CULTURA

Jon Fosse e la sua poetica pervasa di misticismo

Prima di vincere il premio Nobel per la letteratura, Jon Fosse non era un autore particolarmente conosciuto, né tradotto, nel nostro paese. Per quanto, in effetti, sia più famoso di altri vincitori, è tradotto nel nostro paese solo parzialmente e proprio per questo motivo fino a qualche giorno fa non era un nome familiare per la maggior parte dei lettori italiani, neanche per quelli forti, e comunque era più noto per le sue opere teatrali che per i romanzi. Ora le cose stanno già cominciando a cambiare, e per tutti quelli che vogliono conoscerlo meglio sia dal punto di vista linguistico che da quello tematico, abbiamo intervistato Franco Perrelli, che è stato docente di storia del teatro all’università di Torino e che di Fosse ha tradotto Saggi gnostici e Caldo.

Servizio e montaggio di Anna Cortelazzo

Perrelli ci spiega che Fosse, anche al di fuori dell’Italia, era conosciuto soprattutto come drammaturgo, e infatti in quasi tutto il mondo questo Nobel è stato interpretato come un premio al teatro. In realtà non è così, perché fin dai suoi esordi Fosse è stato un narratore e riteneva addirittura che il teatro fosse molto distante dalla sua sensibilità e da una comunicazione esistenziale come quella che era intenzionato a fare.
“La cosa cambia – precisa Perrelli – quasi a un decennio di distanza dal debutto come narratore e c’è un’apertura un po' casuale nei confronti del teatro, grazie ad alcune sollecitazioni che vengono dall'ambiente teatrale di Bergen. Tra l’altro, un ambiente tendenzialmente restio a cogliere il tipo di scrittura di Fosse, perché in definitiva si riteneva non semplice traslarla verso il teatro”.
Eppure l’operazione fu un successo, e l’opera di Fosse venne esportata anche al di fuori della Norvegia, in particolare in Germania e in Francia, dove registi importanti come Thomas Ostermeier e Patrice Chéreau hanno portato in scena i suoi testi contribuendo a farlo conoscere al grande pubblico.

In seguito Fosse è tornato è tornato alla letteratura: “In realtà – spiega Perrelli – ci troviamo di fronte a un autore che è ciclico: la scrittura narrativa e la scrittura teatrale si concatenano e in pratica c'è, oserei dire, un eterno ritorno della scrittura piuttosto che fasi o sezioni individuabili all'interno della sua creatività. Recentemente, infatti, c’è stato un nuovo riavvicinamento al teatro, senza contare che ha scritto anche delle poesie che, anche se meno conosciute, sono notevoli dal mio punto di vista”.
Le parole di Fosse possono quindi estrinsecarsi in numerose modalità espressive, ed è interessante chiedersi se ci sia un filo rosso che le leghi insieme secondo caratteristiche comuni.
“Qui bisogna essere molto chiari – precisa Perrelli – perché recentemente mi è capitato di leggere molti commenti in cui si evidenziano le assonanze che ci sono con il teatro dell'assurdo o anche con il romanzo dell'assurdo. Lo stesso Fosse riconosce la grandezza e l'importanza di un autore come Beckett che per lui è stato fondamentale, ma per quanto Beckett sia un autore che ha sicuramente delle componenti religiose nelle sue opere non possiamo paragonare questi due autori, perché Fosse è un mistico, e nel caso di un mistico non possiamo parlare di assurdo. Possiamo parlare di un vuoto divino (non è un’espressione mia ma un’espressione che Fosse mutua da Meister Eckhart) che lui riempie con il volto di Cristo, e le forme di scrittura di Fosse sono quasi dettate da questo Dio, che è irraggiungibile, ma che forse si materializza e si incarna nelle forme della scrittura. A questo proposito, va ricordato che nel 2013 Fosse si è convertito al cattolicesimo, che in Norvegia è una religione minoritaria, quindi ci troviamo di fronte a uno scrittore religioso e mistico, non a un autore dell'assurdo”.

I ritmi della lingua e lo stile di Fosse, mi creda, meritano sicuramente una lettura Franco Perrelli

Per quanto riguarda i temi e gli stilemi tipici di questo autore, la sua scrittura è inusuale: per fare un esempio, in Settologia, il romanzo che viene pubblicato in tre volumi da La Nave di Teseo (è appena uscito il secondo, Io è un altro) ci sono lunghi passaggi in cui non è presente neanche un punto. “Del resto – aggiunge Perrelli – anche leggendo i drammi le ripetizioni sono moltissime, la sospensione delle atmosfere è notevole, il silenzio ha un'importanza fondamentale nella sua scrittura. Se dovessimo vedere Fosse con i criteri più commerciali, non è uno scrittore facile. Tuttavia se lo leggiamo come va letto, cioè non per quello che narra ma per come narra, riusciremmo a entrare in un ritmo che ci dovrebbe dischiudere delle prospettive metafisiche, perché quella scrittura come dicevo prima è la scrittura di Dio, è una scrittura divina ed è una sorta di incarnazione del Divino”.

Un autore difficile sia dal punto di vista della scrittura che della traduzione. Quando parliamo di norvegese, infatti, non parliamo di un’unica lingua: semplificando, c’è una lingua maggioritaria affine al danese, la stessa che usavano gli autori classici come Ibsen, e poi una lingua minoritaria, che però viene anche studiata nelle scuole e si chiama neonorvegese o nynorsk, che è quella usata da Fosse e che si basa sui dialetti e sui linguaggi locali. Chi conosce il norvegese comprende anche il neonorvegese, ma quando si tratta di tradurlo non è semplice: “Anche se la lingua di Fosse tende ad essere estremamente lineare – racconta Perrelli – non nego che ho dovuto mandare tante lettere ad amici norvegesi, i quali a loro volta hanno dovuto scrivere ad amici e ad amiche che vivevano in zone particolari della Norvegia dove questo nynorsk è particolarmente usato per farsi decriptare nel senso corretto alcune espressioni e alcuni modi di dire usati dall’autore. Francamente è stata una delle imprese più difficili della mia carriera, però devo dire che a questo punto il problema è più mio che dell'autore, perché i ritmi della sua lingua e il suo stile, mi creda, meritano sicuramente una lettura”.

Per certi versi, insomma, non parliamo di un autore facile, eppure nel contempo parliamo di un autore che tutti potrebbero apprezzare, perché ognuno di noi in un certo qual modo può sentirsi perso, può ricercare un senso del divino che vada al di là della realtà. Lasciandoci trasportare da una scrittura di questo tipo, possiamo per un momento staccarci da quello che è razionale e sentire nel profondo dell’anima che questo senso che andiamo cercando esiste, anche se non è raggiungibile con i mezzi che siamo soliti utilizzare.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012