Sono passati già dieci anni dalla scomparsa di Mike Bongiorno, e capita spesso di sentire persone, in particolare anziane ma non solo, che lo rimpiangono. È la magia della televisione: la accendi a tempo perso, per farti compagnia mentre lavi i piatti, e non ti rendi conto che un po’ alla volta diventa una consuetudine a cui ti leghi a doppio filo. In questo modo ti sembra di conoscere i conduttori dei programmi quotidiani, e quando muoiono può addirittura capitarti di commuoverti. Resta da chiedersi, ma forse è una domanda retorica, se ci affezioniamo al personaggio che vediamo in tv o alla persona, e quanto l’immagine pubblica corrisponda a quella privata.
Di riferirsi solo al personaggio lo dichiarava Umberto Eco, nell’analisi poco lusinghiera che ne fa in Fenomenologia di Mike Bongiorno (dalla raccolta Diario minimo, Mondadori 1963). Secondo Eco, questo idolo nazionale metteva i telespettatori nella posizione di non fare nulla per migliorarsi: era l’uomo medio più medio di tutti, e vederlo ogni sera in televisione permetteva alle persone dall’altra parte dello schermo di sentirsi a posto con la coscienza (critica). Avevano di fronte a loro un modello totalmente raggiungibile: molti telespettatori incarnavano già l’archetipo dell’uomo medio, e chi non corrispondeva a questo ritratto poteva rimediare senza troppo sforzo.
Scriveva Eco: “Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all'apatia e alla pigrizia mentale”. Una domanda sorgerebbe spontanea: se il telespettatore, per un capriccio del caso, avesse cambiato canale (magari sedendosi per sbaglio sul il telecomando) e si fosse trovato di fronte il sorriso serafico e dotto di Piero Angela, si sarebbe vergognato della sua pochezza intellettuale? Ai posteri l’ardua sentenza, per ora andiamo avanti.
Il semiologo analizza lucidamente il linguaggio del conduttore: “Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a tendere invisibile la dimensione sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi”. Secondo Eco questo appiattimento del linguaggio era un bel rischio, ma i linguisti sono abbastanza concordi nell’affermare che l’evoluzione della lingua è un fenomeno inevitabile, privo di connotazione positiva o negativa. Del resto ora la patria del linguaggio semplice, quando non addirittura sgrammaticato, è il mondo dei social, verso cui Eco è stato molto critico, per usare un eufemismo. Anche sui social network, comunque, sopravvive un enclave di dotti che potrebbe diffondere una lingua pregna di subordinate: anche qui, se avranno successo lo dirà solo il tempo.
Eco riconosceva però a Mike Bongiorno una deferente ammirazione per chi, invece, le cose le sapeva. Questo non era un gran complimento, tanto più che poi precisava che secondo il conduttore gli intellettuali diventavano tali grazie alla memoria e all’impegno, negando quindi il ruolo dell’intelligenza critica. Non potendo leggere nella mente dei morti (ma nemmeno dei vivi), confermare questa visione è impossibile. Se anche fosse, però, c’è da dire che Bongiorno, anche secondo Eco, manifestava una grande fiducia verso gli esperti, cosa che gli stessi esperti di oggi probabilmente rimpiangono. Però, rincarava Eco, Bongiorno rispettava le opinioni altrui per mero disinteresse, visto che pur ammirando questi esperti non faceva nulla per informarsi a sua volta; per concludere, veniva rilevata l’assoluta mancanza di umorismo: “Ride perché è contento della realtà, non perché sia capace di deformare la realtà. Gli sfugge la natura del paradosso”. Thomas Mann, utilizzando le parole del suo Tonio Kröger, l’avrebbe probabilmente definito “luminosamente vivo, felice, amabile ordinario”, in un contesto in cui sembrava obbligatorio scegliere se essere intelligenti o essere felici. In ogni caso non doveva essere male vedere l'allegria a disposizione ogni sera in quella scatola parlante.
Con il suo saggio, Eco dà un resoconto, forse realistico ma indubbiamente spietato, della televisione e degli italiani: sicuramente aveva ragione su molti aspetti, e anzi le recenti derive politiche sembrerebbero confermare un certo snobismo verso gli intellettuali e gli scienziati. Ci sono ottime possibilità, però, che la televisione in generale e Mike Bongiorno in particolare non siano la causa di tutto questo, ma un sintomo che è andato ad aggravarsi con il passare del tempo. Stiano sereni gli estimatori di Mike Bongiorno, che rimane un simbolo dell’Italia del boom economico che sono giustificati a rimpiangere: il loro apprezzamento non è per forza sinonimo di ignoranza, anche perché il conduttore è riuscito a portare una certa misura di cultura nei salotti (o nelle cucine) degli italiani degli anni Sessanta, quando la scolarizzazione era meno diffusa di oggi. Possiamo continuare a ricordarlo con il sorriso, tanto più che si possono rintracciare in lui altri valori, come l’ottimismo, l’etica del lavoro e la correttezza.