigliano, assaporando il gusto della contemplazione, di un aneddoto che parte da lontano o di un istante di poesia capace di sollevarci e poi dolcemente riadagiarci sopra un altro cuscino, divagando sull’arte di mangiare un mango o guardare altrove, stare immobili oppure perdersi, ubriacarsi con eleganza o contare gli inverni bevendo sakè. Riempiendo di meraviglia il tempo sospeso del dolce far niente. "Una volta ho chiesto a mia nonna se per lei starsene seduta in veranda a sorseggiare caffè tutto il santo giorno era una dimostrazione di saggezza - scrive ne L’arte di stare immobili -. Con un vago sorriso mi ha risposto che in gran parte quella saggezza le deriva dall’artrite che la fa tanto penare. Ma io so anche che quel sorriso lo deve alla sua intelligenza che molto gentilmente l’ha convinta che stare immobili permette di cogliere altri aspetti della vita. Si versa una tazza di caffè e la beve lentamente, poi aggiunge che è meglio non sapere cos’è la vita almeno finché siamo vivi”.

Testo di Francesca Boccaletto, illustrazioni di Marco Roveroni

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