SCIENZA E RICERCA

Etna: un gigante inquieto. Ma in Italia i principali rischi vulcanici sono altrove

Dopo oltre un mese di intensi episodi eruttivi l’Etna da qualche giorno ha smesso di offrire il suo spettacolo con le fontane di lava che si innalzavano a centinaia di metri di altezza, accompagnate a volte anche da forti boati.

Nel bollettino del 25 marzo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Catania spiega che i flussi lavici che avevano caratterizzato l'ultima fontana di lava dal cratere di Sud Est - il più giovane dei quattro crateri sommitali, quello che si è formato cinquanta anni fa durante l'eruzione del maggio del 1971 - non sono più alimentati. Ma a partire dalla metà di febbraio il vulcano attivo più alto d’Europa, oltre 3.300 metri di altezza su circa su 45 km di diametro di base, ha ripetutamente fatto parlare di sè, manifestandosi con una sequenza di parossismi attentamente monitorati dagli esperti e provocando anche danni alle coltivazioni agricole, qualche problema per l’operatività dell’aeroporto di Catania e forti disagi per la ripetuta necessità di rimuovere la cenere da strade, tetti delle abitazioni e piazze dei centri abitati limitrofi.

A caratterizzare questa fase esplosiva è stata anche la ritmicità delle eruzioni. Episodi che tendevano a susseguirsi a intervalli di tempo simili, come ha spiegato al Guardian Giuseppe Salerno, capo dei vulcanologi dell’Ingv di Catania, parlando di ritmi dotati di una precisione quasi matematica. "Per questo motivo - ha affermato - negli ultimi mesi abbiamo monitorato ogni suo respiro, rombo e fremito". Una sorveglianza resa possibile grazie alle informazioni registrate dalle 150 stazioni di monitoraggio situate sulla superficie del vulcano e inviate in tempo reale alla sala di controllo dell'Ingv.

Nelle ultime settimane i parossismi sono stati 16. Un numero che è ben lontano dagli oltre 60 episodi fatti registrare dall'Etna nel 2000 ma che, concentrati in un breve periodo di tempo, rende bene l'idea di un vulcano attivo. Gli esperti sottolineano però che la vera particolarità di queste eruzioni risiede nella tipologia di magma che le ha alimentate. Un magma "primitivo" la cui composizione è cambiata poco rispetto a quando si è formato nella regione sorgente, particolarmente ricco di gas e capace di risalire velocemente verso la superficie. Le analisi effettuate nei laboratori dell’Ingv-Osservatorio Etneo, relative ai primi tre parossismi del mese di febbraio, hanno portato alla conferma che la composizione chimica del magma che ha contraddistinto le fontane di lava si è mantenuta costante e, complessivamente, è una delle più “primitive” di questo cratere negli ultimi 20 anni. Una circostanza che non è frequente dal momento che durante la risalita questo tipo di magma, entrano nel dettaglio i ricercatori, tende a perdere sempre più la componente gassosa, a raffreddarsi e formare cristalli. 

Fino a tempi recenti, ricorda l'Ingv, si riteneva che l'Etna fosse un vulcano prevalentemente effusivo, cioè caratterizzato soprattutto dall'emissione di colate laviche, ma a partire dalla fine degli anni '70 del secolo scorso si è assistito a un forte incremento di episodi eruttivi esplosivi soprattutto ai crateri sommitali. La circostanza più temuta è quella delle eruzioni laterali: in termini di probabilità sono meno frequenti, ma quando si verificano implicano rischi maggiori perché le bocche si aprono a quote più basse e sono quindi più vicine agli insediamenti urbani che sorgono sulle pendici del vulcano, abitate complessivamente da quasi un milione di persone. 

Se guardiamo al passato è particolarmente interessante passare in rassegna l’attività storica del vulcano siciliano, dichiarato anche Patrimonio dell'umanità dall'Unesco. Tra le eruzioni più note c'è senza dubbio quella pliniana del 122 a.C che rappresentò una catastrofe per la città di Catania e che un recente studio pubblicato su Science Advances ha rivelato essere stata determinata da un improvviso aumento della viscosità del magma basaltico. La possibilità che l'Etna dia luogo a un'attività esplosiva di tale portata è comunque ritenuta estremamente remota e come ricorda anche la Protezione civile, questo vulcano non rappresenta un pericolo concreto per la popolazione in quanto l'attività stromboliana interessa generalmente un'area limitata intorno alla bocca eruttiva e lo scorrimento delle colate laviche avviene lentamente, senza costituire un pericolo per l'incolumità delle persone. 

Abbiamo chiesto al professor Andrea Marzoli, docente del dipartimento Territorio e sistemi agroforestali dell'università di Padova, di aiutarci a capire che tipo di manifestazione ha caratterizzato l'Etna nei giorni scorsi, quali sono i "serbatoi" da cui proviene il magma primitivo che ha alimentato i ripetuti parossismi del vulcano e da quali vulcani potrebbero arrivare i maggiori rischi per l'Italia. 

L'intervista ad Andrea Marzoli, docente del dipartimento Territorio e sistemi agroforestali dell'università di Padova sulla recente attività dell'Etna e sul rischio vulcanico in Italia

"L’Etna - introduce il professor Andrea Marzoli, del dipartimento Tesaf dell'università di Padova - è un vulcano che normalmente manifesta la sua attività vulcanica dai centri eruttivi principali posti sulla sommità della montagna. Si tratta più frequentemente di piccole esplosioni di tipo stromboliano che lanciano frammenti fino a poche decine o centinaia di metri di quota. Questa più recente fase vulcanica ha invece portato all'emissione di grosse fontane di lava che arrivano a quote di diverse centinaia di metri e alla produzione di colate di lave abbastanza prolungate nel tempo che dalle quote sommitali dell’Etna, oltre 3000 metri, scendono fino a 1600-1700 metri".

Episodi violenti così ripetuti possono apparire anomali nel breve periodo, ma nel corso degli scorsi decenni simili parossismi sono avvenuti in diverse occasioni. Quanto alle cause "questa attività così esplosiva con fontane di lava che raggiungono quasi un chilometro di altezza e la colonna eruttiva, composta da cenere e vapori vulcanici, che arrivano a quasi dieci chilometri di quota è dovuta al fatto che c’è un forte rilascio di gas vulcanici che nel condotto magmatico si espandono e fanno aumentare la pressione fino a provocare violente esplosioni in tutto il sistema. Si tratta sostanzialmente di bolle di gas presenti nel magma in quantità tali da separarsene fisicamente: l’aumento della pressione viene trattenuto dal magma che risale finché non diventa talmente forte da portare a un’eruzione esplosiva del magma in superficie", spiega Marzoli.

Anche Boris Behncke, vulcanologo dell'Ingv-Oe di Catania, commentando la fase eruttiva dell'Etna, ha ricordato che questi parossismi, termine preso in prestito dall'ambito medico per indicare la fase acuta di una manifestazione, non sono eventi eccezionali e per evitare situazioni di pericolo è sufficiente stare lontani dalle bocche del vulcano. E' però importante, sottolinea Behncke, che le strade vengano tempestivamente pulite dalla cenere e dai lapilli per evitare la polverizzazione dei frammenti e potenziali rischi per la salute delle vie respiratorie. 

Lo scenario più temuto, quello di un'eruzione laterale, si è verificato anche in anni recenti ma l'eruzione che è rimasta maggiormente impressa nella storia è quella del 122 a.C. che è stata definita pliniana, cioè simile a quella del Vesuvio del 79 d.C.

"Il fatto che in passato si sia verificato questo episodio è abbastanza strano - commenta il professor Marzoli - perché il magma che caratterizzò l’eruzione del Vesuvio è ricco in silicio, sodio e potassio, quindi è un magma che trattiene i gas fino a farlo esplodere in modo violento. Invece quello dell’Etna è un magma di tipo basaltico, più povero in silicio, da cui normalmente non ci si attenderebbero esplosioni così violente come quella avvenuta in epoca romana. Dal punto di vista del rischio vulcanico all’Etna c’è poi il pericolo delle colate di lava che possono raggiungere i villaggi alle pendici: nei primi anni novanta ci fu una grande crisi causata da una colata che durò diversi mesi, rischiando di arrivare a Zafferana Etnea. Si tentò di bloccare la colata attraverso la costruzioni di muri di cemento ma poi il fenomeno cessò. In generale l’Etna è comunque un vulcano poco pericoloso per le persone", rassicura il docente del dipartimento Tesaf dell'università di Padova. 

Nella mappa del rischio vulcanico in Italia, che insieme all'Islanda è tra i paesi con il maggior numero di vulcani attivi in Europa, l'Etna non figura ai primi posti. "Il vulcano più pericoloso - approfondisce Andrea Marzoli - è quello dei Campi Flegrei ed è anche il meno noto. Si tratta di una zona collocata tra la periferia a nord di Napoli e Pozzuoli, un’area fortemente abitata, e sono un sistema vulcanico che nel corso della storia ha portato ad eruzioni esplosive, in alcuni casi ancora più violente di quella del Vesuvio. Sappiamo che sotto i Campi Flegrei c’è presenza di magma attivo e quindi potenzialmente il rischio è elevato. Un altro vulcano pericoloso, di cui si parla poco, è l’isola di Vulcano dove nel 1888 si è verificata una forte eruzione. E’ caratterizzato da un’attività molto esplosiva che può portare all’espulsione di frammenti di alcuni metri che arrivano a pesare diverse tonnellate. E’ un’isola abitata e in estate è piena di turisti e quindi se dovesse eruttare potrebbe causare grandi danni".

Un altro importante rischio vulcanico in Italia è collegato al collasso di edifici vulcanici. "Stromboli, ad esempio, ha una forte pendenza e ogni tanto alcuni suoi pezzi franano. Questo porta alla formazione di onde anomale nel mar Tirreno e se il volume di edificio vulcanico che frana dovesse essere particolarmente grande si potrebbe arrivare alla formazione di un tsunami. Sempre nel Tirreno c’è inoltre un vulcano marino che si chiama Marsili che è ancora meno noto degli altri. Non sappiamo con certezza se sia ancora attivo ma presenta ancora una certa emissione di calore e gas. E’ un vulcano sommerso particolarmente esteso, si pensa che sia il più grande d’Europa, e ha una forma molto ripida: se dovesse collassare, e prima o poi succederà, potrebbe provocare anche lui un forte tsunami", conclude Marzoli.

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