Nell’universo fantascientifico di Star Trek la popolazione dei Borg, per assimilare individui nel proprio Collettivo, usa delle nanomacchine autoreplicanti, dei dispositivi di dimensioni nanometriche in grado di compiere delle azioni in maniera autonoma. Così istintivamente associamo le nanomacchine alla fantascienza ma questi dispositivi, negli ultimi anni, hanno fatto molto parlare di sé nel campo della ricerca scientifica grazie al premio Nobel per la chimica 2016 consegnato alle macchine molecolari di James Fraser Stoddart, Jean-Pierre Sauvage, Ben Feringa e alle possibili applicazioni del premio Nobel per la fisica 2018 consegnato a Arthur Ashkin, Gérard Mourou e Donna Strickland.
La storia delle nanomacchine, però, risale a qualche anno prima. Era infatti il 29 dicembre 1959 quando il fisico statunitense Richard Feynman, nel suo celebre discorso “There’s a plenty of room at the bottom” alla conferenza annuale dell’American Physical Society al California Institute of Technology, descriveva la possibilità di dare il via alla costruzione di oggetti miniaturizzati, ben più piccoli di quanto fatto fino ad allora, utili in moltissimi campi, dall’informatica alla medicina. Quel giorno si assisteva alla nascita della nanotecnologia, quel campo della ricerca scientifica in cui rientrano anche le macchine molecolari.
Ma cosa sono le macchine molecolari? E a che punto è arrivata la ricerca scientifica in questo settore? Ne abbiamo parlato con Cristiano Zonta del dipartimento di Scienze chimiche dell’università di Padova che lavora sulle macchine molecolari insieme al gruppo di ricerca di Alberto Credi dell’università di Bologna, allievo di Vincenzo Balzani, uno dei pionieri delle macchine molecolari a livello internazionale, nonché da molti definito "il quarto Nobel" per le macchine molecolari. “Una macchina molecolare è un vero e proprio dispositivo di dimensioni nanometriche, invisibile ai nostri occhi – racconta Zonta - in grado di compiere dei movimenti direzionali sotto precisi stimoli che possono essenzialmente chimici o fisici. Lo stimolo iniziale fa consumare alla macchina energia per produrre un lavoro, è una sorta di benzina."
In pratica le macchine molecolari trasformano una forma energetica in un movimento in una direzione definita. Questi oggetti così piccoli possono essere realizzati secondo due approcci descritti anche in un recente articolo su PNAS: la riproduzione in scala nanometrica di movimenti che avvengono su scala macroscopica, oppure prendendo ispirazione da processi che avvengono in natura. “Il secondo approccio – continua Cristiano – permette di utilizzare un metodo di fabbricazione diverso dalla miniaturizzazione più diffusa nel campo delle nanotecnologie: il processo di fabbricazione avviene partendo ‘dal basso’ e non ‘dall’alto’”.
Nelle nanotecnologie, infatti, il metodo di fabbricazione più diffuso è quello top down, che parte cioè da un materiale su scala macroscopica e lo “scolpisce”, ci “scrive” fino ad ottenere oggetti su scala nanometrica. Con le macchine molecolari invece si può applicare la tipologia di fabbricazione bottom up: si parte da molecole semplici e tramite specifiche tecniche di assemblaggio si ottiene appunto la macchina molecolare. Un po’ come realizzare una costruzione partendo dai mattoncini invece che realizzare una scultura partendo da un blocco di marmo. Tutto a dimensioni piccolissime però.
Una delle macchine molecolari più famosa è quella realizzata da Feringa nel 2011: la nano-macchina a quattro ruote in grado di muoversi in una sola direzione della celebre copertina di Nature del novembre 2011.
In 2011, Ben Feringa’s research group built a four-wheel drive nanocar: #NobelPrize pic.twitter.com/Cz7qAjfGR4
— The Nobel Prize (@NobelPrize) 5 ottobre 2016
“Interessante è anche notare” – aggiunge Zonta – “come noi stessi abbiamo all’interno del nostro corpo macchine molecolari. I muscoli ad esempio sono composti da una serie di molecole tutte allineate che compiono un certo movimento. Proprio prendendo ispirazione dai muscoli, delle macchine molecolari sono state legate ad un polimero. In questo modo il nano-movimento risulta amplificato e lo possiamo vedere su scala macroscopica, quindi a occhio nudo”.
Ma a che punto siamo con l’applicazione delle macchine molecolari? "Quali sarebbero le possibilità di macchine piccolissime? Potrebbero essere utili, o forse no, ma sarebbero certamente divertenti da costruire" diceva Feynman. Ma di tempo ne è passato dagli anni '60 e “al momento si sta lavorando molto sulla ricerca di base in questo campo e ci si sta spingendo verso possibili applicazioni come il delivery di farmaci” racconta Zonta. Quello delle nanomacchine è quindi un campo che resta aperto e molto stimolante per chi è curioso di sperimentare e mettersi in gioco nel nanomondo. Certo è che si tratta di un campo di ricerca innovativo, servirà ancora tempo, ma i molti passi avanti fatti dal 1959 sono stati possibili proprio grazie alla ricerca di base. Ed è anche grazie a questo che le macchine molecolari non sono più limitate a universi fantascientifici.