SCIENZA E RICERCA

Un piccolo invertebrato per studiare le neuropatologie umane

Sono piccoli, ma offrono grandi opportunità: stiamo parlando dei tunicati, invertebrati marini poco conosciuti ma comunissimi in tutti i mari – abbondano, ad esempio, nella laguna di Venezia – con dimensioni che variano da un millimetro e mezzo a un massimo di venti centimetri. Dei tunicati fa parte la specie dei botrilli (Botryllus schlosseri), al centro dell’articolo dal titolo Two distinct evolutionary conserved neural degeneration pathways characterized in a colonial chordate pubblicato da un team di ricercatori del dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e dell’Università di Stanford, in collaborazione con il Cham Zuckerberg Biohub di San Francisco, sulla rivista scientifica PNAS. I botrilli presentano una degenerazione del cervello simile a quella umana: capire quindi quali siano i processi che portano al decadimento del loro sistema nervoso, anche da un punto di vista evolutivo, può esser d’aiuto nel comprendere neuropatologie, spesso invalidanti, che coinvolgono un numero crescente di persone.

Ne abbiamo parlato con la professoressa Lucia Manni del dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, che ha coordinato la ricerca e che studia da anni questa specie, introdotta per la prima volta come specie “modello” proprio nell’ateneo patavino dal professore emerito Armando Sabbadin intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso: da allora si è diffuso in diversi laboratori in tutto il mondo.

Professoressa, cos’ha di speciale questo animale?

I tunicati si studiano in generale, e non solo la specie del Botryllus schlosseri, perché sono i nostri parenti più prossimi dal punto di vista evolutivo: se usciamo dal gruppo dei vertebrati – a cui apparteniamo anche noi – e cerchiamo gli animali che ci sono più vicini, cioè quelli che condividono con noi l’antenato più prossimo, troviamo i tunicati. Sono molto utili per cercare di comprendere l’evoluzione dei vertebrati, che invece sono molto più complessi, e ci possono aprire gli occhi su strategie evolutive interessanti, proprietà che probabilmente c’erano nei nostri antenati e che ora non ci sono più. Perciò ci possono dare indicazioni su come si siano evoluti anche alcuni tratti dell’uomo.

È proprio in questo senso che si è inserita la nostra ricerca sul sistema nervoso, sull’invecchiamento e sulla neurodegenerazione. Vi spiego come funziona: nelle colonie di Botryllus schlosseri gli animali adulti si dispongono come a formare dei piccoli petali di fiori; ogni animale adulto può produrre sulle pareti del suo corpo delle gemme, cioè altri individui, attraverso riproduzione asessuata. Ovviamente questi animali si riproducono anche sessualmente perché producono spermi e uova, da cui nascono larve che danno origine a nuove colonie. Quando la larva si insedia sul substrato e metamorfosa, comincia a produrre dai lati del suo corpo nuovi individui, le gemme. Naturalmente, tutti gli individui di una colonia sono geneticamente uguali tra di loro perché non derivano dalla riproduzione sessuata.

La cosa curiosa di questa colonia è che ciclicamente e tutti insieme gli animali adulti muoiono perché vengono sostituiti dalle prime gemme nate da questi adulti. In una colonia ci sono sempre tre generazioni: gli adulti, le gemme che chiamiamo primarie (che crescono sulla parete degli adulti) e le gemme cosiddette secondarie, che invece crescono sulle gemme primarie. Ciclicamente, avviene quello che noi chiamiamo “cambio di generazione”: muoiono gli adulti, le gemme primarie diventano adulte a loro volta e cominciano a nutrire la colonia. Nel contempo, le gemme le secondarie crescono diventando la nuova generazione di gemme primarie e formano nuove piccole gemme secondarie. A mano a mano che muore una generazione più avanzata, ce n’è una nuova che subentra e siccome un individuo produce più di una gemma, la colonia diventa sempre più grande e quindi è formata da centinaia di “fiorellini”, ognuno con dei petali (gli individui adulti).

Da cosa siete partiti per la vostra ricerca?

A 18°C in laboratorio questo cambio di generazione avviene ogni settimana. Quindi ogni settimana osserviamo una degenerazione in tutti gli animali adulti, che vengono riassorbiti perché la colonia recupera tutto ciò che c’è di buono; è un po’ come quando gli alberi perdono le foglie: prima che la foglia si stacchi dall’albero la pianta assorbe tutto ciò che può essere utile per la sua sopravvivenza nel periodo invernale. La stessa cosa succede con i botrilli: gli adulti vengono riassorbiti ma tutto il materiale viene recuperato in favore delle nuove gemme che si andranno a sviluppare.

Ci siamo chiesti: come fa il cervello di questo animale a degenerare tutte le settimane? Tra l’altro, questo avviene in maniera molto controllata perché vicino a questi animali che muoiono ce ne sono altri più giovani che stanno perfezionando il loro cervello per diventare adulti funzionanti.

In un certo senso, vi è una specie di ringiovanimento ciclico di settimana in settimana grazie alla gemmazione. Ed è vero che le generazioni cambiano continuamente ma la colonia, nel suo insieme, non vive in eterno. In realtà le colonie, in natura – almeno nella nostra laguna – muoiono dopo 1-2 anni. Il ringiovanimento settimanale, dunque, non garantisce la vita eterna: anche i botrilli invecchiano, ma a Stanford i miei collaboratori hanno delle colonie che hanno tenuto in vita anche per 20 anni!

Cosa avete scoperto osservando l’invecchiamento nei botrilli?

Abbiamo confrontato i meccanismi di neurodegenerazione ciclica – quella che avviene settimanalmente – con quella che avviene nell’invecchiamento della colonia, comparando individui di pochi mesi con quelli di 15 anni. Il problema era studiare i due tipi di degenerazione del cervello in questo modello animale: da una parte quella che avviene in maniera controllata, a cadenza settimanale, dall’altra parte quella che avviene per invecchiamento.

Abbiamo trovato che sia la neurodegenerazione ciclica sia quella dell’invecchiamento avvengono attraverso fasi simili: diminuisce il numero di neuroni e il rapporto tra gli stessi. Abbiamo eseguito dei test comportamentali per vedere se al diminuito numero di neuroni corrispondesse una diminuita performance e l’ipotesi è stata confermata: il comportamento di animali prossimi alla neurodegenerazione ciclica o di animali vecchi cambia perché le risposte sono meno pronte, gli animali sono meno sensibili agli stimoli esterni rispetto agli animali giovani. Quel che ci ha davvero sorpreso, poi, è stato constatare che sia nella neurodegenerazione ciclica che in quella per invecchiamento, l’animale esprime geni che sono associati a malattie neurodegenerative umane come l’Alzheimer, il Parkinson e la demenza frontotemporale o la malattia di Huntington.

Nell’invecchiamento, tutto l’animale – o meglio, tutta la colonia – invecchia e muore, mentre nella degenerazione ciclica solo gli adulti vengono assorbiti: le gemme continuano a svilupparsi (se morissero anche le gemme, si estinguerebbe anche la colonia). Perciò l’animale deve anche possedere dei meccanismi di autocontrollo del processo degenerativo, che deve rimanere limitato agli individui adulti. Siamo lontani dal capirne esattamente i meccanismi, però credo che il modello presentato nella nostra ricerca in futuro possa riservare delle sorprese e soprattutto ci possa aiutare a comprendere come si è evoluta la neurodegenerazione, un problema serissimo perché la nostra società sta invecchiando. Dobbiamo far fronte a malattie degenerative invalidanti e hanno un costo altissimo per la sanità.

Quindi l’ipotesi è che ci possa essere qualche analogia con le malattie degenerative nell’uomo?

Potrebbe esserci qualche analogia oppure no: essendo animali semplici, è possibile che i tunicati abbiano capacità e caratteristiche che i vertebrati non hanno o hanno perduto. I tunicati, ad esempio, riescono a rigenerarsi totalmente, capacità che noi vertebrati abbiamo perso nel corso dell’evoluzione a vantaggio di una complessità: più una struttura è complessa, più difficile è rigenerarla; più un animale è semplice, più ha questa capacità. Se questi animali perdono il cervello, lo rigenerano; nell’uomo questo è impossibile.

Ma dato che questi invertebrati sono i nostri parenti più stretti, è interessante capire come mai in questo gruppo di animali questo è possibile mentre nei vertebrati no. Siamo molto lontani dall’avere una risposta, però l’evoluzione ci riserva sempre delle sorprese, ci dà una visione diversa dei problemi e ci fa escogitare soluzioni nuove che magari noi ora non immaginiamo: l’evoluzione è avere degli occhiali nuovi per osservare il mondo, in un certo senso.

Prima ci ha spiegato che i botrilli sono stati tenuti a 18°C costanti: con l’aumento della temperatura che stiamo vivendo in questi ultimi anni ci sarà qualche variazione per questi animali?

È una domanda che ci stiamo ponendo anche noi, specialmente con le temperature che stiamo registrando quest’estate. Questi animali, in generale, hanno una tolleranza molto ampia. La nostra stessa laguna di Venezia è un ambiente mutevole perché passa da temperature molto basse in inverno a temperature molto alte d’estate e presenta variazioni di salinità e ossigeno, ma questi animali ci vivono bene nonostante queste fluttuazioni importanti. È anche vero, però, che si riproducono sessualmente solo in primavera e autunno, quando l’acqua raggiunge i 10-15°C, mentre in estate e inverno la riproduzione sessuata non avviene, quindi il rischio è che nel prossimo futuro l’ambiente possa diventare inospitale per questi animali, così importanti per i nostri studi: anche se al momento i tunicati non ci preoccupano particolarmente dal punto di vista della sopravvivenza, bisogna tenerli controllati.

Questo sarà un aspetto che studierò nei prossimi anni, grazie anche al PNRR, con il dipartimento di Biologia: saremo coinvolti, infatti, in un progetto nell’ambito della biodiversità e io mi occuperò nello specifico proprio della biodiversità dei tunicati.

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