CULTURA

Il latino è foresta, non solo radici

In una realtà come quella odierna, dominata dalla tecnologia, si fatica forse a comprendere come sia il linguaggio il primo artefice del mondo in cui viviamo. Non solo il linguaggio della scienza, che spesso si esprime in forma matematica: anche quello di ogni giorno. È quella la nostra prima “tecnologia”, senza la quale le altre non sarebbero nemmeno immaginabili.

Ma se è così lo studio dei concetti e della loro storia – insomma della fisica, della geografia e della geologia del nostro linguaggio – dovrebbe avere un ruolo principe nella nostra formazione. Da assegnare innanzitutto, in un sistema scolastico come il nostro, a materie come greco e latino, ma con una metodologia che fosse caratterizzata da “uno studio etimologico, una scienza delle parole”. Parola di Nicola Gardini, scrittore e docente di letteratura italiana a Oxford, che dopo il fortunato Viva il latino. Storie e bellezza di una lingua inutile (2016) torna sull’argomento con Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo, spostando in parte l’angolo visuale.

Come dice il titolo, lo studioso passa in rassegna 10 termini latini noti e meno noti: da Signum a Volvo, da Memoria a Rete. Se il primo libro cercava di rispondere alla questione essenziale dell’utilità e del ruolo del latino, il secondo costituisce soprattutto una riflessione l’evoluzione di alcuni concetti chiave che, nati oltre 2.000 anni in riva al Tevere, dimostrano ancora oggi la loro importanza in un mondo globalizzato.

Nessuna definizione astratta farà mai giustizia all’abbondanza semantica di una parola Nicola Gardini

Una storia dei concetti quindi, o meglio ancora delle parole, fatta ovviamente attraverso altre parole: “Ma esiste la parola singola, la parola dei dizionari? No. – scrive Gardini – La parola è avvenimento; e lo spazio del suo avvenire è la frase, il discorso (…) Nessuna definizione astratta farà mai giustizia all’abbondanza semantica di una parola”. Di ogni termine quindi, tracciatene l’origine e l’etimologia, vengono esposte le linee di sviluppo semantico fino ai giorni nostri attraverso una selezione di testi di autori classici e medievali.

Prendiamo ad esempio Ars, che in origine non aveva nulla a che vedere con i turbamenti creativi: voleva dire piuttosto “applicazione” o “abilità manuale”, e come tale veniva spesso contrapposta al concetto di natura. C’era l’arte del vasaio e quella ingegneristica di Dedalo, ma rimanevamo comunque nell’ambito delle attività pratiche. Poi come sempre, passando di bocca in bocca, le parole si contaminano di metafore, fraintendimenti e altri artifizi, e può accadere che quello che dapprima era un concetto del tutto funzionale ed estraneo a finalità estetiche già in Seneca acquisti un nuovo significato: ecco dunque l’ars vitae, il “saper vivere” da cui derivano le arti liberali, ovvero quelle proprie dell’uomo libero, a partire dalla filosofia e dalla grammatica. Di lì il significato si affinerà sempre più nel senso della ricerca del bello: il nucleo essenziale di ciò che oggi chiamiamo arte.

Lo stesso vale per modus, il cui significato primigenio è anzitutto quello di misura, limite e confine, un concetto cardine in tutta la mentalità classica in quanto associato sia alle virtù morali che alla bellezza. Da esso deriva il celebre detto di Orazio “Est modus in rebus”, ma anche termini come modico, modesto, modulo, comodo, comò, moda e… modem! Tutti diversi nei significati, tutti accomunati dalla corrispondenza a un modello (altra derivato!) astratto. Da stilus deriva la stilo, ma anche lo stile e lo stiletto (inteso sia come coltello che come tacco), e così via.

Perché, scrive l’autore, il latino non rappresenta soltanto il passato, ma anche il presente e il futuro, non solo radici ma anche foresta: "Il latino è foresta – continua Gardini – . Il latino coincide, sì, con l’origine, ma rappresenta anche diramazione e propagazione, perché molto di quello che ha originato è cresciuto, si è espanso ed è arrivato fino a noi. Né si fermerà qui”.

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