SOCIETÀ

Il lago Ciad e il fallimento delle grandi opere

La stampa internazionale negli ultimi anni ha lanciato ripetutamente grida di allarme sul destino del lago Ciad, importante riserva d’acqua situata tra Ciad, Camerun, Niger e Nigeria. Questo allarme si fonda sulla convinzione largamente diffusa che il lago non solo si sia drasticamente ridotto ma che addirittura rischi di “sparire”, a seguito delle grandi siccità saheliane degli anni Settanta e Ottanta e del sovra-sfruttamento delle risorse idriche. Un quadro, almeno all’apparenza ‘univoco’, che sembra legittimare grandiosi e costosi progetti di trasferimento d’acqua dal bacino del Congo (in particolare dall’Ubangui e dai suoi affluenti) per rialimentare il lago. Ma il lago Ciad rischia davvero di scomparire? E, soprattutto, la grandeur delle soluzioni prospettate è in grado di incidere sui reali fattori critici di questo ecosistema? Che gli allarmi riflettano una certa approssimazione conoscitiva è stato evidenziato recentemente dallo studioso Jacques Lemoalle dell’Institut de Recherche pour le Développement in una delle conferenze di chiusura di Expo 2015, davanti a una platea di policy maker, esperti di relazioni internazionali e di cooperazione, ricercatori in campo agricolo ed ambientale.

In realtà, il lago Ciad continua a cambiare, spesso con ritmi veloci, a causa della sua particolare conformazione. Sulla tormentata superficie del lago, caratterizzato da lunghe penisole che si staccano dall’erg del Kanem, da una miriade di isole, da isolotti di erbe  flottanti, l’effetto dei cambiamenti di spessore della lente d’acqua sono, infatti, rilevantissimi. Caratterizzato da acque poco profonde (3-5 metri), la differenza delle piene annuali dell’affluente maggiore (lo Chari, da cui proviene l’83% degli apporti) si ripercuote rapidamente sul livello della lama d’acqua e sulle superfici allagate. Il lago rapidamente si trasforma: la sua estensione può passare in pochi anni da grande superficie di acque libere a insieme di stagni, e viceversa. In effetti la regione è situata nel Sahel, fascia di transizione fra il clima desertico e quello sudanese umido:  l’area presenta perciò una grande variabilità interannuale delle piogge. Questo tratto conferisce movimento allo spazio antropico: si muovono le mandrie, si muovono le coltivazioni per seguire e sfruttare l’umidità. Si muovono, ovviamente, le popolazioni. Gli stessi spazi anfibi del lago si prestano a molte attività: offrono opportunità per la pesca, per l’agricoltura, per il pascolo, per il taglio della legna, per il commercio. I cambiamenti continui delle linee di riva e delle forme del bacino comportano un ridisegno incessante dell’organizzazione produttiva e territoriale. Quando le rive si ritirano compaiono nuove terre da coltivare, trova spazio una crescita rapida della vegetazione arbustiva e arborea. Quando invece il lago si espande aumentano le risorse ittiche, le reti di navigazione si rianimano, ridando vita ai porti sul lago e ai loro mercati. La regione del lago per le sue risorse, soprattutto per la pesca e quindi per l’agricoltura, è diventato nell’ultimo periodo un polo attrattivo di grande significato. Sulle terre liberate dal ritirarsi del Ciad durante le grandi siccità della seconda metà del Novecento si sono riversate successive ondate migratorie, in particolare dal Borno, lo stato nigeriano confinante. Ma a partire dal 1995 la situazione è cambiata: ad anni di piene ridotte si alternano anni di piene significative dello Chari. Così le superfici bagnate dal lago sono cresciute. Il ritorno del lago ha ristretto le terre da coltivare, ma ha attirato pescatori da molto lontano. Anche i villaggi si muovono: sono fondati e abbandonati seguendo le acque, in una dinamica anarchica. Che si tratti di agricoltori, di pescatori, di allevatori transumanti o di commercianti, è comunque un insediamento estremamente mobile. L’aumento della popolazione (sono ormai due milioni gli abitanti del lago e delle sue rive) determina una crescente pressione sulla terra e sulle risorse della pesca: il lago si dimostra una realtà fragile. I grandi progetti di sviluppo agricolo, pensati per rispondere a questa emergenza, hanno deluso: si pensi al South Chad Irrigation Project (SCIP), nel Borno. Prendendo acqua dal lago, doveva essere il più grande progetto irriguo della Nigeria (67.000 ettari), destinato a consolidare la presenza dello Stato in una delicata regione di frontiera. Ma il lago, l’unica risorsa d’acqua per il progetto, con le siccità si ritira: il canale adduttore non è più alimentato, la produzione si interrompe. Il territorio si svuota. Rimane solo argilla bruciata dal sole. Un fallimento. 

Un sistema di irrigazione privata che sfrutta le acque del lago Ciad

In questa difficile realtà però la capacità innovativa delle popolazioni locali si esercita sui “resti” del progetto. I contadini utilizzano la presenza dell’acqua nel canale adduttore, grazie all’attuale miglioramento delle condizioni del lago, per praticare l’orticoltura irrigando con piccole motopompe.  Proprio da questa esperienza e da altre simili può venire una lezione  importante per il futuro: i saperi locali, la capacità di innovazione degli agricoltori sono una risorsa importante, che non può essere accantonata da progetti di sviluppo calati dall’alto. Su tutta la vita economica e commerciale del lago oggi pesa però come un macigno l’insicurezza legata al terrorismo religioso di  Boko Haram e alla repressione spesso violenta e al di fuori della legge praticata dalle forze di sicurezza: i commercianti non raggiungono più la regione, le produzioni agricole e i circuiti della transumanza sono destabilizzati; i progetti tanto di cooperazione come di investimento (sul petrolio, sulla terra) esitano… Si rischia un avvitamento della situazione: la povertà alimenta la violenza, la violenza alimenta la povertà. L’Europa e, in prima fila, il nostro Paese, proteso verso l’Africa, non possono ignorare le grandi difficoltà di questa regione e devono elaborare una strategia di presenza. Il primo passo è ascoltare gli attori locali e provare a capire quanto sta accadendo.

Marina Bertoncin 

Andrea Pase

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