Quando pensiamo allo spazio di archiviazione su cloud il nome stesso ci rimanda alla dimensione di leggerezza e inafferrabilità tipica delle nuvole. E invece i servizi a cui possiamo accedere da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, a patto di essere connessi in rete, e i dati che salviamo senza dover contare su un’ampia disponibilità di memoria nei nostri dispositivi elettronici, pesano eccome: in termini di spazio sui server delle aziende fornitrici, e ancor di più in termini di impatto dei data center globali che hanno bisogno di quantità sempre maggiori di energia soprattutto per rispondere alle esigenze di raffreddamento. Se poi estendiamo lo sguardo dalle nostre foto e file musicali alla trasformazione digitale della pubblica amministrazione è facile comprendere quanto il tema sia di stringente attualità. E lo è in modo particolare anche il nostro Paese che con la strategia Cloud-First descritta dal PNRR dovrà portare a compimento la migrazione di tutti i servizi erogati.
Nei giorni scorsi in aula Nievo a Palazzo Bo, durante gli eventi Digital Meet 2021, sono stati presentati i primi risultati di una ricerca, frutto della collaborazione tra il dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’università di Padova e la Regione Veneto, che ha analizzato la sostenibilità ambientale dei data center attraverso dei questionari rivolti a quasi 550 aziende europee operanti nel settore. Al centro del dibattito le soluzioni possibili per aumentare la quota di energia da fonti rinnovabili, ridurre i consumi energetici, gestire i rifiuti elettronici e aumentare la circolarità.
Nella valutazione dell’efficienza complessiva dei data center il parametro chiave è il PUE, acronimo che sta per Power Usage Effectiveness. Calcola l'efficienza di un centro di calcolo nell'usare l'energia elettrica che lo alimenta ed è ideale quando è pari a 1. Attualmente il valore medio è intorno a 2: riuscire a ridurlo significherebbe tagliare le emissioni di CO2 e di conseguenza l’impatto sull’ambiente, in un settore che, considerato nel suo insieme, inquina come il trasporto aereo pre-pandemia.
Abbiamo chiesto al professor Marco Bettiol, che ha condotto la ricerca insieme a un gruppo di colleghi del dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’università di Padova, di illustrarci i risultati principali che sono emersi dall'indagine e le indicazioni sugli orientamenti con cui le imprese che fanno capo ai data center europei stanno affrontando le sfide della sostenibilità.
Il professor Marco Bettiol, del dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell'università di Padova, illustra i primi risultati della ricerca sulla sostenibilità ambientale dei data center. Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar
Un elemento di difficoltà, spiega Bettiol, è stato quello di costruire un data set di imprese che offrono questi servizi perché "è un settore in piena espansione e non esiste un data base riconosciuto a livello internazionale". Delle 549 imprese contattate sono 74 quelle che hanno accolto l'invito accettando di rispondere a un questionario strutturato. Un tasso di partecipazione che è risultato pari al 13%, "in media con le indagini di questo tipo", precisa il docente.
Sotto il profilo dei risultati sono emerse tre indicazioni principali. "La prima è che i data center a livello europeo hanno cominciato a investire nella direzione della sostenibilità ambientale. In particolare hanno investito molto sul tema dell’efficienza, quindi sulla riduzione del consumo di energia, anche perché c’è un interesse economico legato all’abbassamento dei costi. Dall’altro lato le aziende si sono impegnate sull’investimento in energia da fonti rinnovabili: gran parte dei data center a livello europeo già oggi utilizza, in parte o totalmente, energia rinnovabile per la gestione dei propri data center." La quota di aziende che ha iniziato a svincolarsi dalle fonti di energia tradizionali è pari all'80%, le fonti più utilizzate sono soprattutto solare ed eolico, ma ci sono esempi di riqualificazione legati all’idroelettrico.
"Negli investimenti verso una maggiore sostenibilità dei data center rimane però ancora un po’ scoperto l’ambito che riguarda l’e-waste, il rifiuto elettronico. Da questo punto di vista i data center non hanno ancora messo a fuoco propriamente il problema, ma questo è un aspetto importante perché i data center vengono completamente rinnovati ogni 2-5 anni e le apparecchiature informatiche devono essere smaltite. Al momento le aziende si limitano a pratiche di riutilizzo all’interno dei data center e di rivendita di queste apparecchiature a terze parti ma l’obiettivo dovrebbe essere quello di gestire sempre più i server arrivati alla fine del loro ciclo di vita con un approccio più circolare e con una capacità di riciclo di tutte le componenti. La necessità è che si arrivi a ragionare in una logica più circolare soprattutto per la parte più materiale dell’infrastruttura del cloud", approfondisce Bettiol.
"Un altro aspetto importante è l’attenzione che i data center sentono sempre di più anche da parte dei clienti: oltre il 70% riporta il fatto che c’è una crescente pressione da parte dell’utente finale nei confronti delle performance ambientali dei data center e questo è un elemento molto positivo perché spingerà sempre di più gli investimenti in questa direzione", aggiunge il professore del dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell'università di Padova. Sotto il profilo della trasparenza le imprese che comunicano esplicitamente il proprio livello di emissioni sono invece poco meno del 32%, ma un altro 25% lo sta considerando per il futuro.
In tema di efficienza energetica una delle priorità è il miglioramento dei processi di raffreddamento che, spiega Bettiol, consumano circa un terzo dell'energia richiesta da un data center. A tal proposito il docente scende più nel dettaglio dell'indice PUE. "Mette a confronto l’energia che entra nel data center con quella utilizzata dalle apparecchiature informatiche. Questo serve a capire quanta energia viene dissipata per attività che non sono necessariamente legate ad attività computazionali e digitali. Uno degli elementi critici dei data center riguarda infatti il raffreddamento e la necessità di mantenere le apparecchiature a una temperatura costante e relativamente bassa".
Ma quanto impatta oggi l'industria dell'ICT sulla produzione di gas serra? "Nella letteratura scientifica gli studi oscillano un po’ nella quantificazione. Oggi le stime più accreditate tendono a equiparare globalmente il mondo dei data center e delle tecnologie digitali con l’industria dei trasporti aerei. Stiamo parlando di circa l’1,3% delle emissioni a livello globale", conclude Bettiol.
Qualche anno fa uno studio pubblicato sul Journal of Cleaner Production ha affermato che in assenza di contromisure nel 2040 il settore potrebbe arrivare a produrre il 14% delle emissioni totali di gas serra. La risposta dovrà allora essere nelle infrastrutture della rete e nelle buone pratiche. E su queste ultime anche noi utenti del web siamo chiamati a fare la nostra parte, magari semplicemente cancellando mail inutili o dati non più necessari.