SCIENZA E RICERCA
Addio a Crutzen, padre della comprensione della distruzione dello strato di ozono
Paul Crutzen. Foto: Reuters
All’età di 87 anni, il 28 gennaio 2021 Paul J. Crutzen ci ha lasciati. Lo scienziato olandese, premio Nobel per la chimica nel 1995 per la comprensione del meccanismo della distruzione dello strato di ozono da parte dell’uomo, ha lasciato una grande eredità anche riguardo alle immense sfide che ci aspettano nel secolo in corso.
Di modeste origini - come egli ha raccontato nella sua autobiografia suo padre faceva il cameriere ed era spesso disoccupato - a causa di una forte febbre non riuscì a superare il difficile esame che gli avrebbe consentito di ottenere una borsa di studio per mantenersi gli studi superiori in preparazione per l’università. La guerra era finita da pochi anni e per di più l’Olanda usciva stremata da una lunga guerra coloniale in Indonesia. Avendo ripiegato su una scuola tecnica di tre anni con attività pratiche, solo al secondo anno riuscì a racimolare un modesto salario che gli permise di continuare. Dopo il matrimonio, si stabilì in Svezia per lavorare nel settore delle costruzioni. Qui ebbe due figlie. Un annuncio su un quotidiano gli offrì l’occasione di candidarsi ad un posto di programmatore presso il Dipartimento di Meteorologia dell’Università di Stoccolma. Nonostante non avesse la minima esperienza nel campo, fu scelto fra molti candidati. L’ambiente del dipartimento gli permise di frequentare dei corsi di matematica, statistica e meteorologia, ma non di fisica o chimica, che includevano numerosi laboratori. Da teorico, ottenne una posizione di dottorato su un modello numerico di un ciclone tropicale, ma riuscì a trasformare l’argomento del PhD su ciò che più lo interessava, cioè la chimica della stratosfera. Senza il minimo sospetto su ciò che l’aspettava, ottenne la massima libertà da parte dei suoi supervisori.
Riguardo al tema dell’ozono, il lavoro condotto insieme allo statunitense F. Sherwood Rowland e al messicano Mario J. Molina, entrambi deceduti rispettivamente qualche anno fa e pochi mesi orsono, ha permesso di rimediare ad una situazione di pericolo derivante dai composti artificiali noti come clorofluorocarburi (CFC), usati come propellenti nelle bombolette spray. La loro capacità di dissociare l’ozono stratosferico, un particolare gas serra che costituisce una barriera naturale ai raggi ultravioletti, letali per la vita sia vegetale che animale, è stata scoperta negli anni Settanta. Finalmente nel 1989, in seguito al trattato internazionale del 1987 noto come Protocollo di Montréal, la produzione e l’uso dei CFC sono stati fortemente ridotti. Questa minaccia costituiva uno dei nove confini planetari definiti da un nutrito gruppo di scienziati (Rockstrom J. et al. 2009), il cui superamento comporta l’uscita da uno spazio di sicurezza per l’umanità (altri confini pericolosamente superati sono la perdita di biodiversità, il cambiamento climatico e l’alterazione del ciclo dell’azoto).
L’importanza di Crutzen naturalmente non si esaurisce con l’argomento ozono, ma trova straordinaria amplificazione con un altro tema cruciale estremamente attuale, cioè l’istituzione di una nuova epoca geologica, l’Anthropocene. L’idea che l’umanità costituisca una potente forza in grado di sovrastare la Natura risale almeno al diciassettesimo secolo, tanto che nel tardo diciannovesimo secolo fu coniato il termine “Antropozoico” (per analogia con i periodi Paleozoico, Mesozoico, Cenozoico). Altri nomi proposti furono Psicozoico, Anthropogene, Anthrocene, Homogenocene, Myxocene, ciascuno derivante dallo specifico campo di competenza scientifica del proponente. In tempi recenti e nel campo delle scienze sociali è stato proposto anche il termine Capitalocene, per sottolineare come la capacità di modificare il pianeta non sia una caratteristica dell’uomo in quanto tale, bensì derivi dal particolare rapporto fra lavoro e natura prodotto dal capitalismo, che per generare profitto richiede una produzione senza limiti.
Ebbene, nel 2000, durante un convegno in Messico nell’ambito del programma internazionale Geosfera-Biosfera, essendo irritato dal continuo riferirsi a varie forme di cambiamenti globali nel corso dell’Olocene (l’unità del tempo geologico in cui ci troviamo), dopo una pausa del discorso che stava facendo, “non viviamo più nell’Olocene, ma nel …” se ne uscì con “… nell’Anthropocene”. Questo termine divenne il “meme” del convegno. Più tardi, avendo scoperto che l’ecologo Eugene Stoermer usava questo termine con gli studenti, lo contattò e seppure mai incontratisi, insieme pubblicarono sulla International Geosphere-Biosphere Programme newsletter una breve nota. Nel 2002 Crutzen pubblicò un articolo di una sola pagina sulla rivista Nature. Ben presto il nuovo termine divenne popolare nella comunità scientifica delle Scienze della Terra. Infatti, la definizione della divisione del tempo geologico è di pertinenza della International Commission on Stratigraphy (ICS), il più grande e più vecchio corpus costituente della International Union for Geological Sciences(IUGS).
Nel 2008, la Commissione nazionale inglese di stratigrafia, che non ha comunque l’autorità per intervenire sulla nomenclatura internazionale, pubblicò un articolo firmato da 21 dei suoi 22 membri sulla rivista GSA (Geological Society of America) Today prospettando che l’Anthropocene poteva potenzialmente essere considerata una unità della scala del tempo geologico (Geological time scale o GTS). La formalizzazione di una unità deve sottostare a dei rigidi criteri e deve essere approvata a larghissima maggioranza. Tra questi, un requisito fondamentale è la sincronicità di alcuni marcatori (markers) fisici o chimici rintracciabili nei sedimenti (future rocce sedimentarie) che si sono deposti in tutti gli ambienti, sui fondali oceanici, nei fanghi lacustri, nei ghiacci continentali.
L’idea di Crutzen era che l’inizio della rivoluzione industriale, circa all’inizio del diciannovesimo secolo, potesse essere una data di inizio dell’Anthropocene (e una base per l’espressione fisica del tempo, cioè la pila di rocce formatesi nell’intervallo di tempo), a causa dell’uso massiccio di combustibili fossili con la conseguente immissione in atmosfera di biossido di carbonio. Tuttavia, dagli studi dedicati del gruppo di lavoro (Anthropocene Working Group o AWG) apparve che non esiste a scala globale un marker sincrono associato alla rivoluzione industriale, perché questa fiorì in Europa e solo più tardi si estese ad altre parti del globo. In estrema sintesi, nonostante gli effetti biofisici dell’impatto di Homo sapiens inizino molto presto nell’ambito della fase interglaciale in cui viviamo (cioè l’Olocene), soprattutto con la rivoluzione neolitica, l’AWG ha scelto quale data di inizio il 1950. Infatti, in questa data i marcatori chimici dei radionuclidi prodotti artificialmente con le esplosioni nucleari in atmosfera son ben riconoscibili globalmente in tutti gli ambienti ed inoltre allora inizia la cosiddetta “Grande Accelerazione”, cioè l’esplosione di una serie di indicatori permessa dalla straordinaria potenza ricavata dalla combustione del petrolio, inclusa la rapidissima crescita della popolazione, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Nel corso del 2021, la candidatura dell’Anthropocene quale nuova unità del tempo geologico verrà formalmente sottoposta alla ICS e con tutta probabilità accettata.
Pur utilizzando una data di inizio diversa da quella da lui prospettata, è singolare che Crutzen ci abbia abbandonato proprio nell’anno in cui il processo di discussione da lui iniziato approderà ad una conclusione. Come se, ormai rassicurato dalla riuscita del suo intento, ci abbia lasciato, in pace, l’onere e l’onore di portare a conclusione la sua straordinaria eredità.