SCIENZA E RICERCA
Il neutrino, lo "spettro" dell'universo
I laboratori LNGS del Gran Sasso dove sono stati osservati i neutrini. Foto: Science Photo Library
“Invisibili fantasmi ci circondano, ci attraversano numerosissimi e si aggirano per tutto l’universo: sono i neutrini”. Inizia così il grand tour di Lucia Votano nel grande mondo della fisica delle particelle elementari, nel suo libro Il fantasma dell’universo. Che cos’è il neutrino (Carocci, 2015), finalista al Premio Galileo 2016.
“Un libro di viaggi”, racconta la Votano, già direttore del Laboratorio sotterraneo del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Perché per seguire i “cacciatori di neutrini” il volume ci accompagna in giro nei laboratori di tutto il mondo, unendovi un agile compendio di fisica delle particelle che guida il lettore tra massa, Modello Standard, teorie ed esperimenti che si inseguono da secoli. “La sfida era – tra le altre cose – riuscire a far capire qual è il mestiere dei fisici: al di là del neutrino o delle onde gravitazionali, le domande a cui cercano di rispondere i fisici in fondo sono le stesse che si facevano i filosofi già nell’antichità. Il nostro lavoro serve a conoscere di che cosa è fatto il mondo”.
Cosa ci sia aspetta in particolare dalla ricerca sui neutrini?
Le risposte possibili sono molte, perché con il neutrino si affrontano vari campi della ricerca. Come prima cosa, sono utili per lo studio dell’universo, uno studio sempre più “a molti messaggeri”: mentre per molti secoli potevamo indagare il cosmo sfruttando solo la luminosità delle stelle – quindi solo un determinato spettro di frequenze delle onde elettromagnetiche – abbiamo poi imparato ad usare anche altre frequenze, come gli infrarossi, i raggi x e i raggi gamma; a questi abbiamo aggiunto da qualche tempo anche l’analisi attraverso i neutrini e ora finalmente anche le onde gravitazionali. Abbiamo quindi molti modi diversi e complementari per leggere l’universo che ci circonda. In particolare sarà interessante studiare quei neutrini più numerosi e più antichi che vengono da decimillesimi di secondo dopo il Big Bang – che noi chiamiamo relici – che ci permetterebbero di “vedere” l’universo praticamente al momento della sua nascita.
Un altro aspetto riguarda le caratteristiche intrinseche dei neutrini, che hanno una loro massa, anche se non ne conosciamo ancora il valore. Non sappiamo nemmeno come acquistano massa. I modelli teorici utilizzati finora nella fisica delle particelle, in particolare il cosiddetto Modello Standard, non riescono a spiegarlo, quindi ci troviamo di fronte alla necessità di ampliare e rivedere i nostri modelli. Anche questa sarà una sfida importante.
Le onde gravitazionali sono state teorizzate da Einstein un secolo fa, i neutrini invece negli anni Trenta; la loro prova sperimentale invece è arrivata molti decenni dopo...
È sempre un dibattito a due, tra la teoria e la prova sperimentale. Spesso la scienza è guidata da una teoria, come ad esempio nel caso del bosone di Higgs. Dato ad esempio il problema di spiegare la massa delle varie particelle, il fisico teorico propone un meccanismo possibile, basandosi sulle leggi della fisica note fino a quel momento. Poi però occorre avere gli strumenti adatti per riuscire a provarlo sperimentalmente, e per arrivarci può passare molto tempo. E anche qui si crea un rapporto dialettico: la scienza nel nostro campo è profondamente intrisa di tecnologia, anzi la scienza è essa stessa motore di innovazione tecnologica; d’altra parte anche Galileo è diventato il padre della scienza usando il cannocchiale, quindi partendo da uno strumento. Accanto alla tecnica resta sempre il fattore umano: la scelta di procedere con determinati programmi di ricerca, l’intuizione e la volontà di proseguire un dato campo di indagine, le accelerazioni o i ritardi nell’autorizzare determinati esperimenti…
Tecnologia vuol dire anche finanziamenti, e quindi la difficoltà di convincere della necessità di studi apparentemente senza ricadute concrete...
Quando Faraday, già professore famoso e stimato, faceva ricerche sull’elettromagnetismo, il primo ministro dell’epoca gli chiese a cosa mai servissero i suoi studi. Faraday rispose semplicemente: “No so a cosa serva quello su cui sto indagando, ma sono certo che nel futuro un suo collega ci metterà sopra una tassa”. Oppure, come ripetiamo spesso, “la lampadina non è stata inventata da chi ingegnerizzava le candele”, vale a dire che continuando a studiare solo quel che conoscevamo già – le candele – non ci sarebbe stato alcun progresso. Potete immaginare ora il nostro mondo senza l’elettricità, senza poter sfruttare le onde elettromagnetiche? Se Faraday non avesse compiuto i suoi studi apparentemente inutili, molte delle tecnologie di oggi non esisterebbero. Per scoprire l’utilità dei nostri studi, basta aspettare. I veri salti sono i salti della conoscenza sulla natura e la materia: sono questi che poi consentono di fare dei progressi anche nella vita quotidiana.
Qual è il ruolo della ricerca italiana negli studi sul neutrino?
Gli italiani occupano una posizione di tutto rispetto nella fisica delle particelle: d’altra parte siamo stati uno dei fondatori del Cern di Ginevra. Ricordiamoci che il Cern è un laboratorio anche italiano: ogni paese infatti finanzia il laboratorio in proporzione al proprio Pil. E ricordiamoci anche che al momento dell’annuncio della scoperta del bosone di Higgs nel 2012 molti dei responsabili degli esperimenti sul Large Hadron Collider (LHC) erano italiani (e un’italiana, Fabiola Gianotti, è oggi alla guida del Cern, ndr). Per quanto riguarda più specificamente la fisica astroparticellare, la costruzione del laboratorio sotterraneo del Gran Sasso ci ha consentito di essere competitivi a livello internazionale. In questa disciplina infatti le infrastrutture sono fondamentali e ancora oggi quello del Gran Sasso è il più grande e il più importante laboratorio di questo tipo al mondo e ha consentito di far crescere e lavorare una comunità di fisici che compete a livello internazionale.
Cristina Gottardi