CULTURA

Cinema, la lost generation dissolta con la Jugoslavia

Trent’anni fa iniziava il conflitto che avrebbe portato alla dissoluzione della Jugoslavia. Sulla tragedia che per anni avrebbe dilaniato i Balcani, il cinema ha lasciato alcune testimonianze indelebili, da Underground di Kusturica a Lo sguardo di Ulisse di Angelopoulos: film celebrati, non a caso, dal Trieste Film Festival di quest’anno, una delle rassegne più attente alla produzione cinematografica del Sud-Est europeo. Festival che avrebbe voluto, e dovuto, fare delle guerre jugoslave il centro dell’edizione (tutta in streaming) appena terminata: ma che ha rinviato il progetto, nell’attesa di poter tornare a mostrare i film nelle sale, alla presenza del pubblico. Eppure, scorrendo le numerose sezioni del programma, si trova almeno una pellicola che, pur non affrontando il tema in modo diretto, restituisce al meglio l’atmosfera postbellica, sintesi di trauma irrisolto e desiderio di vita. Parliamo di Once Upon a Youth, toccante documentario (e primo lungometraggio) del croato Ivan Ramljak, critico e regista già segnalatosi con il corto Islands of Forgotten Cinemas, viaggio nostalgico nelle isole croate alla ricerca di memorie legate alle vecchie sale e agli spettatori che le animavano.

Anche in Once Upon a Youth la nostalgia è il fulcro registico e narrativo: stavolta però le memorie ripercorse sono intime, private, perché il film parla della breve vita di Marko Čaklović, il migliore amico della giovinezza del regista: la storia vera del legame tra due ventenni della Zagabria appena uscita dalla guerra, nella seconda metà degli anni Novanta. Ricordi personali, venati di malinconia, che coincidono con i primi anni della Croazia indipendente, e l’affacciarsi di una generazione di giovanissimi sulla scena culturale del Paese, impegnati nella costruzione di un’identità personale e collettiva. L’amicizia di Ivan e Marko è quella tra due ragazzi appassionati di musica indipendente e arti visive: un legame che nasce a Zagabria nel ’96 con il debutto di Radio Student, la prima emittente universitaria croata, e che prosegue negli anni, con Marko che si afferma come giovanissimo fotografo di successo.

È proprio da questo aspetto che scaturisce la tecnica narrativa del film, interamente composto da una successione di foto e video realizzati da Marko durante i dieci anni di amicizia con Ramljak. A commentare le vicende personali e del gruppo di amici, come voci fuori campo, sono lo stesso regista, due ex fidanzate di Marko, sua sorella, un altro stretto amico del ragazzo. Le splendide immagini in chiaroscuro, dai forti contrasti e lunghe ombre quasi a celarne l’essenza, ritraggono a volte momenti personali, affetti, vacanze, divertimento, a volte contesti legati alla Zagabria che tenta di rinascere. È la Croazia a cavallo del nuovo millennio, quando pare chiudersi, con la morte del nuovo “uomo forte” Franjo Tuđman, la fase nazionalista e conservatrice, e il Paese sembra svoltare, affidandosi alla sinistra e guardando maggiormente all’Europa. L’aria nuova che si respira favorisce il sorgere di nuove iniziative culturali, come locali di musica alternativa e centri di aggregazione giovanili, frequentati da Ivan e Marko e raccontati dagli scatti di Once Upon a Youth.

Nella narrazione di Ramljak, la storia personale di Marko e dei suoi amici è quella di una generazione piena di speranze che non troveranno risposte. Il fragile talento di Marko, il suo anticonformismo, la sua assoluta libertà rappresentano lo spirito di un popolo che spera di lasciarsi alle spalle la catastrofe tuffandosi in un periodo innovativo, aperto al mondo, senza retaggi politici e culturali che ne vincolino l’azione. Ma la vita di Marko non è una metafora efficace solo per la sua giovane età e l’anelito a un mondo nuovo. Marko cresce con un padre che non ha mai perdonato per aver abbandonato la famiglia, e con una madre assente per mesi, chiamata a lavorare all’estero. Il suo desiderio di vivere senza regole e progetti, spinto solo dal piacere e dalle occasioni del momento, contrasta con una sensibilità estrema che si chiude a ogni dialogo e confidenza, incapace di svelare sentimenti profondi persino alle persone a lui più vicine. E loro, gli amici, ne intuiscono l’infelicità, l’incapacità di stare davvero con gli altri e combattere i propri spettri in modi diversi dall’alcool o le droghe. “Scappavamo da tutto”, racconta uno del gruppo, “responsabilità, rapporti umani normali. Il nostro era solo un edonismo estremo”.

E la parabola di Marko, già scritta nello sguardo gentile e perduto di qualche suo autoritratto, si compie giorno per giorno: sempre più solo, sempre meno compreso da compagni che non accettano la barriera inscalfibile che lo separa dal mondo. Rompe i rapporti con tutti, persino con Ivan, ormai deciso a dare alla sua vita una direzione e delle regole. Nel finale, i rari inserti musicali del film, brevi frammenti sonori della band croata Tena Novak che evocano meditazioni e malinconie, si infittiscono, lasciando presagire l’epilogo. La morte di Marko, vinto dall’eroina a 27 anni, è la fine dei sogni, il ripiegamento di un’intera nazione che cercava una nuova ragion d’essere. Mentre l’omaggio del regista all’amico della giovinezza è rimpianto di purezza e, insieme, denuncia di un sacrificio collettivo che ha conosciuto solo sconfitti.

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