C’è una stella pulsar, lì nella nebulosa del Granchio, che come un faro emette a intervalli regolari una radiazione ad alta energia: raggi gamma. Tra i mesi di gennaio e febbraio scorsi, la peculiare luce di questo faro cosmico è stata intercettata con successo da LST-1 il primo Large Sized Telescope della rete CTA (Cherenkov Telescope Array) che è in fase di allestimento sull’isola di La Palma nelle Canarie e che ha come obiettivo lo studio sistematico della parte più energetica e, per molti versi, più misteriosa del cosmo: l’universo a raggi gamma.
A questa impresa stanno partecipando, come vedremo, diversi centri di astrofisica italiani, compresi quelli della sezione INFN e dell’Università di Padova. Ma per comprenderne la portata e il significato della notizia resa nota oggi, occorre ricostruire la storia delle pulsar, stelle davvero fuori dall’ordinario. Una storia che attraversa trasversalmente tutta quella dell’astrofisica moderna.
Tutto inizia negli anni ’30 del secolo scorso, quando un fisico teorico indiano, il premio Nobel Subramanyan Chandrasekhar, si interroga su cosa succede quando una stella come il Sole esaurisce il suo combustibile e muore. I suoi calcoli parlano chiaro, se la stella ha una massa inferiore a 1,44 volte quella del Sole sopravvive come una “nana bianca”: in gas degenere di elettroni, infatti, riesce a “sorreggere” la massa che per gravità precipiterebbe verso il centro. E per quelle grandi più di 1,44 volte la massa solare? Robert Oppenheimer, grande fisico quantistico e futuro direttore scientifico del Progetto Manhattan, ipotizzò che nulla avrebbe potuto fermare il collasso gravitazionale e che la stella si sarebbe ridotta a un punticino con una tale densità che niente gli sarebbe sfuggita, neppure la luce. Oggi lo chiameremmo un “buco nero”.
Ma proprio all’inizio degli anni ’30 vengono scoperte delle nuove particelle atomiche, in neutroni. Così nel 1934 due astronomi di Pasadena, negli Stati Uniti, Walter Baade e Fritz Zwicky, ipotizzano che prima di giungere al tragico finale prospettato da Oppenheimer, ci sarebbe stato uno stadio in cui gli elettroni e i protoni sarebbero stati costretti a fondersi in neutroni. E che il gas neutro di queste particelle avrebbe creato una stella esotica: una stella a neutroni.
L’ipotesi era piuttosto dura da accettare, Per costringere elettroni e protoni a fondersi e a trasformarsi in neutroni occorreva una densità centinaia di migliaia di miliardi di volte la densità dell’acqua. Ora si dà il caso che la densità del Sole sia di poco superiore alla densità dell’acqua. Cosicché una stella come il Sole che ha un raggio di 700.000 chilometri una volta trasformatasi in stella a neutroni sarebbe diventata una piccola biglia cosmica di appena 16 chilometri di raggio.
Incredibile.
E, in effetti, l’ipotesi di Baade e Zwicky restò un’ipotesi accademica per alcuni decenni. Almeno fino a quando nel 1967 una giovane dottoranda inglese, Jocelyn Bell, non scopre che puntando l’antenna di un radiotelescopio verso una precisa parte del cielo si captano di segnali radio pulsanti regolari, con un intervallo di 1,33 secondi e spiccioli. Aveva scoperto le stelle pulsar: le stelle pulsanti, appunto. Nel 1974 la scoperta fu premiata con il Nobel, che tuttavia andò al prof della povera Jocelyn, l’astronomo Antony Hewish, e non a lei. Il primo insegnamento è che non sempre a Stoccolma conta il merito. Il secondo e più importante è che nell’universo esistono fenomeni straordinari, che vanno ben al di là della più creativa immaginazione umana.
Tuttavia gli umani riescono a carpirla spesso quella straordinaria diversità cosmica. Per esempio c’è riuscito, nel 1968, un altro teorico, l’astrofisico Thomas Gold, austriaco di nascita ma docente a Cornell (USA). Il quale sostiene che le pulsar altro non sono che le stelle a neutroni previste da Baade e Zwicky.
Ora tutto comincia a tornare. Le stelle a neutroni compattate in uno spazio minuscolo ruotano su sé stesse in tempi rapidissimi, anche di pochi millesimi di secondo. E ruotando su sé stesse emettono, a impulsi regolari, come un faro, onde elettromagnetiche. Jocelyn Bell aveva scoperta stelle pulsar che emettono onde radio. Ma nel 1971 l’Energetic Gamma Ray Experiment Telescope (EGRET) verifica che le pulsar (ovvero le stelle a neutroni) emettono radiazione anche ad alta frequenza, persino raggi gamma: la radiazione più energetica che ci sia.
L’italiano Giovanni Bignami, un milanese e la specificazione non è un dettaglio, nel 1974 scopre una stella a neutroni nella costellazione Gemini dopo venti anni di infruttuose ricerche e la battezza Geminga, che può essere letto in due modi. In inglese, come acronimo di Gemini gamma-ray source, e in milanese come gh'è minga: ovvero non c’è. Ma bisognerebbe dire non c’era, fino alla scoperta di Bignami.
In breve lo studio delle pulsar giovani, che emettono raggi gamma, ha ormai cinquant’anni. Ma non è affetto completato. Anzi, l’universo a raggi gamma è ancora un oggetto per molti versi misterioso. Di qui l’idea di osservarlo in maniera tridimensionale e non lineare, come fa un comune singolo telescopio. Posizionando sulla Terra quattro telescopi in punti differenti si può avere una buona visione stereoscopia dell’universo. Se questi quattro telescopi – è il caso del progetto CTA – sono a raggi gamma, ecco che possiamo avere una visione stereoscopica dell’universo a raggi gamma. Che è un universo popolato non solo da pulsar giovani ma da altri oggetti ed eventi che ancora non conosciamo bene.
Di qui l’importanza della notizia odierna: LST-1 il primo Large Sized Telescope della costruenda rete CTA (Cherenkov Telescope Array) funziona. Già, ma perché li definiamo Cherenkov Telescope questi particolari occhiali cosmici? Il motivo è molto semplice. Quando questi raggi provenienti dall’universo profondo impattano con l’atmosfera terrestre creano uno sciame di particelle (elettroni e positroni) che subiscono il colpo e partono a velocità superiore alla luce (sì la luce ha la massima velocità possibile nel vuoto, ma in un mezzo materiale può essere superata). Quando ciò accade lo sciame produce un breve lampo di luce visibile che ha una colorazione tendente al blu. Poiché questa radiazione è stata scoperta dal russo Pavel Cherenkov, ecco che oggi viene chiamata “radiazione Cherenkov”.
A questo punto abbiamo finalmente chiara la novità della prima messa a punto di LST-1 e rimandare al comunicato stampa dell’esperimento, ricordando il contributo italiano e, in particolare, patavino al progetto: «Il contributo dell'INFN alla costruzione e alla messa in servizio del telescopio è stato fondamentale per arrivare a questo risultato. Le sezioni INFN e Università di Padova, Pisa, Siena, Torino e Udine sono state in prima linea per la costruzione del grande telescopio LST. La Sezione INFN e l’Università di Padova hanno partecipato alla progettazione del sistema ottico del telescopio, hanno costruito parte della meccanica del movimento azimutale e fornito le funi in fibra di carbonio per sostenere e ancorare l'arco che sostiene la camera. Al momento vi sono quattro membri dell'INFN e dell’Università di Padova appartenenti al Consiglio Direttivo LST: il Prof. Alessandro De Angelis e il Prof. Mosè Mariotti, che è anche coordinatore nazionale per l’INFN del progetto LST e responsabile per il sistema meccanico costituito da funi in fibra di carbonio, il Dr. Riccardo Rando, coordinatore per la ricerca e lo sviluppo di innovativi foto-rivelatori al silicio, e il Dr. Rubén López-Coto, coordinatore per l'analisi dei dati e responsabile dello sviluppo di software del telescopio. Il contributo più significativo per questo risultato da parte di INFN-Padova è stato ottenuto grazie ad una speciale analisi dati messa a punto dal Dr. Rubén López-Coto, ricercatore del progetto “Fellini” della Sezione INFN di Padova».
Le pulsar sono stelle di neutroni, resti del collasso gravitazionale di stelle alla fine della loro vita, che ruotano molto rapidamente (compiono una rotazione completa in pochi millisecondi). Sono fortemente magnetizzate ed emettono radiazione sotto forma di due fasci; tale radiazione può essere osservata dalla Terra solo quando i fasci intercettano la nostra linea di vista.
La rivelazione di sorgenti di raggi gamma ad alta energia - intense e costanti - è diventata ormai una routine grazie a “speciali” telescopi ad immagine di luce Cherenkov in atmosfera (IACT). La rivelazione del segnale variabile delle pulsar è molto più difficile da effettuare a causa della debole intensità; per di più il segnale è sempre sovrastato dal grande flusso costante di raggi gamma emesso dalle nebulose circostanti che diventano paradossalmente un “rumore” alla sua rivelazione. Nonostante molte ore dedicate a queste particolari osservazioni da parte di strumenti IACT in tutto il mondo, ad oggi sono state scoperte solo quattro pulsar che emettono segnali estremamente energetici nel dominio dei raggi gamma. Adesso che anche il primo grande telescopio di CTA, l'LST-1, ha dimostrato di essere in grado di rilevare il debole segnale della pulsar del Granchio, resto di un collasso stellare avvenuto nel 1054 d.C., aumenta il numero di telescopi in grado di rilevare le pulsar con raggi gamma ad elevata energia.
In un futuro non troppo lontano, con la realizzazione di tutti e quattro i grandi telescopi LST di CTA previsti per il sito di La Palma, la sensibilità a questi deboli segnali aumenterà notevolmente grazie all’analisi incrociata (stereo) dei dati presi in contemporanea da questi telescopi. Avremo allora a disposizione uno strumento di altissima precisione e sensibilità che ci permetterà di studiare a fondo le emissioni di radiazione ad elevatissima energia da parte di questi corpi celesti che vivono nelle condizioni più estreme di gravità e campo magnetico, dove molti fenomeni non sono ancora ben compresi.
I dati analizzati includono 11,4 ore in otto notti di osservazione. La Figura 2 mostra il diagramma che traccia il numero di raggi gamma in funzione della fase di rotazione della pulsar. Nelle regioni di fase contrassegnate come P1 e P2, sono previsti più raggi gamma perché il fascio di luce della pulsar è diretto verso la Terra. L'emissione rilevata in tutte le fasi (indicata in verde nella Figura 2) è una miscela di diversi contributi di fondo, inclusa l'emissione costante irriducibile dalla Nebulosa del Granchio. Il segnale rilevato con LST-1 (contrassegnato in rosso nella Figura 2) per la fase P2 è particolarmente significativo. L'animazione in Figura 3 evidenzia il comportamento dell'impulso della sorgente durante le diverse fasi. Per approfondimenti su questa rivelazione, rimandiamo al sito ufficiale CTA: http://www.cta-observatory.org/lst1-detects-vhe-emission-from-crab-pulsar.