SOCIETÀ

La guerra fredda energetica e l'accordo per il North Stream 2

Dopo anni di screzi, minacce e sanzioni, Germania e Stati Uniti hanno raggiunto un accordo per il completamento del gasdotto North Stream 2, che attraverso il Mar Baltico collegherà la Russia e la stessa Germania. Un via libera sofferto e in gran parte inevitabile, dal momento che l’opera era già stata completata, con non poche difficoltà, al 95%. Ma sullo sfondo resta una complessa e delicata questione geopolitica che va ben oltre l’effetto pratico dell’apertura del gasdotto, il più grande impianto offshore d’Europa (1.230 km di condotte poggiate sul fondo del Mar Baltico, per un investimento da 11 miliardi di dollari), che punta a raddoppiare (affiancando la prima linea, la North Stream 1,6 km più corta, già attiva dal 2012) la fornitura di gas naturale russo all’Europa, e in particolar modo a quelle nazioni più dipendenti dal carbone (la stessa Germania, la Polonia) che hanno quindi estremo bisogno di gas per accelerare il proprio processo di decarbonizzazione. Le nuove condotte di North Stream 2 partono da Vyborg, a nord di San Pietroburgo e, attraversando le acque territoriali di Russia, Finlandia, Svezia, Danimarca e infine Germania, raggiungono Greifswald, a poca distanza dallo sbocco di Nord Stream 1: da lì i 110 miliardi di metri cubi di metano (55 miliardi l’anno, per ciascuna linea, complessivamente un quarto del fabbisogno dell’intera Ue) raggiungeranno gli hub europei di raffinazione e distribuzione.

La “sconfitta” dell’Ucraina

Mosca (assieme a Gazprom, il colosso energetico russo proprietario dell’impianto) ha sempre mostrato tutto l’interesse a concludere l’affare: per ragioni economiche e politiche. Washington e Bruxelles molto meno, preoccupati dalla crescente “dipendenza” energetica di Berlino dalla Russia, paese finito nella black list dell’amministrazione Biden (ma contrari al gasdotto erano stati sia Obama, sia Trump) e sempre più spesso oggetto di sanzioni, per svariati motivi: dalle frequenti violazioni dei diritti umani (i casi Navalny e Skripal, entrambi vittime di un tentato avvelenamento) all’aver minacciato la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina. Ed è proprio l’Ucraina (assieme alla Polonia) ad aver reagito con più veemenza alla firma dell’accordo Usa-Germania: della Russia non si fida, dopo l’invasione della Crimea subìta nel 2014. «Questa decisione ha creato una minaccia politica, militare ed energetica per l’Ucraina e l’Europa centrale, aumentando al contempo il potenziale della Russia di destabilizzare la situazione della sicurezza in Europa, perpetuando le divisioni tra gli Stati membri della Nato e dell’Unione europea», hanno dichiarato i ministri degli esteri polacco e ucraino in un dichiarazione congiunta. Peraltro, North Stream 2 potrebbe far svanire quei tre miliardi di dollari di “tasse di transito” via terra che annualmente Kiev incassa da Mosca, in base a un contratto che dovrebbe restare in vigore fino al 2024. Il sì americano, soprattutto per l’Ucraina, è una sconfitta perché di fatto autorizza il by-pass energetico. Una sconfitta che dovrà essere compensata, in termini economici e diplomatici.

La “guerra fredda energetica”

Nell’accordo, firmato lo scorso 21 luglio, i toni nei confronti della Russia non sono concilianti. Si legge: «Stati Uniti e Germania sono uniti nella determinazione di ritenere la Russia responsabile della sua aggressione (all’Ucraina) e delle sue attività maligne imponendo sanzioni e altri strumenti. Se la Russia tenterà di utilizzare l’energia come arma o commetterà ulteriori atti aggressivi contro l’Ucraina, la Germania agirà a livello nazionale e premerà per misure efficaci a livello europeo, comprese sanzioni, per limitare l’export russo in Europa nel settore energetico, compreso il gas». Come dire: il timore più grande è che Mosca possa aprire o chiudere i rubinetti delle forniture a proprio piacimento, con la possibilità di fare pressioni o ritorsioni contro i paesi più ostili. Washington e Berlino si sono impegnate inoltre a dare all’Ucraina (la cui “distanza politica” da Mosca la rende strategicamente fondamentale in chiave Nato) un ampio sostegno. A partire dalla garanzia (senza specificare come) del pagamento da parte della Russia delle restanti tranche di tasse di transito (non è da escludere la possibilità di un rimborso, qualora Mosca decidesse di non rispettare i patti) e a trattare affinché questa intesa venga prorogata di ulteriori 10 anni. Inoltre, Berlino ha promesso la creazione (e la gestione) di un fondo da un miliardo di dollari per tecnologie verdi in Ucraina, comprese fonti rinnovabili di energia, sostenuto da un investimento “cash” iniziale di 175 milioni di dollari. La Germania ha anche accettato di firmare la Three Seas Initiative, uno schema promosso dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti che mira a promuovere gli investimenti, lo sviluppo delle infrastrutture e la sicurezza energetica tra i paesi membri che si affacciano sul Mar Baltico, sul Mar Nero e sull'Adriatico: il governo tedesco garantirà un contributo di 1,7 miliardi di dollari, fino al 2027.

Il presidente americano ha deciso di “cedere” sul progetto («Fermarlo è ormai impossibile», ha dichiarato Biden) e di rinunciare alle sanzioni imposte da Trump in cambio di una presa di posizione netta da parte di Berlino sulla questione Russia (che è assai più complessa del gasdotto). Un passo che in molti (sia tra i repubblicani, sia tra i democratici) hanno letto però come un voltafaccia: «Voglio essere chiaro», ha detto Michael McCaul, membro della commissione affari esteri della Camera. «Questo gasdotto non è un semplice progetto commerciale che potrebbe vanificare il nostro rapporto con Berlino. È un progetto di influenza maligna russa che minaccia di accrescere la dipendenza energetica dell'Europa da Mosca, rendere l’Ucraina più vulnerabile all’aggressione russa e fornire miliardi di dollari alle casse di Putin». Per la Germania, almeno in questa fase, è un successo: per Angela Merkel (che ha sempre difeso l’opera) ma anche per Berlino che allenta le crescenti tensioni con la Casa Bianca e assume un ruolo sempre più centrale in quella che viene ormai definita la “guerra fredda energetica”. In chiave interna i Verdi, da sempre contrari al progetto, useranno questo accordo per far leva sugli scontenti alle elezioni federali del prossimo 26 settembre.

Il Cremlino “non condivide” i toni americani

Reazioni negative in Ucraina, nonostante le rassicurazioni politiche e le compensazioni economiche, con il presidente Zelensky che sarà ricevuto il 30 agosto da Biden alla Casa Bianca. Il presidente ucraino si è detto «sorpreso e deluso dalla mossa di Biden: l’Ucraina rimane decisamente contraria al gasdotto». Chiederà garanzie che vadano ben oltre i buoni propositi. Ancora lo scorso giugno Zelensky, incontrando i senatori americani, aveva sostenuto senza troppi giri di parole: «La difesa militare del paese contro la Russia e il completamento del gasdotto Nord Stream 2 sono direttamente collegati. Una volta terminato il progetto, l’Ucraina sarà privata delle entrate necessarie per finanziare le spese per la difesa e proteggere il confine orientale dell'Europa».

Sul fronte russo, le reazioni sono in chiaroscuro: positive per la sostanza (la fine delle sanzioni per le aziende coinvolte nell’esecuzione del progetto è un sollievo) e negative per la forma (le parole pretese dalla Casa Bianca nell’annunciare l’accordo). Secondo il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, «la Russia è sempre stata e rimane un garante responsabile della sicurezza energetica nel continente europeo. Ma non condividiamo i commenti contenuti nell’accordo tra Stati Uniti e Germania, sulla lotta all’aggressione russa e sulle presunte azioni dannose di Mosca in Ucraina. Voglio anche ricordarvi che il presidente Putin ha ripetutamente affermato che la Russia è pronta a discutere l’estensione dell’accordo sul transito del gas attraverso l’Ucraina oltre la scadenza del 2024». La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha invece sostenuto: «La costruzione di questa struttura è vantaggiosa per tutte le parti coinvolte. Ci aspettiamo che North Stream 2 funzioni in modo affidabile e offra energia a prezzi accessibili ai consumatori in Europa».

Matthias Warnig, amministratore delegato della North Stream 2 AG (la società che gestirà il gasdotto, con sede in Svizzera), ha confermato che l’opera sarà ultimata entro la fine di agosto. E che partiranno immediatamente i collaudi e le certificazioni, con l’obiettivo di attivare la fornitura entro la fine di quest’anno: sempre che gli Stati Uniti non decidano di bloccarne l’entrata in funzione: l’accordo firmato con la Germania riguarda soltanto l’ultimazione dei lavori. E l’impressione è che la partita sia ancora tutta da giocare.

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