SCIENZA E RICERCA

Le città di domani saranno città verdi

L'High Line di New York è una linea della vecchia ferrovia sopraelevata, la West Side Line, trasformata in un lungo parco verde che domina dall'alto il lato occidentale di Manhattan. La City Hall di Chicago ha un tetto verde ricoperto di vegetazione, mentre a Greenwich, in Inghilterra, c'è un intero percorso pedonale su tetti verdi. Michelle Obama, durante la sua permanenza alla Casa Bianca, aveva inaugurato un orto urbano. A Sidney camminando per la città ci si può imbattere in edifici con un'intera parete verde.

“A Berlino è stato fatto un intervento di riqualificazione straordinario” spiega Maurizio Borin, direttore del Dafnae (dipartimento di agronomia, animali, alimenti, risorse naturali e ambiente). “Lo spazio interno di un quadrilatero di condomini della vecchia Germania dell'est è stato trasformato da discarica a zona di fitodepurazione e biopiscina con parcheggio sotterraneo: al livello superiore recuperano l'acqua reflua con un impianto di fitodepurazione, al livello intermedio c'è una zona di finissaggio e al livello inferiore c'è la zona balneabile”.

La fitodepurazione è un sistema che sfrutta le piante per depurare acque reflue domestiche, agricole, di attività commerciali o industriali e ne permette il loro riutilizzo. Attività diverse producono reflui diversi con diversi carichi di inquinanti. Gli allevamenti suini ad esempio producono acque nere, mentre attività commerciali come la ristorazione o le lavanderie producono acque grigie.

La fitodepurazione tradizionale richiede spazio: le piante che solitamente si usano sono alte dai 2 ai 4 metri, come la canna palustre. “La fitodepurazione trova la sua maggiore limitazione nella necessità di spazio. In ambienti urbani o industriali occorre strutturare dei sistemi che possano essere addossati alle pareti degli edifici, dove di spazio ce n'è poco. Le nostre città hanno una struttura urbanistica e storica ben definita”.

Nel 2017 Maurizio Borin e Nicola Dal Ferro, ricercatore al Dafnae, hanno vinto un finanziamento Prin (Progetto di ricerca di interesse nazionale) assieme alle università di Bologna, Catania, Palermo e Reggio Calabria, per lo sviluppo di un impianto di fitodepurazione a parete da impiegare in contesti urbani per depurare le acque grigie. “Questa è stata una bella intuizione di Nicola: abbiamo costruito il nostro impianto pilota vicino alla mensa di Agripolis (il campus dell'università di Padova di Legnaro, ndr). Prendiamo le acque dalla vasca Imhoff, una vasca di contenimento dove c'è già una stratificazione o chiarificazione del refluo iniziale. È acqua di lavaggio proveniente dall'attività di ristorazione (lavapiatti, acque di cottura, eccetera)”.

In Italia tutta l'acqua che alimenta i nostri edifici è acqua potabile, proveniente da un acquedotto. “Sprechiamo un sacco di acqua potabile per scopi che non richiedono acqua potabile. Lo sciacquone arriva a utilizzare anche 10 litri di acqua potabile”. Per la progettazione di edifici ecosostenibili Maurizio Borin è dunque un teorico della cosiddetta rete duale: “La rete duale è un sistema che consente di dotarsi di due tipologie di tubature, una per l'acqua potabile, che utilizziamo per bere o per lavarci, e una per l'acqua non potabile che alimenta lo sciacquone o l'impianto di irrigazione del prato, la pompa con cui laviamo l'automobile, il lavaggio dei piazzali o delle strade. Un serbatoio interrato recupera l'acqua piovana e le acque grigie e una pompa la immette in questo circuito. In questo modo avremmo molti meno costi di depurazione e molti meno costi per l'acqua potabile”.

Le acque grigie prodotte da attività commerciali e domestiche di un'area urbana grazie a impianti di fitodepurazione si trasformerebbero quindi da scarto in risorsa.

Sprechiamo un sacco di acqua potabile per scopi che non richiedono acqua potabile Maurizio Borin

Oltre alla funzione depurativa delle acque, un impianto di fitodepurazione a parete avrebbe molti vantaggi in un'area urbana: coibentazione degli edifici, mantenimento della biodiversità funzionale all'interno di un ambiente urbano antropizzato, eventualmente aspetto produttivo e non ultimo l'aspetto estetico.

“Naturalmente per questo tipo di sistemi dobbiamo utilizzare la pianta giusta: ci servono piante di piccola taglia, piante ricadenti che a maturità producano un muro verde, possibilmente colorate e profumate. Ma soprattutto devono essere piante che trovano vantaggio a vivere in presenza di acqua o addirittura sommerse e che siano adatte a sopportare carichi elevati di reflui e di inquinanti. Stiamo ora testando le proprietà specifiche di ciascuna pianta. E stiamo pensando a piante con epoche di fioritura differenti anche per pensare un domani a costruire un mosaico di colori in periodi diversi dell'anno”.

Diverse piante hanno queste caratteristiche, ma quelle impiegate nell'impianto pilota sono principalmente 4 specie: Mentha aquatica, Oenanthe javanica, Lysimachia punctuata e nummularia. “Stiamo scoprendo che hanno capacità depurative diverse. La menta è una pianta estremamente vivace e vigorosa. Il livello più alto è quello che riceve il refluo con tutti i suoi inquinanti. La menta si avvantaggia delle condizioni che noi consideriamo peggiori, ovvero con più inquinanti: infatti cresce di più nel primo livello e meno in quelli inferiori. Altre piante si trovano meglio a carichi di reflui inferiori e crescono meglio”.

I reflui solitamente hanno alta torbidità, sono ricchi di composti organici, hanno elevata salinità, e sono poveri di ossigeno. I processi degradativi delle macromolecole inquinanti sono favoriti dall'ossigeno trasportato dalle foglie delle piante alle radici che lo cedono poi in acqua. “Molto del lavoro di fitodepurazione viene in realtà svolto dai microrganismi che si insediano nelle radici delle piante ad esempio. La pianta depura direttamente assorbendo azoto e fosforo, facendo un lavoro di filtrazione con le radici e creando l'habitat per i microrganismi (cede sudati e altre sostanze organiche), ma è l'intero microecosistema che compie la depurazione. E il ruolo della pianta è centrale, non solo perché è l'elemento estetico più importante, ma anche perché regola l'intero ecosistema”.

A metà settembre a Tokyo, Maurizio Borin e Nicola Dal Ferro presenteranno al convegno mondiale sulla fitodepurazione i risultati del primo anno di monitoraggio. Il progetto si inserisce all'interno delle politiche di Green Infrastrucutre su cui l'Europa sta puntando. “A inizio anno abbiamo sottomesso un progetto europeo che prevede una partnership con il comune di Padova, dove si prevede l'installazione dell'impianto, reale e non pilota, su due edifici” conclude Maurizio Borin. “Forse ultimamente qualcosa si sta muovendo in termini di collaborazione tra università e comune. Come università noi potremmo essere molto più coinvolti, in diversi progetti; certamente servono gli architetti e le aziende, ma noi possiamo dare l'idea tecnica, l'idea scientifica. Noi siamo agronomi, speriamo che a forza di seminare qualche buona pianta nasca”.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012