SOCIETÀ

Io (non) voto alle europee: vincerà l'astensionismo?

Si avvicina sempre di più il momento delle elezioni europee in programma il 26 maggio ed è ancora una volta attuale il dibattito rispetto a una tendenza che nel nostro Paese non accenna a diminuire: il partito di indecisi e astenuti è uno dei pochi a rappresentare una certezza quando è il momento di recarsi alle urne. Lo confermano le ultime rilevazioni di Demopolis e Ipsos, che evidenziano una percentuale di indecisi pari al 42% degli aventi diritto e un’astensione anch’essa intorno al 42% (circa 18 milioni di persone). Alla luce di questi dati abbiamo provato a fare chiarezza sull’argomento con Marco Almagisti, docente e ricercatore presso il dipartimento di scienze politiche all’università di Padova.

Per trovare le prime avvisaglie d’astensionismo dobbiamo tornare alla fine degli anni ’70, ma è a metà anni ’90 che si verifica il primo consistente calo dell’affluenza: un’intera classe politica viene infatti travolta dallo scandalo di Tangentopoli, che fa sparire i partiti storici della Repubblica: “Un evento singolare fra tutte le democrazie consolidate nel Mondo - sostiene Almagisti - che in seguito, salvo rare eccezioni, ha portato i principali partiti a faticare per ottenere un consenso ampio come in precedenza, anche a causa dell’instabilità della nuova offerta partitica”. Fino a quel momento i partiti avevano di fatto avuto un’offerta politica chiara, fidelizzando l’elettore. Ciò che seguì fu l’emergere di un elettorato meno strutturato e meno legato a un senso di appartenenza. Appare pertanto naturale il calo di 13 punti percentuali nei votanti avuto tra il 1979 e il 1994.

Va anche detto che è diventato estremamente complicato riuscire a rappresentare una società che negli ultimi vent’anni è cambiata profondamente e con essa le arene in cui si disputa la competizione politica: dopo il rivoluzionario ingresso della televisione, Almagisti sottolinea come oggi ci troviamo dinanzi al fenomeno della personalizzazione della politica. Con gli strumenti che tutti possediamo, abbiamo la possibilità di interagire con un elevatissimo numero di contenuti con le modalità che più ci aggradano: video, post e tweet sui social network sono i linguaggi di nuovi ambienti di dibattito di cui a poco a poco stiamo esplorando lo sconfinato potenziale. Solo il tempo ci dirà con quale esito.

Ciò che balza subito all’occhio, osservando i dati, è come l’astensionismo sia storicamente superiore alle elezioni europee rispetto alle politiche: alla tornata elettorale per il Parlamento italiano del 4 marzo 2018 c’è stata un’affluenza del 72%, destinata ad essere decisamente più bassa il prossimo 26 maggio: ma qual è il motivo dietro questo andamento? Secondo Almagisti vi è la convinzione generale che l’UE sia un’istituzione distante dalla vita quotidiana dei cittadini, quando, in realtà, le decisioni prese all’interno di essa condizionano pesantemente le politiche degli Stati che ne fanno parte. Questa percezione è strettamente legata a campagne elettorali che hanno come oggetto questioni di carattere nazionale piuttosto che una precisa idea di cambiamento da realizzare nell’Unione: ne sono un esempio le recenti dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini, intenzionato a conferire al voto europeo la valenza di referendum pro o contro le politiche del proprio partito.

Attenzione però a non confondere l’astensionismo con  la passività sociale; infatti Almagisti ricorda che “cittadini impegnati in tematiche sociali e ambientali possono avere difficoltà a trovare nell’offerta partitica chi rappresenta quei temi con la sufficiente credibilità”.

A questo punto viene automatico chiedersi se esista una ricetta per invertire una tendenza avviata da decenni. Almagisti spiega che un cambiamento sarà possibile solamente se emergeranno schieramenti politici con ideali fortemente contrapposti l’uno all’altro. Un quadro decisamente nuovo, considerando che quando vi era un bassissimo tasso d’astensionismo erano molti coloro che votavano anche solo per senso civico, avendo ancora bene in mente l’alternativa alla democrazia.

E gli indecisi? Le cause dell’incertezza di fronte alla scheda elettorale possono divergere a seconda che si tratti  di elettori esperti o di giovani alle prime esperienze di voto; per i primi è determinante la delusione per il cambiamento dovuto a sconfitte pesanti e speranze disattese, mentre per i giovani entra in gioco la difficoltà a comprendere chi li può rappresentare al meglio. “Tra le sfide più importanti della politica attuale c’è la necessità di far fronte alle aspettative e ai dubbi di un elettorato giovane”, continua Almagisti.

A tal proposito appare confortante quanto sperimentato da DANE-Osservatorio Democrazia a NordEst (facente parte del Centro studi Giorgio Lago), diretto dallo stesso Marco Almagisti con Paolo Graziano e coordinato da Matteo Zanellato, che con il progetto “Voto sotto esame” in collaborazione con il Corriere del Veneto, vede 30 studenti impegnati a seguire la campagna elettorale e a informare circa le elezioni europee; in questo senso è stato riscontrato un incoraggiante interesse di fronte alla disponibilità a rispondere a quesiti sulle elezioni stesse, segno che la volontà di informarsi e approfondire è, nonostante tutto, tutt’altro che sparita.

 

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