UNIVERSITÀ E SCUOLA

Il mentoring come opportunità di crescita personale e sociale

Possiamo pensare al mentoring come a un cammino condiviso, un particolare tipo di rapporto uno a uno in cui una persona con poca esperienza decide di lasciarsi accompagnare nel suo percorso personale o professionale da un mentore: qualcuno che in quel campo è più esperto e che si considera degno di stima e fiducia. Questa particolare forma di alleanza può nascere spontaneamente tra una persona (il mentee) che sta muovendo i suoi primi passi in un certo campo della vita (scolastico, accademico o lavorativo, ad esempio) e una più “navigata” (il mentor), che ha a cuore il futuro e il benessere della prima.

Tuttavia, il termine mentoring viene utilizzato anche per riferirsi a una relazione preorganizzata, in cui l’abbinamento del mentore al mentee è frutto di un lavoro condotto da un’equipe di esperti e gli incontri tra le due parti coinvolte si svolgono secondo un programma strutturato, nel rispetto di alcune linee guida internazionali.

Con l’aiuto della dottoressa Claudia Marino, ricercatrice al Dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione all’università di Padova e responsabile scientifica del programma Mentor-UP presso lo stesso ateneo, abbiamo approfondito alcuni aspetti basilari su cui si fondano i progetti di mentoring e i benefici attesi per entrambe le parti coinvolte.

“I programmi di mentoring si sviluppano attraverso il lavoro di un’equipe che propone a mentor e mentee di condividere alcune attività prestabilite per un determinato periodo di tempo”, spiega Marino. “Tali progetti si differenziano a seconda del target, cioè delle tipologie di persone che vengono identificate come mentor e mentee. Ad esempio, il modello tradizionale di mentoring, sviluppato negli Stati Uniti della professoressa Jean Rhodes, prevede di affiancare una persona giovane adulta a un minore, per aiutarlo con il suo sviluppo emotivo e sociale”.

Il termine in questione copre però uno spettro di significati molto ampio e viene utilizzato per descrivere programmi molto diversi tra loro. “I mentee possono anche essere persone adulte che si trovano in una fase di transizione nella loro vita” prosegue Marino. “Questo è ciò che accade durante il passaggio da un corso di laurea triennale a uno magistrale (come nel caso del peer mentoring, dove uno studente più avanti nel suo percorso di studio fa da mentore a un altro iscritto da meno tempo all’università), oppure al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro post lauream (nel caso del mentoring accademico/aziendale). Il mentoring viene utilizzato anche come forma di sostegno alle persone che hanno appena iniziato una carriera in ambito aziendale, le quali vengono affiancate a un impiegato con maggiore esperienza, con il quale possano creare un legame più informale volto alla condivisione di conoscenze relative al contesto di lavoro specifico”.

L’intervista alla dottoressa Claudia Marino. Servizio e montaggio di Federica D’Auria

La varietà dei programmi di mentoring organizzati in contesti diversi suggerisce che questa forma di interazione possa rivelarsi efficace per persone di qualsiasi fascia d’età. Sulla base di questa considerazione, Marino riflette riguardo la possibilità di creare delle occasioni in cui studenti e studentesse universitari facciano da mentor a persone anziane che desiderino migliorare le loro competenze tecnologiche o essere accompagnate in una fase di invecchiamento positivo.

Ciò che accomuna i diversi programmi di mentoring a livello europeo è il rispetto delle linee guida internazionali dettate da un ente chiamato Mentoring Europe, che ha lo scopo di uniformare i progetti organizzati nei diversi paesi per massimizzarne l’efficacia sulla base dei risultati tratti dalla letteratura scientifica sull’argomento. Tali direttive sono seguite anche in Mentor-UP, il programma dell’università di Padova fondato dal professor Massimo Santinello, che lo ha coordinato per 15 anni.

“Mentor-UP affida il ruolo di mentor a studenti e studentesse dell’ateneo – iscritti a ogni tipo di corso di laurea – che vengono affiancati a ragazzi e ragazze in età scolastica che vivono una situazione di disagio”, racconta Marino. “Molto spesso i mentee vivono in comunità educative di Padova oppure frequentano le scuole della città e sperimentano una fragilità socio-economica o relazionale che l’accompagnamento del mentor, in un contesto strutturato come quello offerto dal programma, può aiutare ad affrontare.

Il programma inizia con un corso di formazione per i mentor e le mentor, i quali hanno bisogno di sviluppare specifiche competenze per costruire la relazione con i mentee”. Inoltre, come spiega Marino, viene misurata la motivazione degli aspiranti mentor a ricoprire questo ruolo, che richiede da parte loro una quantità considerevole di tempo. Viene considerata anche la loro propensione alla multicultura, poiché molto spesso i membri delle coppie formate hanno diversi background culturali di riferimento.

“Dopo la formazione, ci si occupa del matching”, prosegue Marino. “Si tratta degli abbinamenti tra mentori e mentee, i quali vengono effettuati dall’equipe sulla base di interessi comuni tra queste due persone. Dopo il matching, le coppie si incontrano per due ore a settimana per un intero anno accademico”. Anche la durata dell’esperienza conta. Infatti, i risultati della letteratura scientifica sull’argomento – principalmente di quella americana che, come spiega Marino, è la più ampia e completa – suggeriscono che i programmi di mentoring debbano durare almeno sei mesi. Questo è il tempo necessario per permettere alle parti coinvolte di stabilire un legame. Al contrario, relazioni interrotte precocemente potrebbero addirittura causare un effetto contrario rispetto a quello desiderato.

Come racconta la ricercatrice, i primi incontri sono quelli più difficili, in cui la relazione sembra ancora forzata. Successivamente, però, i legami si stringono e diventano più autentici. “Seguendo le fasi di formazione, appaiamento e incontro delle coppie con supervisione costante da parte dell’equipe prima, durante e dopo l’intervento, si registra il raggiungimento ottimale di molteplici obiettivi dal punto di vista sia relazionale, sia pratico”, afferma Marino. “Molto spesso i mentor e le mentor hanno la sensazione di aver appreso cose nuove, ma anche di aver trovato una persona cara”.

Come spiega Marino, anche nella valutazione dell’efficacia dei programmi di mentoring vengono seguite alcune regole internazionali, le principali delle quali sono state sviluppate negli Stati Uniti, dove il mentoring è stato strutturato per la prima volta a livello nazionale. “Gli strumenti di valutazione misurano principalmente la qualità della relazione instaurata tra mentore e mentee tramite specifici questionari che vengono somministrati a entrambi i membri della coppia, in modo tale da considerare le diverse prospettive. Un altro strumento molto importante per la valutazione dell’efficacia riguarda la compilazione di un diario settimanale da parte dei mentor. Questa attività li aiuta a tenere traccia dell’andamento degli incontri, dando loro la possibilità di riflettere sulle strategie che hanno funzionato meglio e sugli aspetti da migliorare. Le registrazioni raccolte nei diari permettono di ottenere informazioni qualitative e quantitative rispetto all’evoluzione delle relazioni. Tali dati possono essere usati per sviluppare un processo continuo di ridefinizione degli obiettivi e delle strategie in collaborazione con i gruppi di supervisione che vengono organizzati ogni due o tre settimane.

Nello specifico, i benefici che abbiamo osservato in Mentor-UP hanno a che fare con un aumento dell’autostima da parte dei mentee, i quali hanno riferito anche una maggiore capacità di gestione delle emozioni, in particolare di quelle negative, come la rabbia, nonché una riduzione delle difficoltà relative all’attenzione nel contesto scolastico e non solo”. La relazione con il mentor fornisce inoltre ai mentee un esempio di relazione positiva che può essere generalizzata e trasferita ad altri contesti della loro vita.

“Come è emerso dalle nostre valutazioni, anche i mentor e le mentor hanno tratto beneficio dalla partecipazione al programma, considerato come una vera e propria forma di volontariato”, continua Marino. “Gli studenti e le studentesse hanno riferito infatti un senso di appagamento per aver risposto ai propri bisogni di solidarietà, aiuto e cittadinanza attiva”. Effetti di questo tipo sono stati osservati anche sul lungo periodo tra gli ex mentor che negli ultimi quindici anni hanno partecipato a Mentor-UP, i quali hanno riferito come l’adesione al programma abbia incrementato il loro senso civico e migliorato la qualità della loro relazioni sociali.

“Per ragioni principalmente pratiche, I programmi di mentoring sono strutturati in base ai tempi dell’anno scolastico e accademico”, racconta Marino. “Spesso, però, le relazioni continuano anche durante l’estate e persino negli anni successivi. Infatti, al termine del programma, le coppie sono libere di continuare a frequentarsi. Questo è ciò che avvenuto con la maggior parte delle 700 coppie che hanno aderito a Mentor-UP negli ultimi 15 anni, per le quali la partecipazione al programma ha costituito l’avvio di una relazione più duratura”.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012