SOCIETÀ
L'economia nel labirinto del Minotauro
È raro incontrare un testo propriamente economico, sia pur divulgativo, che si possa leggere come un romanzo senza per questo che rigore e puntualità argomentativa vengano sacrificati. È questo, però, il caso del Minotauro Globale, appena tradotto in italiano per Asterios. L'ambizione dell'autore, Yanis Varoufakis, docente di economia a Sidney ed Atene e da pochissimo ministro delle Finanze del suo Paese di origine, la Grecia, era infatti quella di ricostruire l'evoluzione delle strutture che hanno sotteso l’economia mondiale nell’ultimo secolo.
Nel farlo, la sua attenzione è rivolta alle principali svolte nelle quali i maggiori attori istituzionali, politici e diplomatici hanno definito gli indirizzi macro-economici a venire, dopo la seconda guerra mondiale prima e a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta poi, per arrivare infine alla recente crisi e alle sue cause strutturali, vero obiettivo di questa ricerca. Fra i pregi del Minotauro globale, che per il lettore più preparato sconta forse troppe metafore e un linguaggio spesso poco convenzionale, una lettura originale e sostenuta da un raffinato apparato concettuale degli accadimenti economici e del ruolo che vi hanno giocato gli Stati Uniti – potenza economica e politica egemone del Novecento - capace di evidenziare il peso di decisioni politiche poco conosciute ma cruciali.
Svolte, decisioni: Varoufakis non pensa infatti che vi sia un cammino inevitabile dell'economia, una catena inesorabile di cause e di effetti, ma che gli accadimenti e gli assetti d’interessi siano anche il prodotto di scelte politiche, delle interazioni complesse tra paesi e classi sociali, ed è questo il primo aspetto da sottolineare. L'autore non è un “determinista”, tutt’altro, e questo libro s’interroga a lungo se vi sia stata, e in che modo, una strategia unificante, una sorta di “piano” – o più piani succedutisi nel tempo, come vedremo – per il governo degli assetti macroeconomici del Novecento. Nessuna adesione a “teorie del complotto”, sia chiaro; come vedremo, per Varoufakis se un "complotto" – o meglio: un disegno globale, concordato fra i maggiori attori, c'è stato, la realtà è semplicemente che l'economia ha bisogno di simili piani globali, della definizione di regole cogenti e di un quadro generale per sopravvivere e non avvitarsi nel caos.
Il Minotauro, da cui il titolo del lavoro, è la metafora del doppio deficit statunitense, deficit commerciale e deficit di bilancio, che dagli anni Settanta ha caratterizzato l’economia globale. La tesi di fondo è semplice, e in sé non nuova: dall’inizio degli anni Settanta, quando si rompe l’equilibrio monetario di Bretton Woods, gli Stati Uniti iniziano, un po’ per caso e un po’ per scelta, ad assorbire risorse, capitali e beni, fornendo così la domanda globale che il resto del mondo non aveva a disposizione per i propri prodotti.
Il parallelo col Minotauro del mito, utilizzato per la prima volta da Varoufakis in un paper scritto a quattro mani con James Galbraith, figlio del celebre Kenneth e a sua volta conosciuto economista, sta tutto qui: così come le città greche dovevano un tributo di uomini al potere cretese, così gli Stati Uniti assorbono capitali e prodotti dei paesi del proprio “impero”. In questa maniera, però, gli Stati Uniti non solo consolidano il proprio potere economico e politico, ma creano anche, e soprattutto, un meccanismo di stabilizzazione dell'economia globale, di cui questa ha assoluto bisogno.
Questo è forse il tema più interessante del libro, che viene analizzato guardando indietro nel tempo, alla rottura del Gold Standard e alla nascita dell’equilibrio economico che ha seguito la seconda guerra mondiale. La tesi di fondo è che l'economia capitalistica abbia bisogno di un “meccanismo di riciclo del surplus” che parifichi gli squilibri di produttività e competitività tra i diversi Paesi e i conseguenti squilibri delle rispettive bilance commerciali. Quest’esigenza sorge soprattutto con cambi monetari fissi, o quasi fissi ma governati politicamente, mentre, quando le monete possono fluttuare liberamente, è l’andamento del cambio ad aggiustare gli squilibri delle bilance commerciali.
Un sistema di cambi completamente liberi, però, creerebbe squilibri di altro genere e non favorirebbe lo sviluppo commerciale a livello internazionale. Da qui l’esigenza di “riciclare” valore e capitale da paesi in surplus (per qualsiasi ragione, anche perché semplicemente più efficienti) a paesi o aree in deficit o più “poveri”. Del resto, questa era anche l’intuizione di fondo di John Maynard Keynes, il quale a Bretton Woods propose, assieme a una valuta globale, anche un sistema di riequilibrio autonomo e indipendente dagli Stati nazionali – inclusi gli Stati Uniti.
Sulla base di quest’intuizione – ma non seguendo sino in fondo la proposta di Keynes – gli Stati Uniti progettano nel secondo dopoguerra quello che Varoufakis chiama il “piano globale”, ossia un meccanismo di riciclo del surplus fondato sugli Usa. L’equilibrio di Bretton Woods, come noto, si fondava su cambi semi-rigidi tra monete e sulla convertibilità del dollaro in oro a un cambio fisso. Questo meccanismo, però, non sarebbe stato sufficiente a stabilizzare i paesi ad economia avanzata: era necessario altro. E così, gli Stati Uniti, che all’epoca erano paese in surplus, inondarono l’Europa e il Giappone di liquidità (il “Piano Marshall”), in maniera da avere a disposizione un mercato in cui collocare i propri prodotti.
Di più: nel “piano globale” post-1945, ovvero nel meccanismo generale di riciclo del surplus economico delineato all'epoca spicca il ruolo dei due nemici sconfitti, ossia Germania e Giappone, di cui gli Stati Uniti conoscono la potenzialità produttiva e sui quali appoggiano la stabilizzazione delle aree europea e asiatica grazie alla creazione di due monete stabili e forti. In questa logica rientra anche la nascita della Comunità Europea, riguardo alla quale Yanis Varoufakis esprime tesi provocatorie e forse rivelatrici di alcune verità che non vogliamo raccontarci: mentre la vulgata è quella di una Cee (e prima della Comunità del carbone e dell’acciaio) nata per volontà e intuizione esclusivamente europee, lo studioso ci racconta un’altra storia. Quella di una Comunità che, per le resistenze incrociate dei diversi Paesi europei, non sarebbe sorta, e che solo la determinazione e le pressioni diplomatiche ed economiche Usa resero possibile per il suo apporto determinante alla stabilizzazione dell'economia globale.
Nelle parole di Varoufakis, peraltro, trapela nostalgia e ammirazione per quel “piano globale”: era un’idea grandiosa che comunque ha garantito il diffondersi del benessere, grazie anche alla liquidità americana e alla lungimiranza delle sue élites dell’epoca. Le cose cambiano quando l’effetto combinato della guerra del Vietnam e della spesa pubblica americana (la “big society” di Truman) inceppa il meccanismo e gli Stati Uniti dagli anni Settanta divengono sempre più un paese in deficit, tanto sul piano della bilancia commerciale quanto su quello della spesa pubblica. Gli Stati Uniti, però, grazie al loro ruolo economico mondiale, e grazie al potere di fatto di stampare moneta in maniera illimitata, trasformano quella che poteva apparire una crisi di sistema in un nuovo meccanismo di riciclo, il Minotauro globale appunto, che rovescia completamente il meccanismo precedente: d’ora innanzi sarebbero stati gli Stati Uniti ad assorbire il surplus di capitale degli altri paesi, convogliato su Wall Street e riutilizzato per creare la domanda per i prodotti europei e giapponesi.
Il sistema allo stesso tempo ebbe però l'effetto di comprimere sempre più i salari reali statunitensi. Per mascherare la fine del sogno americano della crescita infinita e mantenere il livello di domanda interna, fondamentale per la stabilità dell'economia globale, vengono allora usati i capitali convogliati su Wall Street e sulle banche americane da tutte le direzioni. Dalla fine degli anni Ottanta in avanti i cittadini americani iniziano a indebitarsi; negli anni Novanta e Duemila le banche iniziano a prestare danaro anche a famiglie senza sicurezze economiche, certe di poter scaricare i rischi per il mondo grazie all’ingegneria finanziaria. Il resto è storia recente: la crisi del 2008 deriva direttamente da questa insostenibilità. Per Varoufakis questa è la morte, o l’agonia, del Minotauro globale, ossia del sistema di riciclo del surplus che ha governato il mondo negli ultimi quarant’anni.
All’interno di questa crisi si inserisce la crisi dell'Unione europea, la quale però è crisi di un sotto-sistema ed è dovuta per lo più ai limiti stessi dell’eurozona: un sistema di cambi fissi (o una moneta unica) non può funzionare senza un meccanismo di riciclo del surplus, ma questo meccanismo deliberatamente viene rifiutato dalla Germania e dalle altre aree in surplus – non tanto dai ceti politici, ma dall’opinione pubblica, occorre dire. Per questo l’Eurozona, così come è disegnata, non può sopravvivere al venir meno del meccanismo di riciclo globale preesistente - ovvero non può sopravvivere "alla morte del Minotauro", per rimanere nella metafora di Varoufakis e Galbraith.
Il finale della seconda edizione del libro è pessimista. Yanis Varoufakis, così come altri studiosi contemporanei come Wolfgang Streeck o Colin Crouch, evidenzia un fatto essenziale: le disarmonie dell'economia globalizzata necessitano di meccanismi di riequilibrio, di qualunque sorta essi siano, ma nulla di simile e di nuovo si vede all’orizzonte. L’Europa si sta avvitando nei propri soliti e mai superati limiti, nelle proprie miopie e conflittualità interne, quelle stesse che hanno afflitto il continente da secoli – e che almeno ora non sfociano più in guerre sanguinose, e tanto la Cina quanto i brics complessivamente presi appaiono tutt'ora lontani dal potersi assumere compiti di questa portata.
A livello mondiale, conclude – quasi a sorpresa – Yanis Varoufakis, ancora una volta la risposta potrà giungere solo dagli Stati Uniti d’America. Sperando che giunga.
Federico M. Mucciarelli