SCIENZA E RICERCA
In Salute in movimento. Le nuove linee guida europee sull'esercizio fisico nel trattamento dell'obesità
Da qualche mese in Europa l’obesità è riconosciuta come una malattia cronica recidivante. Un passo atteso da tempo e che si è concretizzato lo scorso 4 marzo con l’approvazione di una direttiva specifica da parte della Commissione europea.
Questa nuova definizione apre le porte a una considerazione più ampia di tutto quello che l’obesità comporta, permette di mettere in campo più strumenti e risorse per combatterla e fa emergere tutti i limiti di quella visione che in passato ha spesso portato a ritenere che l'eccesso ponderale fosse semplicemente una conseguenza estetica di un'alimentazione scorretta e di una vita sedentaria, se non addirittura una scelta frutto di una debolezza individuale. Sebbene i fattori legati alla nutrizione e alle abitudini quotidiane abbiano indubbiamente un ruolo centrale è opportuno ricordare che sullo sviluppo dell'obesità possono incidere anche fattori endocrinologici, genetici e psicologici.
Basta inoltre dare uno sguardo ai numeri per capire quanto questa malattia sia diffusa a livello globale e quanto sia importante agire su tutti i fronti possibili per limitarla e per arginare le molteplici conseguenze sulla salute. Uno studio pubblicato qualche anno fa su The Lancet quantificava in circa 640 milioni il numero di soggetti obesi nel mondo e metteva in luce come l’obiettivo dell’Oms di riportare, entro il 2025, la diffusione dell'eccesso ponderale grave (pari a un indice di massa corporea che supera i 30 kg/m2) ai livelli del 2010 fosse difficilmente raggiungibile. E il problema non riguarda esclusivamente le aree del mondo più ricche: uno studio pubblicato qualche anno fa sul New England Journal of Medicine, ne evidenziava la diffusione anche in Paesi più svantaggiati dal punto di vista economico, per quanto con una portata inferiore,
Secondo gli ultimi dati, diffusi in occasione del World Obesity Day, ogni anno mezzo milione di persone in Europa muoiono per cause che sono direttamente collegate all’eccesso di peso e si calcola che, comprese le spese sanitarie e il calo della produttività, i costi legati a questa malattia ammontano a 70 miliardi di euro annui nella sola Ue, dove la quota di persone obese supera il 20%. Includendo nel calcolo anche i soggetti adulti in sovrappeso il numero arriva a sfiorare il 60%: considerate queste cifre non sorprese che l'obesità sia ormai considerata l'epidemia non infettiva di più vaste proporzioni del terzo millennio.
Fatte queste premesse si capisce bene quanto sia importante limitare le conseguenze che un grave eccesso ponderale rischia di provocare su tutto l'organismo. Un peso eccessivo "comporta di per sé una riduzione dell’aspettativa di vita e un aumento della disabilità e apre la porta all’insorgenza di ulteriori malattie croniche che sono considerate in qualche maniera complicanze dell’obesità, come il diabete, l’ipertensione, le malattie cardiovascolari, molti tipi di neoplasie e altre patologie", come ci spiega il professor Luca Busetto, docente del dipartimento di Medicina dell'università di Padova.
Come co-chairman dell’Obesity Management Task Force dell’European Association for the Study of Obesity, Busetto ha coordinato un progetto europeo, che ha coinvolto anche il dipartimento di Medicina dello sport condotto dal professor Andrea Ermolao e che si è focalizzato sul ruolo dell’attività fisica nella terapia dell’obesità nel paziente adulto e sulla definizione di linee guida aggiornate. Il lavoro si è protratto per due anni e, come sottolinea Ermolao, "ha portato ad un’analisi completa e a una revisione sistematica della letteratura e di alcuni aspetti legati agli effetti dell’esercizio fisico su diversi risvolti clinici dell’obesità" con l'obiettivo di essere di supporto ai medici per quanto concerne "le indicazioni da fornire ai pazienti e gli strumenti più efficaci per limitare l’obesità e ridurre l’impatto delle comorbidità collegate all’eccesso di peso".
"I risultati - aggiunge Busetto - sono stati recentemente pubblicati su un supplemento di Obesity Reviews e ci auguriamo che possano essere veramente utile a tutti i clinici che lavorano nell’ambito della terapia dell’obesità in Italia e in tutti i Paesi europei".
L'intervista completa ai professori Luca Busetto e Andrea Ermolao sui benefici dell'esercizio fisico nel trattamento dei pazienti con obesità e nella riduzione delle comorbidità collegate all'eccesso ponderale. Riprese e montaggio di Barbara Paknazar
"Il grosso del lavoro compiuto dal team di Padova - entra nel dettaglio il professor Ermolao - è stato condotto dalla collega Francesca Battista che sta completando il suo dottorato di ricerca e si è focalizzato, in particolare, sulla salute cardiometabolica e su come l’esercizio fisico interviene sulla quantità di tessuto adiposo a livello epatico, sulla sensibilità insulinica e sui valori della pressione. Queste sono le informazioni che abbiamo estratto dalla letteratura attuale. Il lavoro però è stato più ampio perché ha valutato anche l’effetto dell’esercizio fisico sulla perdita di peso, inclusi i soggetti che si sottopongono a chirurgia bariatrica, sulla composizione corporea, sulla capacità di mantenere il peso perso e sull’efficienza cardiorespiratoria complessiva". Proprio quest'ultimo aspetto è particolarmente rilevante perché, ricorda il direttore dell'unità di medicina dello Sport dell'azienda ospedaliera dell'università di Padova, "è un forte predittore indipendente di mortalità cardiovascolare per qualsiasi causa e quindi poterla aumentare è molto importante".
"Sono inoltre stati valutati - aggiunge Ermolao - anche altri parametri legati, ad esempio, all’effetto dell’esercizio sulla qualità della vita, sulla sfera psicologica e sul controllo dell’appetito. E’ un lavoro molto completo che speriamo possa essere utile al clinico per la pratica quotidiana".
L'obesità come malattia cronica
In Italia circa una persona su dieci è affetta da obesità e più di un terzo della popolazione è in sovrappeso. Complessivamente, quindi, quasi una persona su due dovrebbe ridurre il proprio peso. Una recente elaborazione realizzata da Istat evidenzia che il nostro paese presenta livelli di obesità e sovrappeso "meno allarmanti rispetto alla media europea per la popolazione adulta, ma nell'età evolutiva la diffusione dell'eccesso di peso raggiunge proporzioni ancora troppo elevate, nonostante negli ultimi anni si sia registrata una lieve riduzione".
"Per molti anni - spiega il professor Luca Busetto - l'obesità è stata considerata semplicemente una condizione legata a comportamenti errati da parte del soggetto che ne è affetto e si riteneva che avesse scarse conseguenze, più un problema estetico che un problema di tipo medico. Oggi è invece riconosciuta come malattia cronica e in questa direzione si è mossa, qualche settimana fa, anche l’Unione europea che l’ha definita una malattia cronica recidivante".
"Il trattamento - continua il docente - è difficile perché l’obesità è sostenuta da alterazioni molto importanti e profondi dei meccanismi di controllo del comportamento alimentare e del peso corporeo e qualsiasi tentativo facciamo per far perdere peso al paziente è ostacolato da meccanismi che tendono a conservarlo. Sono dinamiche che la nostra specie ha probabilmente sviluppato in centinaia di migliaia di anni di esposizione, non all’abbondanza di cibo, ma alla scarsità delle possibilità di alimentarsi".
To have a real impact on obesity, we need to work together to address its many root causes throughout society.
— World Obesity Day (@WorldObesityDay) April 16, 2021
Obesity cannot be simplified to any one cause. Learn more about the ROOTS of obesity on our #WorldObesityDay ⭕ website!
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Il ruolo dell'esercizio fisico nel trattamento dell'obesità
L'approccio corretto al trattamento dell'obesità non deve però mirare a far dimagrire il paziente in tempi eccessivamente brevi. "L'approccio - conferma il professor Busetto - deve essere di lungo periodo e deve essere finalizzato al raggiungimento, e poi al mantenimento, di un peso che possa consentire al paziente di avere un buono stato di salute e una riduzione delle complicanze. Da questo punto di vista abbiamo molti strumenti a disposizione: la modificazione del comportamento alimentare, il cambiamento dello stile di vita, terapie farmacologiche di nuova introduzione e, nei casi più gravi, anche la terapia chirurgica".
"All’interno di questo pannello di possibilità - prosegue Busetto - c’è sempre uno spazio per l’attività fisica. Non tanto perché faccia dimagrire perché questa è una visione molto diffusa tra i pazienti e apre la strada a interpretazioni scorrette che finiscono per creare una specie di mito. Come è stato dimostrato dalle linee guida che abbiamo pubblicato la perdita di peso dei pazienti che praticano attività motoria è leggermente superiore rispetto a quella di chi non la fa ma stiamo parlando di differenze ponderali di due o tre chilogrammi, quindi non molto rilevanti dal punto di vista clinico. La vera differenza però è che l’attività fisica migliora molto la qualità di vita del paziente, la sua performance fisica, la sua composizione corporea, aumentando la massa magra, e anche lo stato dell’umore. Inoltre previene l’insorgenza di tutte quelle complicanze di ordine cardiometabolico di cui abbiamo parlato prima".
C'è poi un'altra credenza che va sfatata: spesso si tende a pensare che l’attività fisica aumenti l’appetito ma uno dei paper che formano questa review ha dimostrato che non è così. "E’ vero infatti che nel momento immediatamente successivo all’attività fisica aumenta il senso di fame ma, in linea generale, gli individui che praticano esercizio in modo costante non hanno un maggiore appetito. Al contrario hanno addirittura una modulazione, una riduzione degli episodi di alimentazione incontrollata o emozionale che sono purtroppo molto frequenti nel paziente con obesità", chiarisce Busetto.
"L'analisi della letteratura - aggiunge al riguardo il professor Ermolao - ha confermato quello che in parte sapevamo già, ma ha anche messo in evidenza ulteriori aspetti che vanno valorizzati. Era già noto che l’esercizio fisico ha degli effetti benefici sotto tanti punti di vista e che non va enfatizzato il suo ruolo nel calo ponderale perché sia nei soggetti con obesità, sia in quelli che si sono sottoposti a chirurgia bariatrica, è limitato a qualche chilogrammo in più rispetto a chi non pratica attività fisica. L’aspetto importante è però che l’esercizio va ad agire sulla composizione corporea e favorisce il mantenimento, o anche l’aumento, della massa magra. Questo è particolarmente rilevante perché le diete ipocaloriche possono comportare una perdita di massa muscolare, fattore che è connesso in modo significativo allo sviluppo di patologie e di disabilità, soprattutto nei soggetti in età più avanzata".
"Inoltre - prosegue il direttore dell'unità di medicina dello Sport dell'azienda ospedaliera dell'università di Padova - dal nostro lavoro è emerso che l’esercizio fisico ha un ruolo centrale nella riduzione del grasso a livello interepatico, che è correlato a tanti meccanismi multipli spesso associati alla presenza di sindrome metabolica e a una serie di comorbidità che hanno un impatto notevole sulla salute del soggetto. L’esercizio fisico migliora anche il controllo della pressione e sono diverse le tipologie di attività che possono essere efficaci".
Quali tipologia di attività fisica sono efficaci per il trattamento dell'obesità?
"Potenzialmente sappiamo - spiega il professor Ermolao - che l’esercizio di tipo aerobico a intensità moderata, e in assenza di controindicazioni anche ad intensità elevata, è efficace per la gran parte dei parametri che abbiamo analizzato e va sicuramente sempre prescritto. In alcuni casi può essere indicato anche l’esercizio intervallato ad elevata intensità, il cosiddetto high intensity interval training, che ha dimostrato di produrre effetti positivi, in particolare sul controllo del grasso interepatico. Un altro esercizio che negli ultimi anni è stato molto rivalutato e ha dato prova di avere una sua efficacia, senza avere controindicazioni particolari, è quello di forza, il resistance training. In passato era considerato un esercizio potenzialmente rischioso, soprattutto per un soggetto obeso e iperteso. In realtà dall’analisi della letteratura non sono emersi effetti collaterali importanti, mentre è stata dimostrata una certa efficacia in tanti parametri. L’efficienza cardiorespiratoria può poi essere migliorata con qualsiasi tipo di attività e questo è un altro messaggio utile perché anche un esercizio di forza, probabilmente attraverso diversi meccanismi compreso l’incremento di massa muscolare a cui può portare, può contribuire a questo risultato".
"Dal nostro lavoro sono inoltre emersi aspetti particolarmente innovativi che riguardano la sfera dell’appetito, con informazioni che sfatano alcune credenze un po’ sedimentate nella comune percezione ma prive di una base scientifica. E’ assolutamente sbagliato evitare di fare attività fisica per paura di mangiare di più. Al contrario l’attività fisica rinforza il senso di sazietà e questo è particolarmente importante per un soggetto con obesità in cui il pattern alimentare può essere critico".
La traduzione delle linee guida aggiornate nella pratica clinica quotidiana
Il progetto europeo a cui hanno collaborato i dipartimenti di Medicina e di Medicina dello sport dell'università di Padova ha quindi portato ad un aggiornamento delle linee guida per il trattamento dell'obesità e adesso si sta passando alla fase di disseminazione e implementazione di questi contenuti. "Stiamo preparando - afferma il professor Busetto - dei materiali informativi infografici più semplici rivolti, sia al medico di medicina generale sia al paziente. Speriamo che una volta tradotti nelle varie lingue europee possano diventare uno strumento pratico da utilizzare nei nostri ambulatori perché crediamo che le conoscenze a cui siamo arrivati debbano avere delle ricadute concrete nel percorso terapeutico dei pazienti con obesità".
"E’ fondamentale - aggiunge il professor Ermolao - creare dei percorsi assistenziali che includano anche la prescrizione di esercizio all’interno del trattamento complessivo che il medico elabora dopo una valutazione clinica. In questo senso riteniamo che l’inserimento dell’esercizio sia un atto dovuto anche sotto il profilo etico perché serve al paziente. E’ altresì importante che la prescrizione dell’attività tenga conto delle caratteristiche del soggetto perché ci possono essere delle condizioni che controindicano alcune tipologie di esercizi o richiedono una loro limitazione. La pratica fisica andrebbe quindi prescritta in modo individualizzato e specifico: sappiamo, ad esempio, che soggetti con obesità purtroppo hanno un’elevata incidenza di artrosi a livello delle ginocchia e di conseguenza un carico elevato, soprattutto se improvviso, può slatentizzare una condizione clinica o creare un’infiammazione che poi limita la possibilità di svolgere esercizio e rischia di diventare una barriera, un’esperienza negativa che porta la persona a ridurre o addirittura non praticare più attività fisica".
L’individualizzazione deve concretizzarsi sul piano clinico ma anche deve tradursi nella condivisione di obiettivi con il paziente e nell’identificazione di quegli ostacoli che possono limitare la pratica di attività fisica, in modo tale da arrivare a rimuoverli. "Sappiamo - aggiunge il docente - che i soggetti con obesità riferiscono molte barriere all’esercizio. Si tratta di blocchi legati alla loro scarsa condizione fisica e, soprattutto quando l’obesità è rilevante, bisogna anche tener conto della fatica che implica lo svolgimento di esercizio. La gradualità nella prescrizione è fondamentale come è importante identificare altre possibili barriere legate al tempo a disposizione o a una scarsa fiducia in se stessi che spesso i pazienti con obesità tendono ad avere".
"L’attività fisica - conclude Ermolao - è una vera medicina per i pazienti e per questo motivo nel nostro dipartimento stiamo cercando di diffondere un percorso assistenziale che si avvale anche di una figura professionale che è il laureato magistrale in attività motoria preventiva adattata e di strutture che sono state identificate dalla regione Veneto. Si tratta delle palestre della salute, realtà in cui lavorano persone competenti in grado di somministrare l’esercizio prescritto dal medico in modo adeguato, conoscendo anche le controindicazioni, le limitazioni e le attenzioni da tenere".