SCIENZA E RICERCA

Pubblicato il primo set di indicatori per monitorare l'impatto dei cambiamenti climatici

Il clima è già cambiato e le evidenze spesso sono sotto gli occhi di tutti. Per capire quali sono gli effetti, almeno su scala nazionale, però l’Ispra ha redatto il Rapporto sugli indicatori di impatto dei cambiamenti climatici. L’edizione del 2021 ha individuato un set di indicatori utili a fornire un quadro conoscitivo sui fenomeni potenzialmente connessi ai cambiamenti climatici sul nostro territorio. Un elenco che non vuole essere un sistema chiuso bensì un set dinamico e aggiornabile, in modo tale da rimanere al passo di eventuali nuove scoperte scientifiche in materia di cambiamenti climatici ed i loro relativi impatti sui diversi settori.

Il Rapporto, pubblicato nel maggio scorso, nelle sue 248 pagine evidenzia la necessità per il nostro Paese di “rafforzare con rapidità le attività di monitoraggio e sviluppo delle conoscenze sugli impatti dei cambiamenti climatici”. Proprio per questo l’obiettivo principale del gruppo di lavoro attivato da SNPA e coordinato da ISPRA e che ha coinvolto numerosi soggetti, è stato quello di definire un set di indicatori di impatto a livello nazionale e regionale e supportare così il processo decisionale in tema di adattamento ai cambiamenti climatici. 

È necessario rafforzare con rapidità le attività di monitoraggio e sviluppo delle conoscenze sugli impatti dei cambiamenti climatici

Obiettivo che è stato raggiunto e che sarà utile per cercare di realizzare forme di adattamento a delle condizioni climatiche che sono già cambiate e che senza interventi seri e strutturali, rischiano di peggiorare sempre di più a livello globale. Il 2020 infatti, sarà indubbiamente ricordato per la pandemia da Codvid-19, ma è un anno in cui le temperature hanno fatto registrare nuovi record. Nonostante i lockdown che hanno costretto una buona parte della popolazione a vivere in isolamento o quantomeno a ridurre drasticamente i movimenti, con conseguenti riduzioni delle emissioni, al Polo Nord si sono registrate importanti anomalie di +20°C rispetto alle medie climatiche di riferimento per il Circolo polare artico. Oltre a ciò il rapporto, nella sua introduzione, ricorda anche “i 38°C raggiunti nella piccola città siberiana di Verkhoyansk, generalmente conosciuta per i suoi inverni gelidi”. Sappiamo che il 2021 sta facendo registrare altrettante anomalie nelle temperature ed i segnali che arrivano non sono incoraggianti. Per capire a fondo però quali possono essere le cause già evidenti dei cambiamenti climatici è necessario focalizzare l’attenzione su degli indicatori precisi, così da poter monitorare anche nel tempo la situazione. Monitoraggio fondamentale per prepararsi agli “effetti inevitabili” del cambiamento climatico.

Gli indicatori

Gli indicatori quindi cercano di fornire un quadro conoscitivo sui fenomeni potenzialmente connessi ai cambiamenti climatici che possono essere di due tipi: diretti ed indiretti.

Nel primo caso “la forzante meteo-climatica agisce direttamente sulla matrice di impatto”, come ad esempio vediamo con l’aumento della temperatura, nel secondo caso invece “l’impatto è mediato da fattori non-climatici a loro volta conseguenza di fattori climatici”, come ad esempio “l’impatto indiretto dell’aumento della temperatura sulla temperatura superficiale del mare che determina lo spostamento degli areali con conseguenze successive sul settore della pesca”.

SNPA ha quindi elaborato 50 tra indicatori nazionali e casi pilota regionali per misurare l'impatto dei cambiamenti climatici sul territorio nazionale. Questi indicatori sono divisi in 13 settori vulnerabili che son: risorse idriche, suolo e territorio, ecosistemi terrestri, ecosistemi marini, ambiente alpino e appenninico, zone costiere, salute, foreste, agricoltura e produzione alimentare, pesca, energia, insediamenti urbani e patrimonio culturale.

All’interno di questi settori quindi c’è una divisione tra indicatori nazionali, che sono 30, ed indicatori regionali, i restanti 20. Alcuni di questi, come l’”Erosione idrica del suolo”, lo “Stato dell’habitat coralligeno”, il “Numero di eventi di inquinamento di breve durata” o la “Recessione superficiale” pur presentando una copertura temporale (1-5 anni) certamente non sufficiente ai fini di una valutazione di lungo termine, sono stati comunque considerati prioritari e inseriti nel sistema.

Questo perché, come spiega il rapporto, “vanno interpretati nella consapevolezza di questo limite, ma pur sempre considerati rappresentativi di fenomeni che potrebbero essere modificati e/o accelerati dal cambiamento climatico e che quindi richiederanno un monitoraggio nel tempo”. Ci sono poi indicatori basati esclusivamente su variabili climatiche ma che sono estremamente significativi per monitorare gli impatti dei cambiamenti climatici. E’ questo il caso dell’’”Indice meteorologico di pericolo di incendio”, “Gradi giorni di raffrescamento” o “Gradi giorno di riscaldamento”.

Per quanto riguarda i casi pilota regionali invece, bisogna intenderli come “applicazioni a titolo esemplificativo su specifiche realtà territoriali”, in modo tale che possano essere estesi nel futuro al livello nazionale ma anche replicati su altri territori regionali. Ci sono poi alcuni casi in cui gli indicatori sono sia nazionali che regionali, come ad esempio l’indicatore “Temperatura superficiale del mare” che è nazionale ma anche basato su casi pilota in Calabria, Friuli Venezia Giulia e Liguria. Altri sono la “Salinità superficiale del mare (casi pilota su Calabria, Friuli Venezia Giulia e Liguria), “Bilancio di massa dei ghiacciai” (indicatore nazionale e casi pilota su Valle d’Aosta e Lombardia), “Livello medio del mare” (indicatore nazionale e indicatore su Venezia) e “Incendi boschivi” (indicatore nazionale, casi pilota su Lombardia e Piemonte).

 

Per ogni indicatore poi, nel Rapporto viene indicato uno scenario futuro che può essere: in miglioramento, in peggioramento, stabile o non definibile. Nella maggioranza dei casi purtroppo, riscontriamo uno scenario futuro in peggioramento. C’è solo un settore che prospetta un futuro in miglioramento che è quello del fabbisogno energetico per il riscaldamento delle abitazioni. Con l’innalzamento delle temperature il fabbisogno nazionale dovrebbe diminuire, ma non è il caso di gioirne.

I segnali già evidenti

Dal rapporto emergono alcuni segnali che sono già significativi di cambiamenti in atto sulle risorse naturali del nostro territorio. Sono numerosi e cerchiamo di elencarli di seguito, per capire, ancora una volta, che il clima è già cambiato e la necessità di interventi decisi è impellente.

Il rapporto fa emergere come per i sei corpi glaciali italiani considerati ci sia una generale tendenza alla fusione con una perdita costante di massa coerente con quanto registrato sia nelle Alpi che su scala globale.

“In particolare - si legge nel Rapporto -, dall’analisi dei dati dal 1995 al 2019, emerge come il bilancio cumulato mostri perdite significative che ammontano da un minimo di oltre 19 metri di acqua equivalente per il ghiacciaio del Basòdino al massimo di quasi 41 metri per il ghiacciaio di Caresèr, per una perdita di massa media annua pari a oltre un metro di acqua equivalente mentre il bilancio cumulato dei ghiacciai analizzati nei casi pilota regionali (Valle d’Aosta e Lombardia) mostra perdite significative che ammontano a oltre 15 metri di acqua equivalente per il ghiacciaio del Timorion (2001- 2019) e a quasi 36 metri per il ghiacciaio di Alpe Sud (1998-2019)”.  

Un altro segnale dei cambiamenti già in atto riguarda il permafrost, che nei versanti poco acclivi e nei plateau di alta quota delle Alpi occidentali si sta degradando in media ad un tasso di circa 0.15°C ogni 10 anni nei due siti analizzati (Piemonte e Valle d’Aosta). 

 

Ci sono poi evidenti cambiamenti anche per quanto riguarda le variazioni annue di temperatura superficiale del mare. In tutti i mari italiani c’è stato un incremento di temperatura, ma in particolare si sono analizzate alterazioni marcate nel Mar Ligure, Adriatico e Ionio Settentrionale.

Oltre all’innalzamento delle temperature, poi è necessario monitorare anche e variazioni del livello del mare. Queste sono impercettibili ad occhio umano ma “costituiscono fonte di preoccupazione per le conseguenze che l’innalzamento potrà avere sulle coste. Gli incrementi, dell’ordine di pochi millimetri l’anno (valori medi del trend pari a circa 2.2 mm/anno con picchi nel Mare Adriatico di circa 3 mm/anno), sono continui e appaiono ad oggi irreversibili”. 

Quando si parla di innalzamento del livello del mare c’è una città in particolare che è necessario monitorare e proteggere. A Venezia infatti è presente “un fenomeno combinato di eustatismo e subsidenza. Se nel lungo periodo (1872-2019) il tasso di innalzamento del livello medio del mare si attesta mediamente sui 2.53 mm/anno, esso risulta più che raddoppiato nell’ultimo periodo (1993-2019) con valori che raggiungono i 5.34 mm/anno”.

Abbiamo già visto come la siccità sia un grosso problema a livello globale, ma analizzando il locale vediamo che negli ultimi 60 anni (1961-2020) il rischio di siccità in agricoltura in Emilia-Romagna è stato in aumento per le colture prese in esame (mais, erba medica, vite).

Lo scenario che emerge dal primo Rapporto sugli indicatori di impatto dei cambiamenti climatici non è dei più rosei. Le conoscenze in merito di cambiamenti climatici e delle loro conseguenze oramai sono ampie, e non ci si poteva aspettare uno spaccato differente. Il clima è già cambiato e le azioni da mettere in campo devono essere organizzate con una duplice funzione: arrestare questo cambiamento e prepararsi ad un mondo che è già diverso rispetto a quello che abbiamo conosciuto fino a poche decine di anni fa.

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012