CULTURA

La difficile eredità di don Milani

Un “libro seme” secondo l’amico Giorgio Pecorini, un “libro uomo” per dirla con Franco Fortini: era il 1967 quando Lettera a una professoressa fu pubblicato dalla piccola Libreria Editrice Fiorentina (LEF). Un testo che da allora è imprescindibile, in particolare (ma non solo) se si parla di educazione e scuola. ‘Libretto rosso’ del Sessantotto italiano e in seguito vademecum di ogni insegnante democratico, è stato fatto oggetto di riflessione, spesso critica, da parte di generazioni di intellettuali, da Alex Langer a Tullio De Mauro, da Sebastiano Vassalli a Eraldo Affinati, fino a Erich Fromm. Per questo la storica e autrice Vanessa Roghi ne ha a sua volta ricostruito la storia critica e culturale ne La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, uscito nel 2017 e appena ripubblicato in edizione economica da Laterza.

Cosa c’è ancora di sovversivo nell’opera di don Milani, del quale oggi ricorrono 100 anni dalla nascita?

“L’aspetto sovversivo del libro di Barbiana risiede nella sua radicale presa di posizione dalla parte degli ultimi, in quel caso i ragazzini figli di contadini espulsi dalla scuola pubblica e dell’obbligo che avrebbe dovuto, invece, essere lì apposta per loro.  Il modo poi in cui questo obiettivo va perseguito e ottenuto cambia a seconda dei tempi e delle necessità delle persone, ma questo è l’aspetto più rivoluzionario e decisivo del pensiero di don Milani, e oggi più che mai rimane attuale”.

La Lettera a una professoressa è una critica feroce o un “canto di fede” nella scuola pubblica?

“È abbastanza ridicolo contrapporre don Milani alla scuola pubblica. Lui è un prete che prima apre un doposcuola, poi si trova a insegnare in una canonica di montagna: un’azione sostitutiva peraltro tipica anche di altri contesti nell’Italia di quegli anni. Inizia quindi a sperimentare le difficoltà strutturali dell’istituzione scolastica: dalla distanza, che sembra banale ma è un limite importantissimo, all’inadeguatezza delle infrastrutture; soprattutto però si trova di fronte una scuola che non fa il possibile per integrare i figli delle classi povere e lavoratrici, come pure indicava la riforma delle scuole medie del 1963. Don Milani è contro la scuola pubblica nella misura in cui lo è ognuno di noi quando questa si rivela inadeguata, ma non ne farei assolutamente un paladino della scuola privata. il suo attacco alle ripetizioni, alla scuola che fa uguali la mattina e diversi il pomeriggio, dice tutto sulla sua idea di universalità dell’istruzione.  Dice che bisogna essere un prete per fare scuola, nel senso però che ci vuole un impegno totale e continuo, ma è anche molto amico del direttore didattico di Vicchio Virgilio Zangrilli, un personaggio raramente citato nelle biografie. Per sfatare insomma il mito di un don Milani avversario della scuola pubblica basterebbe cogliere la differenza tra provocazione intellettuale e pratica”.

Ma perché Barbiana dopo tanti anni suscita ancora così tante polemiche?

“Da subito La lettera viene identificata come una delle scintille del ‘68, che nella polemica attuale è percepito da molti come lo spartiacque tra scuola ‘seria’ di una volta e quella ‘cialtrona’ di oggi. Don Milani viene coinvolto in questa polemica suo malgrado, visto che muore appena un mese dopo la pubblicazione e che egli stesso scrive che questa non è diretta agli studenti universitari. Il movimento studentesco poi in qualche modo se ne appropria: un’operazione pienamente legittima, che però impone di distinguere il testo originale dall’uso che ne è stato fatto. Poi comunque non è vero che il ‘68 abbia cambiato in modo radicale la scuola italiana, né che la scuola di oggi sia ‘peggiore’ di quella di ieri. Anzi per tanti versi, posto che quando si dice ‘ieri’ dovremmo dire anche ieri quando: la scuola di oggi, con i suoi insegnanti in media molto più preparati, è senza dubbio migliore”.

C’è differenza c’è tra don Milani e donmilanismo, criticato ad esempio da Paola Mastrocola e Sebastiano Vassalli?

“Il donmilanismo, l’atteggiamento che porterebbe a non bocciare, è un’invenzione come il rodarismo, che consisterebbe nella fine dell'insegnamento della grammatica. Semplificazioni davvero sorprendenti, anche perché a bocciare si continua: nel biennio della superiori, che rientra nell’obbligo scolastico, oggi succede quello che ai tempi della scuola di Barbiana succedeva alle medie. Questo mentre spesso vengono ignorate le conseguenze positive e concrete dell’influenza di don Milani: ad esempio l’introduzione e la diffusione del tempo pieno sono state senza dubbio supportate da molti dopo aver letto Lettera a una professoressa. Oggi il tempo pieno è stato svuotato trasformandolo in una cosa completamente diversa, ma la sua funzione emancipatrice è stata gigantesca”.

È abbastanza ridicolo contrapporre don Milani alla scuola pubblica

Deve esserci per forza un’alternativa tra nozionismo e inclusione?

“Anche questa contrapposizione è una forzatura: il priore di Barbiana non è contro la trasmissione di saperi, la valorizzazione della letteratura e delle scienze. Don Milani critica la scuola quando questa insegna una lingua che non si parla più, ma è anche un appassionato lettore dei Promessi sposi, che progetta di riscrivere per i figli dei contadini aggiungendo che ‘lo stesso Manzoni ne sarebbe contento’”.

Cosa si può prendere dall’esperienza di Barbiana per la società e la scuola di oggi?

“La grande attenzione alla lingua italiana, al suo insegnamento come punto di incontro delle persone. La lingua è una soglia, sulla quale però incontrarsi con le persone che arrivano nelle nostre scuole senza possedere ancora i necessari strumenti di comprensione. Oggi il mondo è diverso da quella degli anni ‘50, ma tutti dovremmo sforzarci di guardare la famosa luna piuttosto che il dito. Educazione e istruzione portano sempre in sé un’idea di società; la scuola tradizionale ad esempio educava alla gerarchia dei saperi e dei ruoli: se si vuole una società democratica si può davvero continuare a formare così i ragazzi?”.

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