CULTURA

Poor Things: la curiosità può salvare noi e questa Mostra del cinema

Il Festival del Cinema quest'anno è partito un po' fuori forma. Sarà lo sciopero degli attori e degli sceneggiatori americani, assenti al Lido, sarà che bisogna ancora riprendersi dall'ondata di caldo da poco conclusa, sarà che ultimamente l'onnipresenza di Favino contribuisce all'atmosfera di sopore generale, ma i primi due giorni erano stati un po' avari di emozioni. Eppure ormai lo dovremmo sapere: la Mostra ha sempre un premio riservato a chi sa aspettare, e in questo caso lo ha tirato fuori abbastanza presto, nella terza giornata di proiezioni. Se non diciamo che Poor things di Yorgos Lanthimos è un film perfetto, lo facciamo soltanto sulla sfiducia, riservandoci di perfezionare il giudizio dopo una seconda visione, perché potrebbero averci distratto la scarsa concorrenza e l'interpretazione di Emma Stone, quella sì perfetta, senza riserva.

Per chi in passato si fosse fatto spiazzare dall'apparente schizofrenia registica di Lanthimos, che passa da pellicole fortemente disturbanti come Dogtooth, The lobster e Il sacrificio del cervo sacro a intelligenti commedie dal retrogusto amaro come La favorita, in concorso a Venezia nel 2018, chiariamo subito che Poor things è più affine a quest'ultima (non a caso lo sceneggiatore è sempre Tony McNamara), anche se non manca qualche accenno potenzialmente disturbante nella fredda precisione con cui viene affrontata l'anatomia umana, tra incisioni lente in primo piano e trapianti d'organo che non lasciano nulla all'immaginazione. A chi solitamente si lascia impressionare, consigliamo comunque l'acquisto del biglietto: si possono tenere gli occhi chiusi quando compare un bisturi, ma non ci si può perdere questo film per dettagli come questi (purtroppo da ottobre l'uscita è stata posticipata al 25 gennaio, e speriamo che non soffra degli stessi divieti americani, che lo precludono ai minori di 17 anni, non tanto per i bisturi, quanto per le scene sessuali esplicite).

trailer del film

La storia è abbastanza semplice: Bella Baxter (Emma Stone) ha un corpo di donna e il cervello di un neonato, ma impara insolitamente in fretta. In poco tempo arriva all'adolescenza, con momenti di polemica con il suo creatore, che non a caso porta il nome di God(win) e che è interpretato da un Willem Dafoe in stato di grazia, e con la scoperta del corpo e del piacere fisico, per poi passare piuttosto velocemente a una maturità costellata di riflessioni che però partono sempre da azioni e da scelte forti: Bella è un personaggio affamato di vita, guidato da una curiosità inesauribile che la porta a viaggiare per il mondo, abbandonando la sicurezza di un promesso sposo che la venera per fuggire con Duncan Wedderburn, un avvocato lestofante interpretato da Mark Ruffalo, per poi ritrovarsi, senza rimpianti né drammi, a fare la prostituta in un bordello. Nel suo viaggio, Bella impara a conoscere il mondo in tutte le sue forme: ricorda un po' l'Emilio di Rousseau, con la differenza che lei non ha bisogno di un precettore, ma solo delle sue sensazioni e della curiosità che la spinge a osservare tutto con gli occhi di una bambina, a volte più perspicaci di quelli degli adulti intorno a lei. Questo atteggiamento lo spiega la stessa Stone “È un’affascinante attrazione nei confronti della purezza, di qualcosa che non è ancora stato rovinato. Un desiderio di possedere qualcosa che forse ci ricorda chi eravamo in passato e ci spinge a voler ritrovare quell’innocenza in noi stessi”. Alla fine Bella torna a casa, rischiando di ritrovarsi mutilata perché una donna libera dalle convenzioni sociali, che tra l'altro si sente libera di vivere il piacere come vuole, con verdure, uomini e donne, spaventa molto un certo tipo di uomo.

È interessante notare come i personaggi maschili cerchino sempre, in qualche modo, di controllare Bella. Alcuni nel corso della storia rimangono uguali a sé stessi fino all'ultimo, mentre altri affrontano una maturazione, trascinati dalla forza della protagonista, e finiscono per accettare le sue scelte e per sostenerla, anche se questo implica la messa in discussione della loro virilità e del loro potere. Quello di Bella è un viaggio fisico che la porta in molti luoghi, da Alessandria a Parigi, ma è anche un viaggio di formazione: vede la povertà, la miseria umana, la violenza, eppure tutto questo non spegne il suo entusiasmo. Potrebbe diventare cinica come Harry Astley, un privilegiato che osserva i poveri solo per sport e per avere una scusa per disprezzare il mondo aristocratico di cui però fa parte di buon grado, ma la sua curiosità sventa questo pericolo: anche quando si trova di fronte al male, alla nostra protagonista rimane un candore infantile che le porta sia un sincero sentimento di pietà per i più deboli e per gli infelici, sia il desiderio di poter cambiare qualcosa nel mondo, anche solo l'atteggiamento delle persone a cui vuole bene.

Come si può vedere, la trama del film è facile da raccontare, ma non gli rende giustizia. Chi ha letto il libro omonimo di Alasdair Gray potrà ritrovare il personaggio di Bella restituito fedelmente dalla sceneggiatura di McNamara, ma anche arricchito da una sapiente regia, dalle scenografie (di Shona Heath e James Price) che spaziano dall'onirico allo scabroso e da una fotografia (di Robbie Ryan, come La favorita) che rende perfettamente il percorso di scoperta della protagonista, partendo dal bianco e nero dell'infanzia, quando si muove ancora maldestramente perché non riesce a coordinare tronco, braccia e gambe, ai colori sgargianti della prima maturità, per poi passare a tinte più equilibrate quando la sua identità si è definitivamente delineata.

E poi c'è la performance della Stone, una delle poche giovani attrici di Hollywood che risulta convincente nei ruoli comici (la ricordiamo sorridendo ai tempi di Easy girl) ma che riesce a tenere la barra dritta anche nei momenti più drammatici del film. "Ogni giorno, sul set - ha dichiarato McNamara - si vedeva che era piena di gioia mentre creava Bella, ed è riuscita ad arricchire moltissimo il suo personaggio". Questa gioia è la sua forza. Lo si capiva perfettamente anche solo guardando il film, senza leggere le dichiarazioni di regista e sceneggiatore: la Stone dava l'impressione di divertirsi da matti nel dare vita a Bella, nel creare i suoi movimenti scoordinati e le sue espressioni stupite ma nel contempo molto decise. Il film sembrava scritto per lei, ma lo avremmo detto anche di Easy girl e di Crudelia, quindi forse bisogna girare la prospettiva, e concludere che sia proprio il suo carisma a dare quel qualcosa in più a un prodotto già vincente.

Lo sappiamo, è ancora molto presto. Ma per quanto ci riguarda Poor things ha già messo una grossa ipoteca su Leone d'oro e Coppa Volpi.

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