SOCIETÀ

I numeri del volontariato in Italia: i giovani ne sono il perno centrale

Quando si parla di giovani in Italia spesso ci si imbatte in stereotipi e pregiudizi. Vengono definiti “choosy”, “mammoni” che vivono ancora con i genitori o che non hanno voglia di darsi da fare. Leggere solamente una statistica e trarre delle conclusioni però, è passatempo politico tanto utilizzato quanto fuorviante. Se da un lato i dati ci confermano che in Italia i giovani tra i 18 e i 34 anni vivono mediamente di più in casa con i loro genitori rispetto ad altri paesi europei, dall’altro questa statistica dobbiamo rapportarla almeno ad altri indicatori. Capirne il motivo di questa apparente pigrizia è necessario sia per conoscere meglio la situazione del nostro Paese, sia per prevedere eventuali azioni politiche utili ad invertire la rotta. Sappiamo quindi che in Italia il 69,4% dei giovani tra i 18 ed i 34 anni vive ancora con i genitori. 

Se il dato italiano, come abbiamo visto, nonostante alcune oscillazioni è in continua crescita dal 2004, rapportandolo al resto d’Europa vediamo come sia più basso solamente di quello di Croazia, Grecia, Slovacchia e Portogallo ed è di ben 20 punti percentuali più alto della media europea.

Ma quindi sono dei “mammoni”? Ecco, forse se i giovani non escono di casa però, un motivo c’è e difficilmente può essere cercato nel loro DNA. Una delle diverse cause, ad esempio, potrebbe essere il fatto che quasi un giovane su quattro in Italia è a rischio povertà o esclusione sociale. 

Se a questo ci aggiungiamo il fatto che il prezzo medio per l’affitto di un immobile in Italia è di 12,74 euro al metro quadro, cioè quasi il 40% in più rispetto al gennaio 2016, iniziamo a capire come andare a vivere da soli possa essere più complesso a farsi che a dirsi.

Affibbiare delle etichette generazionali però a volte è troppo facile. Un’interessante analisi di Openpolis sulla partecipazione dei giovani italiani alle organizzazioni sociali e nel volontariato ci apre scenari che cozzano con aggettivi come “choosy” o “pigri”. In primo luogo è interessante notare, grazie ai dati del progetto “Con in Bambini”, che i giovani tra i 18 ed i 24 anni mediamente svolgono attività di volontariato di più rispetto al resto della popolazione. A questo bisogna aggiungere anche che nell’ultimo anno la quota di chi si spende in questa attività è cresciuta in tutte le fasce d’età giovani fino ai 24 anni.

L’impegno dei giovani però non è solo ristretto al volontariato. Ci sono infatti associazioni che possono essere culturali, ricreative o ecologiche. L’intero terzo settore è sostenuto da una partecipazione giovanile che è fondamentale. In particolare le riunioni in associazioni ecologiche, per i diritti civili o per la pace hanno visto una percentuale di partecipazione della fascia d’età 18-19 anni ben superiore alla media della popolazione. La medesima fascia d’età ha una partecipazione minore rispetto alla media nazionale solamente in riunioni in associazioni culturali, ricreative o di altro tipo.

La presenza delle fasce più giovani in organizzazioni del terzo settore, poi, può essere utile anche a colmare alcune lacune che emergono dall’ultimo censimento dell’Istat. Secondo i dati infatti delle oltre 360mila istituzioni no profit censite in Italia, solamente una su tre avrebbe utilizzato piattaforme digitali per le proprie attività, e meno di una su 10 (9,8%) avrebbe acquistato servizi di cloud computing. Emerge quindi una difficoltà per quanto riguarda l’utilizzo delle nuove tecnologie che per tre organizzazioni su quattro si fermerebbe all’utilizzo di una connessione internet mobile o fissa. Dati che fanno capire come la presenza di nativi digitali possa portare un bagaglio di conoscenze necessarie a migliorare il lavoro dell’intero terzo settore.

 

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