SCIENZA E RICERCA

Per raggiungere l’immunità di gruppo l’efficacia di un vaccino non è tutto

Giovedì 11 marzo l’Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha dato il via libera all’autorizzazione del vaccino Johnson & Johnson, che assieme a quelli Pfizer/BioNTech, Moderna/NIH (basati su mRNA) e Oxford/AstraZeneca (basato su vettore virale, un adenovirus) diventa il quarto vaccino anti COVID-19 a disposizione dell’Unione Europea. Gli Stati Uniti lo avevano approvato già a inizio marzo.

Come il vaccino AstraZeneca, quello J&J è basato su un adenovirus, ovvero un virus depotenziato che causa raffreddore negli scimpanzé e che funge da veicolo su cui viene montata la sequenza genetica delle proteina Spike di Sars-CoV-2. Il nostro organismo si allena a riconoscere la Spike, ovvero il grimaldello che Sars-CoV-2 usa per entrare nelle nostre cellule, e sviluppa una memoria immunitaria che sarà pronta a combattere la vera minaccia virale quando sarà il momento.

Il vaccino J&J ha il grande vantaggio di aver bisogno di una sola somministrazione e non due come tutti gli altri vaccini autorizzati finora in Europa. La gestione della catena del freddo necessaria a conservarlo è anche piuttosto agevole (sono sufficienti refrigeratori ordinari), il che fa di questo vaccino un’arma davvero importante per la campagna vaccinale europea, che sta procedendo a rilento per la scarsità di dosi fatte arrivare dalle case farmaceutiche.

Nel frattempo altri 3 vaccini sono sotto lo scrutinio dell’Ema: Novavax (Stati Uniti, basato su proteine ricombinanti), CureVac (Paesi Bassi/Germania, a mRNA) e Sputnik V (Russia, ad adenovirus).

Quanto è efficace il vaccino J&J rispetto agli altri?

Già a fine gennaio Johnson & Johnson aveva diffuso i risultati dei suoi trial clinici da cui risultava che il preparato aveva un’efficacia complessiva del 66%, non dissimile a prima vista da quella di AstraZeneca, che l’Ema ha valutato essere intorno al 60%, anche se studi successivi hanno suggerito che modificando il protocollo di somministrazione (due dosi a distanza di 12 settimane l’unna dall’altra) la protezione poteva arrivare anche all’80% circa.

Le percentuali di J&J, come del resto quelle degli altri vaccini, variano a seconda dei Paesi in cui è stato testato: negli Stati Uniti l’efficacia si assesta al 72%, in Brasile al 66% e in SudAfrica al 57% . Quest’ultimo è un risultato assai più incoraggiante di quello registrato da AstraZeneca: a inizio febbraio infatti il governo sudafricano ha interrotto la distribuzione del vaccino di AstraZeneca perché i risultati preliminari di un trial clinico mostravano scarsa efficacia contro la variante sudafricana, nota per avere una mutazione che rende il virus meno facilmente identificabile dagli anticorpi. Il fatto che J&J mantenga un’efficacia vicina al 60% contro le varianti più pericolose sembra quindi una buona notizia.


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Per raggiungere l’immunità di gruppo il più in fretta possibile tuttavia l’efficacia non è tutto. Bisogna infatti fare i conti con il numero di dosi disponibili, i costi e la logistica di ciascun preparato. I vaccini a mRNA ad esempio registrano un’efficacia maggiore, ma sono più costosi e necessitano di una catena del freddo di più complicata gestione; AstraZeneca e J&J invece pur avendo un’efficacia minore sono più semplici da trasportare e conservare, hanno un costo più contenuto e J&J non ha nemmeno bisogno del richiamo, garantendo la protezione con una singola somministrazione.

Ci sono poi ancora molte incertezze a riguardo di diversi fattori: non sappiamo quanto la vaccinazione sia in grado di bloccare la trasmissione: ci sono dati incoraggianti per Pfizer in questo senso ad esempio, ma ce ne sono meno per gli altri vaccini. Non abbiamo poi dati a riguardo della durata della protezione immunitaria indotta e permane incertezza riguardo all’efficacia contro le nuove varianti.

Un’altra importante distinzione è quella tra forme gravi della malattia da una parte e moderate o lievi dall’altra. Il vaccino di AstraZeneca è risultato di limitata efficacia nel prevenire le forme moderate o lievi della malattia scatenata dalla variante sudafricana, rimanendo però in grado di bloccare le forme gravi della malattia. L’obiettivo di evitare la morte e ridurre la pressione sulle strutture sanitarie dunque viene raggiunto ugualmente.

Si tratta quindi di fare, in ogni Paese, un calcolo del rapporto costi/benefici. “Se non è efficace contro la variante sudafricana, dobbiamo cambiare strategia” commenta su Nature in riferimento al vaccino AstraZeneca in SudAfrica Joia Mukherjee, medico capo di Partners in Health, una no-profit con sede a Boston che opera in 11 Paesi nel mondo. “Andare avanti e usarlo quando sappiamo che la variante si sta diffondendo in Africa, in particolare il Sud Africa, sarebbe un errore di portata globale”.

Tuttavia secondo Loice Achieng, infettivologa dell’università di Nairobi, alcune regioni dell’Africa potrebbero beneficiarne ugualmente: la variante non è ancora divenuta dominante in Kenya e la protezione contro le forme gravi può aiutare notevolmente le strutture sanitarie.

È possibile dunque, come del resto fa anche il piano vaccinale italiano, giocare ad incastro con le fasce d’età e somministrare ai più vulnerabili i vaccini che danno maggiore efficacia e meno effetti collaterali, mentre ai più giovani e in salute somministrare vaccini che hanno sulla carta un’efficacia minore ma che evitano ugualmente di sviluppare forme gravi della malattia che porterebbero altrimenti a intasare gli ospedali.

Vaccini pediatrici, la prossima grande sfida

La prossima grande sfida invece sarà quella di sviluppare vaccini pediatrici che possano essere somministrati a bambini e adolescenti, specialmente di fronte alla variante inglese che essendo più contagiosa delle versioni precedenti del virus fa registrare un aumento dei contagi anche tra i più piccoli, sfruttando la loro elevata socialità e le frequenti occasioni di contatto. Le morti di Covid-19 tra i più piccoli sono comunque molto poche: negli Stati Uniti di 500.000 decessi solo 250 sono state tra i minorenni.


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Alcuni vaccini pediatrici hanno già iniziato i trial clinici. Pfizer ha iniziato a reclutare bambini di età compresa tra i 12 e i 15 anni con l'obiettivo di arrivare a 2200 volontari (i trial del vaccino a mRNA che è stato approvato comprendevano individui dai 16 anni in su). Moderna punta a lavorare con 3000 adolescenti compresi tra i 12 e i 17 anni. Mediamente queste sperimentazioni contano numeri ben più ridotti rispetto ai circa 30.000 volontari che solitamente vengono coinvolti nella fase 3 di sviluppo di un vaccino. Portare a termine un trial clinico con bambini e adolescenti non è facile né da un punto di vista organizzativo (tendono a non seguire pedissequamente le disposizioni che vengono loro date) né da un punto di vista etico e legale (il consenso deve essere sempre concordato con i genitori). AstraZeneca ad esempio ha avviato a inizio febbraio un trial clinico con 300 volontari compresi tra i 6 e i 17 anni. Johnson & Johnson si è impegnata a condurre trial sui minori nel 2021, mentre la cinese Sinovac sta testando il vaccino su individui dai 3 ai 17 anni.

Il punto di partenza delle sperimentazioni sarà comunque il vaccino preparato per gli adulti. Da lì si verificherà la sua sicurezza e la sua efficacia sugli adolescenti prima e sui più piccoli poi, con gli opportuni aggiustamenti in corso d’opera, ad esempio somministrando dosaggi diversi.

Siccome il sistema immunitario dei più giovani è tendenzialmente più forte, invece di attendere di vedere chi svilupperà la malattia nel gruppo sperimentale (coloro cui viene somministrato il vaccino) e nel gruppo di controllo (coloro che ricevono il placebo), i ricercatori andranno a vedere se nei campioni di sangue saranno presenti livelli anticorpali paragonabili a quelli riscontrati negli adulti vaccinati.

Secondo il Los Angeles Times entro autunno potrebbero essere disponibili negli Stati Uniti i dati sull’efficacia del vaccino per gli adolescenti. “Prevediamo che gli studenti delle scuole superiori molto probabilmente potranno essere vaccinati in autunno” ha detto Anthony Fauci. Ai bambini più piccoli della scuola primaria dovrebbe toccare poco più tardi, entro la primavera del 2022.

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