UNIVERSITÀ E SCUOLA

Dall'Orto agrario al campus di Agripolis

Didattica, ricerca e sperimentazione in campo agrario all’università di Padova: oggi è il campus di Agripolis, realizzato negli anni Novanta, ad accogliere queste istanze che, nate come urgenze nel corso del Settecento, si sono ufficialmente affermate nel panorama accademico a fatica, attraverso una storia ad alterne fortune.

A Padova la coltivazione e lo studio delle piante erano inizialmente oggetto di esclusiva competenza dell’Orto botanico, istituzione circondata da vasta fama fin dalla sua fondazione, nel 1545. Luogo a supporto all’insegnamento dell’agricoltura, l’Orto agrario sorse solo due secoli dopo quello botanico, rimanendone sempre completamente scollegato. Ad unire idealmente i due orti, uno studioso di botanica, Pietro Arduino: prima “giardiniere” e poi “custode” dell’Orto botanico, nel 1761 (ma formalmente nel 1765) divenne il primo docente a ricoprire la nuova cattedra ad rem agrariam e dal 1766 anche il primo direttore dell’Orto agrario.

La necessità di fornire corsi universitari di agraria rispondeva a sollecitazioni contingenti – la crisi alimentare, imputabile in parte all’arretratezza dell’agricoltura veneta, la crisi della sericoltura, legata a diffuse malattie epidemiche delle piante, le frequenti epizoozie che colpivano il bestiame -  e si legava a un tentativo di rinnovamento dell’università padovana, minacciata dal moltiplicarsi degli atenei in Europa. Per essere competitiva, l’università doveva dotarsi di nuove strutture e di spazi sperimentali, offrire corsi applicativi e moderni; e di farlo in italiano, non più in latino. Come diretta conseguenza di queste urgenze e a seguito dell’istituzione della cattedra di Arduino, nata anche in risposta a una spinta rinnovatrice che aveva portato in poco tempo all’istituzione di accademie agrarie in tutto il territorio della Serenissima, nel 1766 i Riformatori dello Studio concessero ad Arduino i finanziamenti necessari per realizzare un primo piccolo Orto agrario fornito di pochi attrezzi rurali e di un paio di animali. La località fu stabilita entro le mura cinquecentesche, a Borgo Santa Croce, in uno spazio libero da costruzioni che si incuneava nel fianco sud-occidentale della città.

Arduino, convinto che per migliorare l’agricoltura fosse necessario sperimentare nuove colture, tradusse in pratica i suoi insegnamenti nell’Orto, dando lezioni ogni anno da aprile ad agosto. Ma per le sperimentazioni il terreno affittato risultò presto insufficiente e a più riprese lo spazio riservato alle colture si ampliò, inglobando alcuni campi confinanti e arrivando ad estendersi per più di 5 ettari.

Le ricerche di Arduino divennero anche supporto per una possibile riforma agraria del governo della Serenissima: vi si sosteneva la bonifica delle terre umide per aumentare la produzione agricola, si proponeva l’uso del metodo “tarelliano” di rotazione quinquennale delle colture e l’adozione di politiche agrarie su modelli internazionali.

Dopo la caduta della Repubblica (1797), l’unificazione napoleonica al Regno d’Italia fornì il terreno ideale per la circolazione delle nuove idee in campo agricolo; ne giovò la ricerca, in particolare quella sulle piante di origine americana, come la patata, il mais, il pomodoro e il tabacco. In questo periodo, Arduino cedette cattedra e direzione dell’Orto al figlio Luigi, che proseguì a grandi linee l’opera del padre, impegnandosi soprattutto nella tintorìa e nelle ricerche per l’estrazione dello zucchero dalla barbabietola.

Questo tipo di conduzione dell’Orto, sostanzialmente votata alla ricerca, venne tacciata ben presto come “antieconomica” dal ministero della Pubblica istruzione, che invitò ad una gestione più schiettamente didattica. Con il ritorno stabile del Veneto agli austriaci e il passaggio della direzione dell’orto a Luigi Configliachi, si abbandonò quasi completamente la sperimentazione in favore dell’insegnamento delle pratiche e delle colture già diffuse. L’Orto si arricchì di sussidi per la didattica, fra i quali una collezione di libri in legno (oggi conservata nella xiloteca del Centro studi per l’ambiente alpino, a San Vito di Cadore) e una di modellini di macchine per la coltivazione dei campi, una parte della quale è oggi custodita presso il dipartimento Territorio e sistemi agro-forestali.

Scaduti uno dopo l’altro i termini dell’affitto, in pochi anni l’Orto si ridusse notevolmente. L’eliminazione formale nel 1870 della cattedra di agraria, che continuò però ad esistere in seno alla facoltà di ingegneria, sancì una definitiva perdita d’interesse da parte del mondo accademico. L’insegnamento agricolo si trasferì in sedi più applicative, come la Scuola Pratica di Brusegana, in grado di offrire terreno sufficiente per la sperimentazione delle nuove strumentazioni per la coltivazione dei campi.

Nei primi anni del 1900, l’Orto agrario risultava mutilato e in stato di semi-abbandono. Il terreno venne ceduto dall’Università al Comune di Padova, che negli anni Venti vi realizzò una porzione del nuovo quartiere Città giardino. All’università venne dato in cambio un fondo in zona Portello, dove venne costruita la nuova sede dell’Orto agrario, diretta da Leopoldo di Muro, docente di economia ed estimo, come anche il suo predecessore, Antonio Keller. La direzione passò successivamente ad un ingegnere, Guido Ferro, più tardi rettore dell’università di Padova.

Dopo anni d’assenza, nel 1946 ricomparve fra le facoltà padovane quella di Agraria, che venne ospitata in un edificio costruito proprio sul terreno dell’Orto agrario, quindi definitivamente abbandonato. Trasferite negli anni Novanta a Legnaro la didattica e la sperimentazione, in un’area più adatta per dimensioni e vocazione, non rimane oggi più alcuna traccia dell’antico Orto agrario cittadino, se non due lapidi commemorative.

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