SCIENZA E RICERCA

Dagli Stati Uniti un passo avanti per la ricerca open access

I prodotti della ricerca scientifica, soprattutto quella supportata da fondi pubblici, sono un bene comune che dovrebbe essere liberamente accessibile a tutti i cittadini che, tramite il sistema fiscale di tassazione, di fatto sono i finanziatori di quelle ricerche. Così purtroppo non è, perché gli articoli scientifici che contengono i risultati delle ricerche sono pubblicati su riviste specialistiche che, per poter essere consultate, richiedono un abbonamento che spesso è alla portata solo delle istituzioni accademiche e non del singolo cittadino. Il risultato è che i frutti della ricerca sono spesso confinati in un perimetro molto esclusivo a cui hanno accesso solo gli addetti ai lavori.

La battaglia per l’open access (l’accesso libero alle pubblicazioni scientifiche) ha una storia almeno ventennale, ma verso la fine di agosto è stata raggiunta una tappa importante.

Il governo degli Stati Uniti ha stabilito che tutte le ricerche finanziate da agenzie federali (l’equivalente dei nostri ministeri) debbano essere pubblicate in modo tale che siano immediatamente consultabili gratuitamente. Prima di questa decisione, considerata rivoluzionaria, gli editori delle riviste scientifiche potevano tenere per un anno i paper pubblicati dietro il muro del pagamento (paywall), prima renderli liberamente accessibili.

L’Office of Science and Technology Policy (OSTP) della Casa Bianca ora prevede che gli assegnatari di fondi di ricerca federali pubblichino le proprie ricerche su appositi siti (repositories) ad accesso libero che siano approvati dalle stesse agenzie federali.

Nel 2020, dei circa 3 milioni di paper scientifici pubblicati nel mondo, sono stati finanziati da fondi federali statunitensi tra il 7% e il 9% del totale, ovvero tra i 195.000 e i 263.000 paper, secondo le stime dell’OSTP.

Anche se molti dettagli della nuova misura devono ancora essere delineati, qualcosa di simile è già stato avviato in Europa, con Open Research Europe, una piattaforma di pubblicazione ad accesso libero, realizzata dalla Commissione Europea e rivolta a tutti i ricercatori assegnatari di un finanziamento Horizon2020 o HorizonEurope.

Oltre alla libera consultazione degli articoli scientifici, la piattaforma europea prevede anche il libero accesso ai dati che supportano i risultati e le conclusioni dei lavori. "I dati devono essere il più aperti possibile" scrive il sito della Commissione Europea e rispettare i principi del FAIR, acronimo che sta per Findable, Accesible, Interoperable and Reusable (trovabili, accessibili, interoperabili e riutilizzabili). Anche in caso di diritti di protezione della proprietà individuale (nel caso un lavoro pubblicato serva ad esempio a licenziare un brevetto) la Commissione prevede forme di pubblicazione dei dati che garantiscano una libera accessibilità.

L’iniziativaORE è stata fortemente supportata da cOAlition S (o Plan S), un’associazione nata nel settembre 2018 per promuovere l’open access, e dallo European Research Council (ERC) il più importante fondo di finanziamento per la ricerca in Europa.

“Questa nuova misura politica degli Stati Uniti è un enorme cambiamento per la pubblicazione accademica” ha commentato Johan Rooryck, direttore esecutivo di cOAlition S. Gli Stati Uniti sono il Paese con la più grande produzione scientifica al mondo (anche se negli ultimi anni sono rivaleggiati dalla Cina) e in un mercato globale come quello dell’editoria scientifica gli effetti si faranno sentire anche oltre oceano.

Dall’altro lato gli editori delle riviste scientifiche hanno accolto più tiepidamente la decisione del governo statunitense, temendo che l’accesso libero tramite altre piattaforme a contenuti di cui erano gli esclusivi detentori potrebbe far perdere loro una mole considerevole di introiti provenienti da abbonamenti di biblioteche, università e istituzioni. Alcuni editori, come Elsevier (il più grande gruppo di editoria scientifica al mondo, con oltre 3000 riviste), si sono detti convinti nel supportare la ricerca open access, altri, come l’American Association for the Advancement of Science (AAAS, che pubblica la rivista Science) hanno dichiarato che è troppo presto per valutare l’impatto sulle riviste del gruppo. Aperte critiche sono arrivate invece dall’Association of American Publishers (AAP) che è preoccupata per le conseguenze economiche della misura sul proprio business. Le applicazioni della decisione del governo statunitense tuttavia non diventeranno pienamente operative prima del 2025 e in ogni caso non verrà imposto di pubblicare esclusivamente sulle piattaforme open access, ha precisato Alondra Nelson, direttrice dell’OSTP.

“Cambiare il sistema è stato finora difficile” scrive su The Conversation Virginia Barbour della Queensland University of Technology e direttrice di Open Access Australasia, “non ultimo perché il settore delle pubblicazioni accademiche è dominato da un ristretto numero di editori molto potenti e che fanno enormi profitti”. Si pensi solo che il margine di profitto annuale di Elsevier è maggiore di quello delle big tech come Google o Facebook.

Il modello di business dell’editoria scientifica

Il modello di business di un editore di riviste scientifiche infatti garantisce altissimi ritorni di guadagno e costi molto bassi. Il perché è presto detto: quando un ricercatore deve pubblicare su una rivista scientifica o invia l’articolo gratuitamente o addirittura, spesso, paga una quota alla rivista, che garantisce la diffusione dell’articolo. Lo stesso ricercatore per poter leggere la rivista su cui ha pubblicato, o altre riviste, deve pagare un abbonamento alla rivista (spesso lo fa tramite l’università cui è affiliato).

In altri termini, l’editore guadagna non solo quando vende la propria merce, ma anche quando si procura la merce da vendere, proprio perché è il ricercatore che spesso paga per pubblicare sulla rivista (i fondi per sostenere le spese di pubblicazione solitamente sono presenti nei progetti di ricerca finanziati da enti pubblici o privati).

Anche il controllo di qualità della merce non ha costi per l’editore, perché il processo di peer review dell’articolo scientifico viene fatto gratuitamente e su base volontaria da parte dei membri della comunità scientifica di riferimento (oncologi se si tratta di un articolo di oncologia, fisici della materia se si tratta di in articolo di fisica della materia).

Come riporta un articolo del Guardian del 2017, un rapporto del 2005 della Deutsche Bank descrive come “bizzarro” questo sistema di “triplo pagamento”, in cui “lo Stato finanzia la ricerca, paga i salari di chi controlla la qualità della ricerca e poi acquista la maggior parte dei prodotti pubblicati”.

Verrebbe da chiedersi: com’è possibile che un simile sistema continui a reggersi? Una delle risposte probabilmente si trova nel meccanismo di costruzione della carriera dei ricercatori, ovvero il publish or perish. Un ricercatore infatti deve pubblicare il più possibile in riviste ad alto impact factor (ovvero con un’ampia diffusione e alto prestigio), le quali richiedono quasi sempre cospicue quote di pagamento per la pubblicazione di un paper e costosi abbonamenti per la lettura.

Non solo una questione di principio

È molto raro che chi non sia affiliato a un’università o a un’istituzione paghi un abbonamento a una rivista scientifica. Il risultato è che i prodotti di progetti di ricerca spesso finanziati con soldi pubblici non sono accessibili al pubblico generalista, che pure tramite il sistema fiscale ne è il finanziatore.

La questione non è affatto solo di principio, ma anche molto pratica. Il caso della necessità di diffusione di ricerche in ambito sanitario è lampante. “Ad esempio” scrive Virginia Barbour “il fatto che medici non siano stati in grado di aver accesso a ricerche sull’Ebola può avere direttamente contribuito all’epidemia scoppiata nel 2015 in Africa Occidentale”.

Nel 1982 era stato pubblicato un articolo su una rivista medica, Annals of virology, che includeva anche la Liberia tra i Paesi esposti al rischio ebola. Come documenta un articolo del New York Times, altri tre lavori del 1986 rilevavano la presenza test anticorpali positivi nella stessa regione. Questi articoli però erano stati scritti e pubblicati da ricercatori europei su riviste europee: nessun medico liberiano era tra gli autori. Ancora oggi, per leggere anche uno solo di questi articoli occorre pagare circa 45 dollari. Allo scoppio dell’epidemia nel 2015 la Liberia era impreparata ad affrontarla.

Limiti dell’open access

L’annuncio dell’OSTP statunitense dunque segna una vittoria importante per la ricerca open access, che tuttavia deve ancora confrontarsi con diverse questioni. Ad esempio, la piattaforma europea ORE, entrata da poco in funzione, mantiene sì l’accesso libero ma non assegna un impact factor alle proprie pubblicazioni. Inoltre, nel garantire la pubblicazione del paper in 10 giorni non è semplice mantenere alta la qualità del processo di peer review. Non è chiaro dunque se e quanto i ricercatori saranno incentivati a pubblicare i propri lavori su questa piattaforma.

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