SCIENZA E RICERCA
La bolla mediatica delle frodi scientifiche

Si è fatto un gran parlare, nei giorni scorsi, di emergenza frodi nella comunità scientifica italiana e addirittura di una rivolta dei ricercatori contro la falsa scienza. Sono stati denunciati anche alcuni casi specifici in cui scienziati del nostro paese hanno deliberatamente “aggiustato” i risultati delle loro ricerche per renderli più sexy, come direbbero gli inglesi: ovvero, più degni di attenzione da parte dei colleghi.
Ma è davvero così? Esiste una specifica “emergenza italiana” in quella che sempre in ambito anglosassone viene chiamata misconduct, un comportamento non corretto se non addirittura truffaldino tra i membri della comunità scientifica del nostro paese?
La risposta è no. Non ci sono dati che dimostrano una particolare tendenza degli scienziati italiani a “comportarsi male”. Il conferimento dell’ultimo ISSCR Public Service Award, nel 2014, a tre scienziati italiani – Paolo Bianco, Elena Cattaneo eMichele De Luca – per il loro impegno nello sgominare frodi e misconduct nell’ambito della ricerca sulle cellule staminali sembra indicare che i nostri ricercatori hanno una particolare sensibilità o, almeno, una particolare efficienza nell’individuare e denunciare i casi di “falsa scienza”.
L’emergenza frodi nella ricerca italiana è, dunque, una mera bolla mediatica. Che trae origine da due o tre fatti reali che indicano l’esatto opposto: il bisogno della comunità scientifica nazionale di porsi alla frontiera del contrasto alla misconduct. I tre fatti recenti sono: un convegno dell’Accademia dei Lincei lo scorso 24 marzo dedicato a questo tema; l’annuncio sia da parte del Cnr sia da parte della ricercatrice e senatore a vita Elena Cattaneo che si sta lavorando alla definizione di linee guida per minimizzare i casi di misconduct nelle università e nei centri di ricerca del nostro paese. L’annuncio rivela anche un gap reale: come documentava la rivista medica The Lancet nel marzo 2103, con un’inchiesta dal titolo Guidance on research integrity: no union in Europe, l’Italia è uno dei pochi paesi del continente a non averle ancora queste linee guida. Il che, ripetiamo, non significa affatto che l’Italia abbia, in media, più ricercatori fraudolenti.
Ciò non significa affatto che il problema – a scala mondiale – non esista. Il tema è stato portato all’attenzione del grande pubblico quando The Economist il 19 ottobre 2013 gli ha dedicato una copertina con il titolo: How science goes wrong. L’inchiesta del settimanale economico inglese aveva un tono piuttosto allarmistico. E tuttavia qualche indizio di un incremento dei casi di misconduct nella comunità scientifica mondiale esiste. Negli stessi mesi la rivista americana Science sollevava la questione della Research Integrity in China, ovvero sui casi crescenti di frodi, plagi e misconduct in Cina. E, ancora nell’ottobre 2011, la rivista inglese Nature documentava come il numero di articoli ritirati dai giornali scientifici perché scorretti fosse aumentato di dieci volte nella prima decade del nuovo secolo, mentre il numero di articoli pubblicati fosse aumentato solo del 44%.
Non sappiamo se l’aumento del numero di articoli scientifici ritirati sia dovuto a una maggiore propensione degli scienziati del nostro tempo a comportarsi in maniera poco corretta o, al contrario, sia dovuto a un netto aumento dell’efficienza nei sistemi di controllo. Probabilmente sono reali entrambe la cause. Di certo c’è che i motivi per cui gli articoli sono stati ritirati sono: nell’11% a causa di dati falsificati; nel 16% di plagio; nel 17% di auto-plagio; nel restante 56% dai casi si tratta di errori in buona fede o di altri motivi non fraudolenti.
Nessuna di queste e di altre indagini ha messo in evidenza uno specifico “caso italiano”. Ma perché, a livello internazionale, c’è una crescente e giusta attenzione al problema?
Diciamo subito che casi di “aggiustamento” dei dati, non necessariamente a fini fraudolenti, nella storia della scienza ce ne sono sempre stati. Famoso è il caso del frate Gregor Johann Mendel, che con i suoi esperimenti sui piselli gettò le basi, nel XX secolo, della teoria ereditaria di trasmissione dei caratteri genetici. Ci sono anche stati casi di vera e propria falsificazione dei dati. Non sappiamo se in passato i casi di misconduct siano stati percentualmente minori o uguali o (chi può dirlo?) maggiori di oggi.
Di certo sappiamo tre cose: A) la prima è che i casi di trasgressione delle regole nella comunità scientifica sono più bassi che nel resto della società; B) la comunità scientifica ha delle regole che consentono con maggiore facilità di scoprire gli errori (anche gli errori intenzionali).; C) gli errori hanno una valenza epistemologica non necessariamente negativa (dagli errori si impara). Ma detto questo è anche vero che gli errori costano. Secondo una stima pubblicata dalla rivista eLife nell’agosto scorso, dal titolo Research: Financial costs and personal consequences of research misconduct resulting in retracted publications, ogni articolo ritirato costa al contribuente 400.000 dollari. Anche per questo è opportuno studiare il fenomeno della misconduct e cercare di evitare gli errori intenzionali.
Sappiamo anche che nella comunità scientifica internazionale sono in atto profondi cambiamenti. Che possiamo schematicamente provare a indicare.
1) La scienza ha oggi a disposizione una quantità di risorse senza precedenti. Nel 2014 il mondo ha investito in ricerca e sviluppo (R&S) circa 1.600 miliardi di dollari: : il 2% del Prodotto interno lordo planetario.
2) Queste risorse danno lavoro a un numero di scienziati senza precedenti: all’incirca 7,5 milioni di ricercatori. Alla fine dell’Ottocento, si calcola, il mondo intero vantava non più di 80.000 scienziati. I ricercatori di oggi sono superiori alla somma di tutti gli scienziati vissuti nelle epoche precedenti. Oggi è più valido che mai il public or perish: o pubblichi o sei fuori dal mainstream scientifico e dalla possibilità di carriera.
3) I due terzi degli investimenti globali in R&S nel mondo (oltre 1.000 miliardi di dollari) sono a opera di privati. La ricerca privata richiede una nuova griglia di valori alla comunità scientifica che finanzia. Una griglia che pone spesso in conflitto l’interesse privato (il segreto, il profitto) con quello pubblico (la trasparenza, il beneficio per tutti).
4) Un’ulteriore trasformazione riguarda l’internazionalizzazione della ricerca. Fino a cinquanta anni fa, tre scienziati su quattro vivevano o in Europa o in Nord America: un mondo culturalmente omogeneo. Oggi più della metà degli scienziati del pianeta vive in Asia. Altri in Sud America e in numero crescente in Africa. L’universo culturale è cambiato e si è differenziato. Difficile che le regole e i valori che vigevano in Europa e in quell’estensione dell’Europa che è il Nord America possano funzionare senza incrinature in una comunità finalmente globale.
In definitiva, la scienza è in piena crisi di crescita. Come potrebbe non avere problemi? A tutto ciò si aggiunga il fatto che la ricerca scientifica costituisce il motore dell’economia di gran parte del pianeta (Italia, ahinoi esclusa): dei paesi di antica industrializzazione e dei paesi a economia emergente. Per cui sui ricercatori, pubblici e privati, si esercitano pressioni enormi, del tutto sconosciute in passato. Ecco perché, senza allarmismi, occorre studiare il problema e mettere a punto sulla base di dati ben documentati le misure più opportune per minimizzare frodi e misconduct. Ciò vale anche per l’Italia. Ma, fino a prova contraria, vale per l’Italia non più che per il resto d’Europa e del mondo.
Pietro Greco