CULTURA

Il rock e il Muro

Nel 1987 David Bowie tornò nella capitale tedesca per partecipare a un concerto che si tenne talmente vicino al Muro di Berlino da essere udibile anche per chi si trovava dal lato est della città. Quella performance di “Heroes” fu così epica che diede adito a una serie di narrazioni e speculazioni più o meno scherzose secondo le quali il Duca bianco avrebbe contribuito a far crollare il muro due anni dopo.

Ovviamente non fu David Bowie a far cadere il Muro di Berlino, ma una conferenza stampa del 9 novembre 1989, in cui l’allora funzionario della Repubblica Democratica Tedesca Günter Schabowski, impreparato di fronte alla domanda di un giornalista, annunciò che da quel momento in poi sarebbe stato possibile per gli abitanti di Berlino est attraversare liberamente il confine che tagliava a metà la città.

A 35 anni di distanza da quel giorno, il Muro di Berlino è rimasto non solo un simbolo del Novecento, ma anche una fonte di ispirazione fondamentale per artisti e musicisti rock che parlavano di libertà, pace e ribellione, alimentando le speranze di un’intera generazione che sognava a occhi aperti il giorno in cui il mondo non sarebbe più stato diviso in due blocchi. Questa è la tesi proposta da Riccardo Gazzaniga nel podcast “1989. Wind of change”, che ripercorre gli eventi principali che hanno preceduto la caduta del Muro di Berlino e il modo in cui essi si intersecano con alcune tappe fondamentali della storia del rock.

“Nei paesi della cortina di ferro tutto quanto era occidentale diventava sinonimo di pericolo”, racconta Gazzaniga. “Al tempo stesso, però, non si potevano cancellare gli input che filtravano a fatica dal mondo fuori. Per cui si cercava una difficile convivenza, come nel caso del Klaus Renft Combo, un gruppo di rock settantiano amatissimo nella Germania Est che radunava folle di giovani e fu tollerato per anni sino a quando non iniziò nelle sue canzoni a criticare il regime. A questo punto fu cancellato, letteralmente. Costretto a sciogliersi e fatto sparire dai cataloghi discografici come se non fosse esistito.

Ma il regime non poteva nulla con quanto era oltre il Muro e accade il paradosso che i gruppi di hard rock da classifica come Motley Crue, Skid Row, Bon Jovi, Cinderella e Guns and Roses divennero emblemi di libertà anche se i loro testi non erano per niente politici. Ma esprimevano ribellione, voglia di vivere all’eccesso, esaltazione del limite e questo aveva molta forza in paesi sottoposti a un regime ferreo”.

Ma come racconta Fernando Rennis – scrittore, conduttore radiofonico e autore per Rolling Stone e Il Sole 24 Ore – ancora prima c’era stato il punk. “Tra il 1976 e il 1977 i Sex Pistols esplosero sulla scena musicale e pubblicarono il loro unico storico album Never Mind the Bollocks, Here's the Sex Pistols”, racconta Rennis. “All’epoca, comunque, erano attivi altri gruppi punk, tra cui i Buzzcocks, con il loro disco autoprodotto dal titolo Spiral Scratch”.

Da lì in poi il punk si diffuse ovunque, persino a Berlino est. “Come racconta Tim Mohr nel libro Burning Down The Haus: Punk Rock, Revolution and the Fall of the Berlin Wall, all’inizio degli anni Ottanta il punk veniva considerato un genere musicale eversivo, in grado addirittura di minare la stabilità del sistema”, continua Rennis. “Per questo motivo i giovani dell’epoca s’ingegnarono per ascoltare questa musica in modo clandestino, captando le trasmissioni radiofoniche provenienti dall’estero o importando illegalmente i dischi dall’ovest, vicende che mostrano come qualsiasi barriera – geografica, tecnologica o politica (basata sulla censura) – può sempre essere buttata giù dalla cultura e, soprattutto, dalla controcultura”.

A Berlino, il quartiere punk per eccellenza era quello di Kreuzberg.Oggi è un quartiere centrale, ma allora si trattava di una zona periferica che si trovava proprio accanto al muro”, spiega Rennis. “Lì sorgevano i famosi Hansa studios, dalle cui finestre si riusciva addirittura a vedere dall’altra parte del muro. In questo studio di registrazione, nel 1977, David Bowie pubblicò due album leggendari, Low e Heroes. Low, in particolare, è un disco fondamentale per il post punk, iniziato nel Regno Unito dopo che la spinta del punk si era esaurita all’inizio degli anni Ottanta. Proprio a una traccia strumentale di Low – “Warszawa” – era ispirato “Warshaw”, il primo nome dei Joy Division, sostituito perché troppo simile a quello di un altro gruppo di Londra chiamato Warsaw Pakt, con un esplicito riferimento al Patto di Varsavia. Insomma, gli avvenimenti geopolitici dell’Europa continentale colpivano profondamente la sensibilità di persone e artisti anche nelle isole britanniche”.

Anche la storia della celebre “Heroes” è collegata al Muro di Berlino. Infatti, come ricorda Rennis, “Mentre scriveva il testo di questa canzone, Bowie fu ispirato dalla vista di due persone che si baciavano accanto al Muro”.

I, I can remember standing by the wall. And the guns shot above our heads. And we kissed, as though nothing could fall. And the shame was on the other side. Oh we can beat them, for ever and ever. Then we could be Heroes, just for one day “Heroes”, David Bowie (Heroes, 1977)

Nell’estate del 1989 venne organizzato il Moscow Music Peace Festival, l’evento che portò la musica rock nel cuore del blocco orientale. Due giorni di concerti che hanno alimentato il vento del cambiamento che stava iniziando a soffiare nei paesi dell’Unione sovietica alla fine degli anni Ottanta. “Il Moskow Peace Festival del 1989 segnò un momento poco noto e secondario in cui diventò però assolutamente chiaro che il mondo a est era cambiato”, racconta Gazzaniga. “Grazie al lavoro di una band sovietica, i Gorky Park, e di un manager spregiudicato, i rocker americani arrivarono a Mosca e riempirono per due sere lo stadio. E tutto questo avvenne con il tacito assenso di Gorbaciov.

Il Festival con i ragazzi che cantavano un inglese che non conoscevano, i soldati schierati eppure quasi partecipi anche loro, i rocker americani coi capelli al vento, i look eccentrici e i corpi sensuali sul palco erano il segno plastico che la storia non si poteva fermare. Prima della canzone “Blood on Blood” Jon Bon Jovi sul palco tenne un piccolo monologo in cui parlò di cambiamento, di autodeterminazione, di amicizia e ringraziò il pubblico in russo. Quel momento divenne, ben oltre le intenzioni e la consapevolezza degli stessi musicisti, un gesto e un momento politico”.

Proprio mentre si trovava a Mosca per il festival, al cantante degli Scorpions Klaus Meine, venne in mente il motivo della celebre ballata “Wind of change”, uscita nel 1990 e considerabile, retrospettivamente, l’inno della caduta del Muro di Berlino.

“La sera che precedeva il primo dei due concerti le band furono invitate a un grande barbecue al Gorky Park, e vi si recarono in barca”, racconta Gazzaniga. “Era una splendida serata di estate, piena di speranze e di attesa. Sulla barca Klaus Meine si accorse che insieme a loro – di nazionalità tedesca – c’erano anche musicisti sovietici, rocker americani, soldati dell’Armata Rossa e le persone di MTV: gente di tutto il mondo unita dalla musica. Il cantante ci pensò su e iniziò a fischiettare un motivo che gli viene in mente. Quando il festival giunse al termine, Meine tirò fuori quel motivetto, ripensò alla serata e scrisse il pezzo, che inizia appunto con “Ho seguito la Moscova giù verso Gorky Park”.

Pensando ad altre canzoni diventate simbolo dello spirito di libertà e di cambiamento che ha accompagnato la caduta del Muro, Gazzaniga ricorda anche “Freedom” degli WHam, “Heroes” di Bowie, “People are people” dei Depeche mode, “Time for change” dei Motley Crue, “Living for tomorrow” degli stessi Scorpions. “Ma cito anche un pezzo poco noto, ovvero “Looking for freedom” di David Hasselhoff, il Michael Knight di Supercar che ebbe anche qualche successo come pop star. La sera di Capodanno del 1989, con una terrificante giacca a lucine intermittenti, Hasselhoff si esibì davanti a una folla immensa di fronte alla porta di Brandeburgo e con la gente seduta sul muro ormai inutile in un momento che diventa icona”.

“La funzione del Muro di Berlino dal punto di vista artistico è stata simile, per certi versi, alla siepe di Leopardi ne L’infinito”, osserva Rennis. “Alimentava la curiosità per quello che c’era dall’altra parte e che non si riusciva a vedere. E l’immaginazione veniva portata all’atto creativo. Il Muro era il simbolo di un mondo diviso in due blocchi separati, dotati di caratteristiche opposte: da un lato il mondo giusto, libero e avanzato degli Stati Uniti, dall’altro il sistema sovietico arretrato, la parte sconfitta, che non si era mai ripresa dalla Rivoluzione di Ottobre. Il muro faceva rimbalzare queste narrazioni e le amplificava, aumentando la curiosità verso ciò che si trovava davvero dall’altra parte: i sovietici crescevano con l'idea che a ovest esistesse un mondo libero, mentre gli occidentali si immaginavano un est arretrato, contadino e agricolo, ma dotato pur sempre di un certo fascino esotico.

Credo perciò che la presenza del muro (finché c’era) abbia influenzato di più la storia della musica, rispetto al suo crollo definitivo. Le spinte avanguardiste che avevano contraddistinto la musica degli anni Settanta e di inizio anni Ottanta (penso in particolare a generi come il new romantic, fortemente ispirato a David Bowie, il glam e anche la musica elettronica, che ha tra i suoi pionieri il gruppo tedesco dei Kraftwerk) sono venute meno dopo la caduta del muro. Le persone, soprattutto quelle più giovani, sognavano che il muro potesse crollare e che potesse succedere qualcosa. Il muro, paradossalmente, dava loro la possibilità di immaginare un futuro. Perciò, una volta crollato, ci si è ritrovati in una condizione definita dal critico musicale Simon Reynolds come “retromania”, in cui non si è più capaci di immaginare il futuro e allora si ripiega sulla musica del passato”.

“Credo quindi che il crollo del Muro abbia rappresentato un reale cambiamento più che altro per gli abitanti di Berlino, ai quali per 12 anni era stato fisicamente impedito di spostarsi da una parte all’altra della città e incontrare gli affetti che si trovavano al di là della barriera”, continua Rennis. “Per quanto riguarda il resto del mondo, questa barriera influenzava l’immaginario in quanto simbolo della Guerra fredda e del mondo diviso in due blocchi. Perciò, una volta crollato, l’attenzione internazionale – compresa quella degli artisti – si è concentrata su altro. Da quel momento in poi il resto del Novecento è stato talmente ricco di eventi che si sono accavallati – la Guerra del Golfo, il conflitto in Kosovo; e poi la nascita di internet, i Fatti del G8 di Genova, l’attacco alle Torri gemelle – che, in un certo senso, non c’è stato neanche il tempo di metabolizzare l’evento.

Per non parlare poi del fatto che la speranza che la caduta del Muro e il collasso dell’Unione sovietica aprissero la strada a un mondo nuovo si è ben presto infranta. Come ha argomentato il politologo Francis Fukuyama in La fine della storia e l'ultimo uomo, la vittoria del blocco occidentale ha rappresentato anche una vittoria totale del capitalismo e di un mondo che non si è rivelato così giusto ed equo come le nuove generazioni avevano sperato”.

On the day the wall came down they threw the locks onto the ground, and with glasses high we raised a cry for freedom had arrived.On the day the wall came down the Ship of Fools had finally run aground. Promises lit up the night like paper doves in flight “A great day for freedom”, Pink Floyd (The division bell 1994)

“Si mescolarono tendenze diverse, da una parte occidentali, dall’altra più popolari”, ricorda Gazzaniga, pensando agli sviluppi dell’industria musicale dopo la caduta del muro. “Per la prima volta i concerti e i canali come MTV portarono a est in modo massiccio e costante le tendenze dell’Ovest. A Berlino nei grandi spazi accessibili che erano stati del regime emerse la techno iconica della Germania che esasperava il desiderio di libertà espressiva e anche di trasgressione. Gli U2 pubblicarono Achtung Baby, che affrontava i temi del cambiamento, e lo registrarono a Berlino. Inoltre, i ragazzi iniziarono a muoversi verso Ovest per poter assistere ai festival e agli eventi musicali prima inaccessibili. La musica con il suo linguaggio universale fu la forma più rapida e immediata di avvicinamento, condivisione e mescolanza fra popoli costretti a una lunga separazione.

Ma credo che la caduta del Muro e di tutta la cortina di ferro sia stata un’ispirazione tematica per tanti artisti perché faceva sognare un’epoca di pace duratura, di autodeterminazione dei popoli, di acquisizione dei diritti che, oggi lo sappiamo, era illusoria. Ma di illusioni e speranze si è sempre alimentata la musica e ancora lo farà, declinata in altri generi”.

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