SOCIETÀ

L'etica del trapianto: giusto donare e non aspettarsi un "grazie"

Uno studente decide, dopo averne parlato con gli amici, di diventare un potenziale donatore di organi e tessuti. Ma quando si sottopone alle analisi necessarie, per un tremendo contrappasso inverso, scopre di soffrire di una grave insufficienza funzionale del midollo osseo: da possibile donatore diventa così, nell’arco dei pochi istanti che gliene offrono la consapevolezza, un malato in attesa del trapianto indispensabile per la sua sopravvivenza. Non è l’incipit di un romanzo ma la storia di Giovanni Spitale, giovane laureato in filosofia all’università di Padova. A uno stravolgimento di prospettiva talmente tragico da poter offuscare ogni facoltà, Giovanni reagisce da filosofo: e trae dalla sua vicenda lo spunto per avviare una riflessione che, partendo dall’esperienza del singolo, si amplia a valutare l’atto della donazione di organi e tessuti, e l’universo di considerazioni cliniche, giuridiche, psicologiche, etiche che ne sono cornice, secondo una prospettiva universale. Completando così (e offrendovi senso) quel salto quasi metafisico che aveva trasformato un ventenne appassionato di alpinismo in un paziente precipitato in un mondo dai caratteri troppo estremi per non coglierne le implicazioni più profonde.

Dall’esperienza di Giovanni Spitale è nato Il dono nelle donazioni (Il Poligrafo 2015), un libro che ha l’ambizione di riassumere le più aggiornate e complesse questioni del dibattito bioetico sui trapianti e, soprattutto, sul gesto che ne è origine: il dono, analizzato secondo i poli opposti del donatore e del destinatario. Un atto supremo, nel caso riguardi una parte del proprio corpo o di quello di un congiunto scomparso, del quale Spitale riprende, tra le altre, la visione di Jacques Derrida: c’è dono, in senso assoluto, soltanto dove il gesto presenti una totale asimmetria, una gratuità talmente radicale da implicare non solo la completa assenza di contatto e conoscenza tra donatore e ricevente, ma persino la perdita, in entrambi, della consapevolezza stessa di aver offerto o ricevuto il dono. Una concezione utopica, quindi, secondo la quale il dono perfetto richiede quello che il filosofo francese definisce “l’oblio assoluto”; da qui parte la riflessione di Spitale che, nel dibattito sulla donazione di organi, si traduce in considerazioni pratiche di grande rilevanza, inducendo l’autore ad appoggiare il totale anonimato del donatore e la completa gratuità della donazione. Aspetti che non sono per nulla scontati, nella discussione come nella prassi clinica e giuridica in vigore nei diversi Paesi: si pensi solo, tra i mille temi toccati nel libro, alla delicatissima controversia sulla possibile regolamentazione di un mercato legale di organi, teorizzata da alcuni studiosi come rimedio necessario alla loro cronica insufficienza. 

Se la prima parte di Il dono nelle donazioni è una disamina del percorso medico e giuridico che ha portato la pratica dei trapianti e della donazione di organi e tessuti alla disciplina attuale, è quando si addentra nel magma dei problemi etici, e dei dilemmi giuridici che ne derivano, che il libro di Spitale genera i maggiori turbamenti di fronte a tematiche così vertiginose: come la selezione dei pazienti per l’assegnazione di un organo, e i criteri applicati da un pugno di operatori sanitari che rivestono legittimamente il ruolo di arbitri di vita e morte. Quali regole è più giusto adottare? Se c’è un consenso maggioritario (ma non tale da rendere la scelta meno problematica) sull’escludere dal trapianto i pazienti troppo anziani o a maggior rischio di insuccesso, è lecito ipotizzare che nella scelta vengano introdotti criteri non medici ma etici, come la preferenza per i pazienti che, a suo tempo, avessero dato a loro volta disponibilità a donare organi? Se poi, nel caso di organo donato da vivente, si passa a considerare la prospettiva del donatore, il problema da considerare è quello del bilanciamento tra la volontaria disponibilità del donatore a menomarsi e l’entità del beneficio ottenuto per il paziente. Ma si tratta sempre, per il donatore, di una volontà totalmente libera? Pensiamo agli unici casi in cui la legge consente che donatore e paziente si conoscano (è il caso di persone legate da parentela). È sempre possibile escludere una forma di coercizione, o quantomeno una pressione psicologica, che il donatore sia costretto a subire? In questo caso l’assunto di Derrida viene totalmente negato, poiché il dono non è né anonimo né, in qualche misura, gratuito. 

Se i dilemmi etici nascono, in prevalenza, dalla mancanza di un numero sufficiente di donatori, per Spitale è evidente che l’unico antidoto davvero efficace e privo di contraddizioni è, sul lungo termine, la capacità delle istituzioni di incrementare il numero di persone disposte a donare una parte di sé o un organo di un proprio parente defunto. Ma anche sulle strategie legislative in materia c’è dibattito: è più equo il modello del silenzio-diniego, che richiede un’esplicita dichiarazione di consenso da parte di chi voglia essere donatore, o quello del silenzio-assenso, che considera tutti potenziali donatori fino a che non si dichiari il contrario? La risposta, spiega l’autore, viene modulata diversamente a seconda dell’approccio etico che si decide di scegliere: se viene data priorità al bene della collettività, e quindi alla maggior tutela della salute della comunità, o alla libertà dell’individuo. Problemi che diventano ancora più intricati quando riguardano l’espianto di organi da cadavere: deve prevalere il diritto alla vita di tanti pazienti in attesa, o l’interpretazione più garantista possibile delle volontà del defunto, spesso difficilmente ricostruibili?

Le questioni, si è intuito, sono infinite,  tutte irrisolvibili senza una mediazione etica e giuridica comunque sofferta e discutibile. Spitale però non rinuncia a tentare di tracciare un paradigma, e conclude il suo libro riaffermando una visione del dono che è insieme etica e funzionale. Solo un dono anonimo e gratuito è il gesto efficace perché un paziente, ignorando l’identità del donatore, possa avvertire la valenza universale di un dono disinteressato da parte di un membro indistinto del genere umano, unica entità verso la quale è lecito provare riconoscenza. È proprio da questa relazione di gratitudine asimmetrica, da parte di un singolo uomo salvato che si rivolge a un’umanità indifferenziata, che scaturisce quell’orizzonte morale che può portare ogni essere umano a percepire il valore assoluto di ogni donazione, senza che abbia rilievo chi dona o cosa dona. È la chiave etica, secondo l’autore, per aumentare in noi la consapevolezza che ciascuno ha l’opportunità di salvare una vita umana. Non importa quale.

Martino Periti

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