Foto: Archivio/A3/contrasto
Il sogno di una scuola di qualità ma inclusiva, di un’educazione autorevole ma non autoritaria e non classista, che sappia divenire strumento di emancipazione politica e sociale: cosa resta di tutto questo a cent’anni dalla nascita del priore di Barbiana? Ne parliamo con Adolfo Scotto di Luzio, autore de L'equivoco don Milani (Einaudi, collana Vele, 2023), un pamphlet che riflette sul modo in cui la figura del sacerdote è stata recepita e in qualche modo manipolata in questi anni. “La morte precocissima ha fatto sì che don Milani divenisse, soprattutto a partire dal ’68, un ‘segno’ da riempire di significati – spiega a Il Bo Live Scotto di Luzio, che insegna storia della pedagogia presso l’Università di Bergamo –. In seguito, verso la fine degli anni ’70, è come entrato in un cono d’ombra, per poi tornare al centro del dibattito pubblico in corrispondenza con la fine della cosiddetta prima Repubblica, quando si pensò a una riforma della scuola”.
“L’uso che è stato fatto del ‘segno’ don Milani più che con la sua storia riguarda le culture politiche prevalenti nella scuola italiane – continua lo studioso –. Il don Milani 'inclusivo' che oggi viene celebrato ha poco o niente a che fare con il don Milani del ‘68, quando la sua Lettera a una professoressa viene letto come un testo rivoluzionario, ancorché scritto da un prete. In ogni caso si tratta di immagini che derivano dalla scarsa conoscenza delle sue opere”.
Chi è allora don Milani, e qual è il rapporto tra persona, figura pubblica e mito?
“È Innanzitutto un prete cattolico, che tra l’altro inizia il suo ministero in un contesto politico molto particolare: alla vigilia della rottura dell’unità del Cln, poco prima che De Gasperi estrometta comunisti e socialisti dal governo repubblicano. All’inizio coltiva il sogno, che sarà anche di Dossetti, di un partito cattolico che faccia la rivoluzione: che ricomponga cioè la frattura tra Chiesa e classi popolari creatasi a partire dal 1848, quando di fronte allo spauracchio della ribellione delle masse le gerarchie scelgono l'alleanza con il trono dal punto di vista politico e con la borghesia da quello sociale. Poi però, a partire dal 18 aprile 1948 l’illusione si trasforma in delusione. La vittoria della Dc contro il Fronte Popolare diventa nella sua visione in un’occasione persa: per lui i cattolici tradiranno ancora una volta i poveri per scegliere i l’economia e la grande finanza”.
“ Il don Milani 'inclusivo' celebrato oggi ha poco o niente a che fare con il don Milani 'rivoluzionario' del ‘68
Forse anche per questo, oggi come allora, è proprio una parte del mondo cattolico a criticarlo?
“Il rapporto con la Chiesa, alla quale resta sempre obbediente, è radicato nelle caratteristiche stesse di don Milani, convertito tardivo guardato con sospetto fin dai tempi del seminario; un grande borghese proveniente da una famiglia non solo benestante, ma anche connotata da tradizioni intellettuali di forte matrice laica, un giovane intelligentissimo e brillante che nel modo stesso di porsi ha quel tratto di sicurezza sociale che le gerarchie non sono abituate a tollerare. Qui sta anche l’origine del conflitto con i gesuiti della Civiltà Cattolica e con il vescovo ausiliario di Firenze Ermenegildo Florit, che termina solo con la morte del sacerdote. La Chiesa impiegherà anni a capire cosa ha perso mettendo ai margini don Milani: è papa Francesco a chiudere la questione andando nel 2017 a Barbiana, approdo un percorso iniziato molti anni prima”.
Parliamo del rapporto con la scuola, in particolare pubblica.
“Occorre anche qui distinguere tra il pensiero del priore di Barbiana e le appropriazioni che ne sono state fatte. Per me lui non crede nella scuola pubblica: non le chiede di promuovere i suoi allievi quanto di non bocciarli, di non ostacolare il diritto del povero a ottenere un diploma per poter poi fare da sé. Una sorta di richiesta di non luogo a procedere, sulla base dell’incompetenza a giudicare i poveri. Non crede che gli ultimi trovino la loro redenzione nell’istruzione borghese e laica, e la sua polemica contro la presenza di alcuni autori nei programmi scolastici è anche e soprattutto contro una scuola che non fa del Vangelo il suo testo di riferimento. Un modo di vedere proprio del cattolicesimo integralista, che però viene messo in secondo piano si parla di don Milani come simbolo di pace, tolleranza e inclusione”.
Oggi si parla molto di merito: è davvero alternativo all’inclusione?
“Le parole coprono una vastità di significati spesso in conflitto tra di loro; tuttavia cos’è e cosa vuole diventare una società che non riconosca le capacità dei singoli di conquistare mete e ottenere risultati? Quale criterio adotterà per distribuire le ricompense sociali, il diritto di nascita? Non siamo tutti uguali ma abbiamo tutti un uguale diritto a essere trattati come persone differenti. In una società pluralista come la nostra qualsiasi criterio che metta in discussione questo elemento porta non solo al conformismo, ma a conseguenze terribili per tutti. Accoglienza e inclusione sono questioni fondamentali ma siamo proprio sicuri che possano essere risolte sul terreno della scuola, in particolare abbassandone il livello piuttosto che fornendo ai ragazzi gli strumenti per formarsi una propria coscienza sociale e politica?”.
Qual è oggi l’attualità di don Milani di fronte alle sfide della scuola di oggi, a partire dall’integrazione delle persone provenienti da altre culture e lingue?
“In realtà tutta la riflessione moderna sulla scuola prende spunto dai margini, non nasce nei collegi dei nobili e dei gesuiti ma quando, circa 250 anni fa, ci si pone il problema della scolarizzazione dei contadini. Don Milani è uno dei tanti esempi di chi sente l’urgenza di fare i conti con questa realtà: da Pestalozzi in poi sono molti i pensatori che si pongono il problema di portare al centro chi sta ai margini. Don Milani è rivoluzionario nel senso che per lui è il centro a doversi spostare nella periferia: un messaggio seducente che però vale più come orizzonte utopico che come metodo operativo. Don Milani è una figura molto interessante, ma di un’Italia che non c’è più”.
Perché?
“Sono cambiati i tempi, mancano quelle passioni politiche: tanto che don Milani, ogni qual volta si voglia varare una nuova riforma della scuola, è ridotto alla figura piuttosto triste di una sorta di grande consulente del ministro dell'istruzione. Oggi trattiamo inoltre giovani in termini di counseling e di provvidenze, nel discorso pubblico attuale li ritraiamo come malatini, vittime. I giovani di don Milani sono energici, pronti a prendersi al mondo. Questo dà la misura della distanza tra don Milani e noi: non è vicino, è remotissimo”.