SCIENZA E RICERCA

Aids, la sfida padovana del team che vuole distruggere il virus HIV

"Una volta uno dei miei studenti mi ha chiesto: di AIDS si può guarire, vero? E non è un caso isolato. I giovani, in genere, di HIV sanno davvero poco". Dipartimento di medicina molecolare, centro storico di Padova. Sono passati pochi giorni da quando il Consiglio europeo della ricerca ha annunciato che il gruppo di Sara Richter, giovane professore associato dell'ateneo padovano, ha ottenuto uno dei Consolidator Grants 2013, i finanziamenti che sostengono i progetti scientifici d'eccellenza.

Due milioni di euro, che copriranno il periodo 2014-2018: uno dei 20 progetti italiani finanziati (tra i quali altri due dell'università di Padova) su 3.673 concorrenti da tutta Europa. Il gruppo della Richter ha un obiettivo che, solo pochi anni fa, sarebbe sembrato inconcepibile: attaccare direttamente il DNA del virus HIV, quello che determina l'insorgenza dell'AIDS. Significa aprire la strada, sia pure in via ipotetica, a una possibile cura definitiva per questa malattia.

Sarebbe un radicale cambiamento di prospettiva: oggi l'HIV, rispetto al terrore degli anni Ottanta quando l'epidemia era nuova e incomprensibile, uccide molto meno, e chi è sieropositivo, se trattato per tempo, può aspirare a una sopravvivenza non lontana da quella di una persona sana. Ma se la ricerca farmacologica ha reso il virus meno letale e più compatibile con una buona qualità della vita, ancora nessuno guarisce. Non solo: proprio per il minor allarme sociale che la malattia comporta, l'informazione sull'HIV, oggi, è meno completa e capillare di un tempo, malgrado tutti gli strumenti di comunicazione di cui possiamo disporre. E anche se nel mondo i sieropositivi vivono molto più a lungo (nel 2012 erano circa 35 milioni) e le morti per AIDS diminuiscono fortemente (1,6 milioni, sempre nel 2012), emergono dati che debbono suscitare attenzione: in Italia, i nuovi casi di HIV sono raddoppiati negli ultimi sei anni, passando da poco più di duemila nel 2006 a 3.853 nel 2012. Il pericolo viene sottovalutato, e spesso la diagnosi arriva tardi per intervenire con la massima efficacia.

In un panorama mediatico in cui l'Italia viene dipinta come un immenso trampolino dal quale gli studiosi si paracadutano verso mete felici, la Richter è uno di quegli scienziati che hanno scelto di restare. Nata a Milano, a Padova dall'infanzia, laureata al Bo in chimica e tecnologia farmaceutiche, è stata tre anni nel New Jersey per gli studi di dottorato (scienze farmaceutiche) e un periodo post-doc. Poi un secondo dottorato in virologia a Padova, e una carriera tutta nell'ateneo cittadino.

Ciò che rende speciale questa giovane docente è che, negli ultimi sei anni, i progetti cui ha preso parte hanno ottenuto finanziamenti per un totale di cinque milioni e mezzo di euro. In un'epoca in cui i nostri ricercatori devono lottare per spartirsi i pochi fondi a disposizione, la professoressa padovana si è permessa dei lussi davvero anomali. Come quando, nel 2008, ha potuto scegliere tra due finanziamenti milionari, uno dell'Unione europea e uno ministeriale: "Una mia prima proposta – spiega – non era stata approvata da Roma: ma quando è stata selezionata a livello europeo, il ministero mi ha proposto di coprire un importo maggiore di quello finanziato da Bruxelles". Oppure quando, tra il 2011 e il 2013, il suo è stato l'unico progetto italiano sostenuto dalla Fondazione Gates, che ha operato secondo un pragmatismo tipicamente americano: "Ho prima passato una selezione per un fondo di centomila dollari: è la base che offrono ai ricercatori per dimostrare quanto valgono. Se si convincono dei primi risultati, conquisti la loro fiducia. E così ho ottenuto un milione di dollari".

I primi successi, in realtà, sono raggiunti dall'équipe della Richter in un settore differente, le ricerche per farmaci antitumorali. Ma l'oggetto dell'attenzione del gruppo è il medesimo che porterà agli studi sull'HIV, e si chiama "G-quadruplex" o "G4". Si tratta di una particolare struttura quadripartita che il DNA può assumere in determinate circostanze. La Richter inizia a osservare il G4 proprio nelle cellule tumorali: molti studi mettevano in relazione la presenza di G4 e regioni cellulari coinvolte in trasformazioni oncologiche. Il gruppo padovano studia l’attività di composti in grado di riconoscere i G4 “tumorali”. È da qui che parte l'intuizione che permette al team, primo al mondo, di aprire una prospettiva totalmente nuova. "Dal momento che la struttura era così "efficiente" nelle cellule – chiarisce la docente – perché, ci siamo detti, non cercarla anche nei virus?".

La Richter giunge ad avere importanti conferme sulla presenza del G4 nel DNA dell'HIV, e ne studia le correlazioni con l'azione del virus. Si comprende, così, come la formazione del G4 abbia conseguenze dirette sulla produzione del virus, che passa dallo stato latente a quello attivo a seconda che il G4 sia presente o no. Ecco l'obiettivo: ideare molecole in grado di stabilizzare la presenza del G4 e, di conseguenza, neutralizzare il virus. La difficoltà maggiore, però, è proprio quella di creare composti che colpiscano solo il G4 del virus HIV: infatti, essendo la struttura quadripartita presente anche in cellule di altri tipi, i farmaci attuali non agiscono selettivamente, ma colpiscono anche il G4 in cellule sane. Senza contare che gli attuali anti-HIV agiscono solo sul virus già prodotto, e sono inefficaci quando l'HIV è latente: di qui la necessità di trovare un farmaco che, colpendo il DNA del virus, agisca anche se questo non si riproduce.

La sfida è avviata, e la domanda, per un team che ha ottenuto riconoscimenti di questa portata, è inevitabile: nessuna tentazione di proseguire gli studi all'estero, fuggendo dalla burocrazia italiana? La studiosa ha le idee chiare: "Noi vogliamo rimanere qui. Non nego che vincoli burocratici e poca meritocrazia siano mali profondi del sistema italiano. Penso ad esempio alla difficoltà ad assumere personale, le lunghe procedure di legge per acquisire strumentazione, il problema degli spazi. Ma voglio ancora credere che in Italia la ricerca di alto livello sia possibile". Lo spera, certamente, il gruppo che affianca la studiosa, una decina di giovani di età media intorno ai trent'anni. Una risorsa troppo preziosa, per farcela soffiare da Bill Gates.

Martino Periti

 

Sara Richter nel suo laboratorio. Foto: Massimo Pistore

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