SOCIETÀ

Elezioni di midterm, le donne sfidano Trump

Con un’opinione pubblica sempre più polarizzata e un dibattito politico ferocemente radicalizzato sull’immigrazione, gli Stati Uniti stanno entrando negli ultimi mesi di campagna elettorale prima delle attese elezioni di midterm del prossimo 6 novembre. È ormai chiaro che, al netto delle problematiche locali, si tratterà di un vero e proprio referendum sui primi due anni di amministrazione Trump.

Il presidente più divisivo di sempre continua a monopolizzare l’attenzione mediatica, a dividere il Partito repubblicano e a mobilitare sostenitori e oppositori. È di pochi giorni fa l’annuncio di Michael Bloomberg, tre volte sindaco di New York e undicesimo uomo più ricco del Paese, di finanziare con 80 milioni di dollari le campagne elettorali di candidati democratici alla Camera, nell’esplicito intento di aiutare il partito oggi all’opposizione a riconquistare il controllo di almeno uno dei due rami del Congresso. Un cambio di maggioranza che avrebbe notevoli ripercussioni sull’agenda legislativa del Presidente e anche su tutta la questione relativa all’indagine del procuratore speciale Muller e all’eventuale impeachment, argomento che continua comunque a rimanere sullo sfondo del dibattito politico.

Queste elezioni di medio termine sono anche le prime ad arrivare dopo gli scandali delle molestie sessuali e dell’efficace mobilitazione del #metoo, che ha visto “risorgere” un movimento femminile che non si vedeva da decenni e che si è manifestato con molta più incisività che in Europa. Tra i capifila del movimento, vi è la storica sigla Emily’s List, associazione nata nel 1985, che nella sua più che trentennale attività ha raccolto oltre mezzo miliardo di dollari, contribuendo all’elezione di oltre mille donne a cariche elettive di rilevanza nazionale, tra cui 23 senatrici e 12 governatrici.

 

A differenza di altre organizzazioni, Emily’s List ha sempre adottato un approccio molto pragmatico, talvolta perfino “cinico”, secondo la definizione di alcuni detrattori. Il nome stesso spiega molto della filosofia del gruppo: “Emily” è un acronimo che sta per “Early Money Is Like Yeast” (che potrebbe tradursi come “i finanziamenti [elettorali] precoci sono come il lievito”) e rende ben l’idea di una radicata organizzazione instancabilmente impegnata a raccogliere fondi da destinare a candidate che soddisfino i principi di base riconosciuti dal gruppo stesso. Che sono essenzialmente due: candidarsi per i democratici ed essere esplicitamente favorevoli al diritto all’aborto. Quando Emily’s List venne fondata, alla Camera dei rappresentanti sedevano 12 deputate (oggi sono 84, comunque meno del 20% del totale) e tutte le pochissime donne elette al Senato erano succedute al marito (a oggi vi sono 21 senatrici, il 21% del totale).

L’elezione di Trump, presidente dichiaratamente maschilista e protagonista di situazioni e dichiarazioni quantomeno imbarazzanti, sommata ai ripetuti casi di molestie sessuali venute alla luce in più ambiti e ai massimi livelli politici, finanziari e a Hollywood, ha spinto Emily’s List a impegnarsi sin dalle prime battute delle elezioni primarie, nel duplice obiettivo di consegnare ai democratici la maggioranza congressuale e quello di eleggere il più alto numero di donne nella storia del Parlamento statunitense (superando quindi l’attuale record di 105 parlamentari complessive).

Le primarie democratiche si sono quindi combattute tra non poche polemiche perché l’attivismo di Emily’s List ha portato anche a scontri interni tutti tra donne, dove l’organizzazione tendenzialmente finanziava le candidate più radicali contro democratiche moderate che, forse, avrebbero avuto più chances di elezione contro gli avversari repubblicani a novembre. È quello che, per esempio, è avvenuto in Maryland, dove l’organizzazione ha appoggiato la delegata statale Aruna Miller contro la più quotata pediatra Nadia Hashimi. Nel settimo distretto del Texas, invece, Emily’s List ha finanziato l’avvocato Lizzie Pannill Fletcher e non l’attivista anti-Trump Laura Moser. Inevitabile aggiungere che a novembre saranno la Miller e la Fletcher a contendere a candidati repubblicani il seggio congressuale.

Dopo il round di primarie ormai concluso, Emily’s List ha potuto aggiungere altri obiettivi a quelli principali di incrementare la rappresentanza femminile e di determinare una maggioranza democratica. Grazie anche ai suoi finanziamenti, Deb Haaland (candidata in New Mexico) potrebbe essere la prima donna nativa americana a sedere alla Camera dei rappresentanti, mentre in Iowa la 28enne Abby Finkenauer, se eletta, diventerebbe la più giovane deputata donna di sempre.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012