SOCIETÀ

Paesaggi sonori. Viaggi tra arcipelaghi del suono

Hai sentito? Cosa? Il suono è effimero ci sfiora rapidamente e altrettanto velocemente scompare. Il suono è un fantasma che ci circonda costantemente, è aria e vibrazione, tremore o pressione, e noi lo percepiamo anche in base alle circostanze, di piacere, di dolore oppure di paura.

Oltre alla dimensione razionale, il suono nasconde in sé una dimensione affettiva ed emotiva. Chiaro, per coglierla dobbiamo fermarci ed ascoltare, lasciare che, come in embrione, i suoni ci accarezzino, si radichino in noi via via sempre più consapevolmente grazie ad una continua attribuzione di significato. Questa serie nasce a partire dal lavoro del gruppo di ricerca internazionale multidisciplinare sui paesaggi sonori con l’intenzione di spostare l’attenzione del lettore dalla prospettiva oculocentrica a quella uditiva. Le riflessioni si intrecciano in un procedere “indisciplinato”, ovvero fuori dagli schemi delle singole discipline, e transitano competenze diversissime (architettoniche, di design d’interni, sociologiche, pedagogiche, psicologiche, linguistiche, artistiche, geografiche, filosofiche, musicali) sviluppate in molteplici contesti.

L’intento di questo viaggio è quello di offrire delle riflessioni stimolanti e nel contempo di riportare l’attenzione sulle geografie degli ascolti all’interno di molteplici spazi acustici che vogliono arrivare a cogliere l’irrefrenabile, l’impercettibile e l’indistinto anche oltre i confini di nozioni come “oggetti sonori” e “paesaggio sonoro”. Il suono reca infatti con sé informazioni circa lo spazio nel quale esso prende forma, può dirci qualcosa sul luogo, i suoi abitanti, le loro attività. Il suono ci parla, ci informa, ci costringe, ci persuade a pensare e sentire (qui ed ora anche in tempo di pandemia) e al tempo stesso ci racconta e ci rimanda indietro nel tempo, attraverso la sua fortissima carica evocativa. Le neuroscienze a questo proposito hanno dimostrato che la dimensione dei suoni è uno dei fattori che condizionano più direttamente le nostre azioni, e che l’esperienza e i ricordi di ogni individuo sono costellati di suoni, presenti o passati.

Quando parliamo di suono, si catalizzano tutti i pregiudizi culturali che raccogliamo in quello zaino che è la nostra memoria sonora, la quale connota ciascun suono di valore economico, culturale, morale. Inoltre, chiamiamo rumore quel gruppo di suoni che sono scomodi, fastidiosi, solitamente prodotti dagli altri, ma soprattutto improduttivi, non utili. Al contrario, chiamiamo musica tutti quegli eventi acustici che in qualche modo rappresentano comfort, divertimento e ragionamento. Dopotutto, giudichiamo la gran parte dei suoni a seconda della loro produttività (economica, politica, affettiva ecc.) e ci basiamo sulla capacità che hanno di rinforzare i nostri valori e le nostre identità.

Ma il suono può diventare uno strumento di controllo, di potere. Nessun suono prodotto dall’uomo è innocente, al contrario è denso di significato, ha dietro una logica, è il risultato di un processo di design che si è sviluppato nel tempo e che dà vita ad un arcipelago di suoni che connotano il nostro stare negli spazi.

Il suono contribuisce a instaurare con il luogo un legame identitario. Esso è parte costituiva della nostra cultura, tanto che viene riconosciuto dall’Unesco (nel 2003) quale patrimonio immateriale e componente essenziale del paesaggio.

È vero, le orecchie sono la modalità principale con cui percepiamo il suono ma questa non è l’unica via: possiamo “ascoltare” con quasi tutti gli organi del nostro corpo, anche attraverso i pori della nostra pelle. In realtà, rispetto alle altre specie, la nostra capacità di ascolto è molto primitiva: non sentiamo ad esempio le vibrazioni che vengono prodotte dal terremoto o le voci di alcuni mammiferi che usano alte frequenze per comunicare tra loro.

Educare al suono significa anche far maturare consapevolezza in tal senso, creare occasioni in cui accompagnare le giovani generazioni attraverso terre incognite da scoprire. Questa è una sfida olistica e complessa che usa molteplici linguaggi per parlare tra le righe, fa cogliere il non detto, per far uscire dalla zona di comfort, attraverso l’uso di linguaggi che fanno leva sul benessere che una scoperta porta con sé, sulla meraviglia, sullo stupore che accompagna la sensazione di potercela fare – anche attraverso l’errore –, ma soprattutto sulla forza della fragilità che, esattamente come un suono, è effimera ma, al tempo stesso, ha lo straordinario potere di aprire percorsi inaspettati, non programmati.


I protagonisti del video di apertura della serie "Paesaggi sonori":

Lorena Rocca, docente di Geografia umana all’università di Padova, coordina il gruppo di ricerca internazionale multidisciplinare sui paesaggi sonori attivo presso il dipartimento Formazione e Apprendimento della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana. Da più di dieci anni insegue i suoni nei paesaggi, ricercandone forme didattiche innovative che pongono al centro l’ascolto. Di recente pubblicazione il volume I suoni dei luoghi- Percorsi di geografie degli ascolti edito da Carocci.

Martino Mocchi, dottore in Filosofia, PhD in Architettura, è assegnista di ricerca e docente a contratto presso il Politecnico di Milano. Membro del gruppo di ricerca internazionale sui paesaggi sonori al DFA della SUPSI, si occupa della relazione tra suono e architettura, con attenzione al tema della progettazione ambientale e multisensoriale. È autore del libro Città di suono per LetteraVentidue (2020).

Carlotta Sillano è Phd in Digital Humanities e musicista. La sua ricerca si concentra sugli ambienti acustici e la loro rappresentazione, con un interesse specifico per i linguaggi artistici e i nuovi media. È parte del gruppo di ricerca sui paesaggi sonori attivo presso SUPSI. Come musicista, esplora questi temi anche nella sua produzione artistica. Con il nome d'arte "Carlot-ta", ha all'attivo quattro album musicali e più di trecento concerti in Italia ed Europa.

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