CULTURA

Cambio e le interrelazioni tra design e industria del legno

Nel catalogo della mostra Cambio, inaugurata alla Serpentine Gallery di Londra lo scorso 4 marzo, la curatrice Rebecca Lewin, ragionando sull’impatto ambientale delle attività umane, si domanda se le interviste previste nel corso dei tre mesi circa dell’exhibition, potessero essere fatte in remoto, anziché far venire le persone a Londra. A dare risposta affermativa, purtroppo, ci ha pensato la pandemia di COVID-19. Ideata e organizzata da Studio Formafantasma, uno studio internazionale di design fondato dagli italiani Simone Farresin e Andrea Trimarchi a Heindoven, Cambio analizza le interrelazioni economiche, scientifiche, filosofiche e culturali tra design e industria del legno. Nonostante la chiusura forzata in ragione della pandemia, grazie al sito internet è possibile accedere alla documentazione completa, alle interviste e ai video esposti, perché, dichiara Simone Farresin, “fin dall’inizio abbiamo voluto rendere Cambio il più accessibile possibile e le informazioni il più possibile disponibili”.

Cambio prende il nome dal latino cambium e fa riferimento, oltre al cambiamento in senso letterale, allo strato che, nel tronco degli alberi, ha la funzione di interscambio tra interno ed esterno, “registrando negli anelli di crescita anche i cambiamenti climatici” afferma Marco Carrer, dendroclimatologo dell’Università di Padova, consulente della mostra.

Cambio era già in elaborazione dal 2018, l’anno della tempesta Vaia sulle montagne del nord-est del nostro Paese, in cui un vento a 200 km/h ha provocato la caduta di milioni di alberi. Anche grazie alla mostra londinese, un fatto di tale portata ha forse trovato un momento di consapevolezza: con un lavoro del tutto simbolico, i due designer hanno progettato e costruito dei mobili utilizzando un solo tronco caduto in seguito a Vaia, ragionando in un’ottica di lunga durata e non di obsolescenza programmata, come invece accade per la gran parte dei prodotti di consumo, ai quali spesso riconduciamo la parola design. “Quando un albero viene abbattuto per produrre legname, i rami e le radici vengono tagliate e la corteccia rimossa. È questo il momento nel quale una specie vivente diventa un prodotto. […] Il nostro auspicio è che la mostra possa contribuire a un passaggio dalla comune percezione del design come elemento di stile a un approccio in grado di portare ad un cambiamento tangibile in un momento storico di grande instabilità climatica e sociale”. Così affermano Farresin e Trimarchi nel saggio, contenuto nel catalogo, in cui spiegano la mission della mostra.

Come è nata l’idea di Cambio?

Il direttore artistico della Serpentine, Hans Ulrich Obrist, ci ha coinvolti per ideare una mostra che parlasse del modo in cui pensano i designer. Abbiamo scelto di occuparci del legno, un materiale vivente, perché ci dava la possibilità di parlare di molti temi. In particolare, del modo in cui, come esseri umani, intendiamo la coabitazione del pianeta assieme ad altre specie. Soprattutto in questo momento storico, in cui c’è maggiore consapevolezza degli effetti del cambiamento climatico, ci è data anche la possibilità di non vedere più le altre specie al servizio dei bisogni umani, ma in un continuo scambio e conversazione: gli alberi ci permettono di fare questo.

 

 

 

In che modo la vostra mostra racconta il cambiamento climatico? 

Si tratta del tema portante, tanto che si apre con le immagini della tempesta Vaia. Grazie all’aiuto del Prof. Marco Carrer, abbiamo messo in luce come leggendo gli anelli di crescita del legno – a livello comparativo, tra campioni estratti adesso e altri più antichi, anche preistorici – si possa capire come il clima sia cambiato nel tempo. Estraendo un campione di legno dal tronco utilizzato per produrre i mobili esposti, e con l’aiuto di Carrer, abbiamo capito quando era nato quell’albero e quando è stato poi distrutto dalla tempesta Vaia. A livello geologico si tratta di un arco di tempo irrilevante, tuttavia è molto importante in quanto capiamo come in un periodo di tempo molto ristretto sia cambiata la temperatura del pianeta, è un modo per evidenziare in modo diretto il problema.

C’è inoltre un’installazione costruita utilizzando i pezzi di uno xilario (catalogo di legni) dai giardino botanici reali di Londra, i Kew Gardens. I Paesi che hanno un numero abbondante di legni provenienti da tutto il mondo sono ovviamente quelli con un retroterra coloniale come l’Inghilterra, la Germania, il Belgio, l’Olanda. Abbiamo fatto questa scelta espositiva perché era importante affrontare il legame tra industria del legno e colonialismo poiché il periodo storico che ha portato a un’economia su scala planetaria ha anche prodotto il modo attuale di intendere la produzione e il nostro rapporto con il pianeta. Il colonialismo è stato un usurpamento del territorio, della forza lavoro, della cultura e della capacità intellettuale di persone che abitavano in altri posti al di fuori dell’Europa: Cambio vuole mettere in discussione non solo il nostro modo di operare come desinger, ma anche come esseri umani.

Avete cercato di mettere in atto la vostra idea di sostenibilità per allestire la mostra?

Sì. Se Cambio analizza la governance contemporanea e come si è sviluppata a livello storico nell’industria del legno, il design viene tuttavia osservato in modo critico. Non c’è niente di più temporaneo, effimero di una mostra e, dunque, niente di più insostenibile. Abbiamo tentato di attuare dei sistemi che rendessero la fisicità dell’allestimento meno problematica possibile: il grande tronco all’ingresso non è della Val di Fiemme, come sarebbe stato più logico, ma di Londra, e abbiamo costruito una serie di mobili che avranno una vita dopo la mostra perché sono delle librerie, dei tavoli, degli oggetti che hanno una funzione, oltre a quella espositiva. Abbiamo ottenuto questa durabilità con il legno di pino, che non è tra i migliori per la costruzione di mobili, utilizzando lo stesso trattamento che si usa per il legno degli strumenti musicali.

Quali sono state le conseguenze del coronavirus sulla mostra?

Purtroppo, manca la dimensione fisica, che è importantissima. È interessante vedere come delle idee si traducono nello spazio, nella realtà, ed è una dimensione che ha molto a che fare con il design, è il suo grande potere. 

Qual è il ruolo della politica nella gestione sostenibile dell’industria del legno?

L’Unione Europea è una delle realtà più all’avanguardia in questo campo. È stata la prima istituzione politica transnazionale ad aver approvato delle leggi che permettono l’importazione di legni solo da quegli Stati dove vi sia una adeguata legislazione, che definisca cioè che cosa è legale e che cosa è illegale. Le foreste sono una realtà transnazionale e il conflitto tra paesi ex-colonie, come il Brasile, e l’Europa degli Stati ex colonizzatori crea conflitti sul bioma in relazione ai confini. È comprensibile pensare che gli Stati, fino a poco tempo fa saccheggiati da altri, ora non siano più disponibili a proseguire in questa direzione, ma vogliano imporre la propria posizione. È necessario un grande sforzo affinché questo tema sia trattato a livello sovranazionale. Invece, purtroppo, assistiamo a una enorme incapacità politica, data anche dalla complessità delle strutture di potere che sono alla base dell’industria del legno, non sempre facilmente identificabili. Cambio cerca di capire in quale contesto operiamo, come designer e come cittadini. È un design investigativo, che quasi si avvicina al giornalismo.

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