SOCIETÀ

La città, un organismo vivente

Dal momento che non possiamo predire il futuro, non ci resta che inventarlo. È convinzione radicata, per Jacques Attali: uno che non si limita a tracciare scenari, ci mette mano. E lo fa ruotando attorno a un interrogativo strategico: che cosa sarò tra vent’anni? Applichiamolo alla realtà in cui viviamo, e ascoltiamolo: “Per una città, avere un progetto che guardi ai prossimi vent’anni significa chiedersi costantemente: che cosa sarò tra vent’anni, qual è il mio progetto?”. È lo stimolo che vogliamo riprendere in questo spazio di rete, facendone una palestra di confronto: che cosa sarà Padova tra vent’anni?

Domanda difficile, però centrale. Oggi una città, qualsiasi città, cambia in continuazione, quasi mai in maniera lineare: procede per strappi e accelerazioni; e ciò rende problematico per tutti, amministratori e amministrati, comporre questi processi in una sintesi che eviti lo spaesamento da globalizzazione. La novità rivoluzionaria dei nostri tempi non è il cambiamento, ma la rapidità con cui avviene. I problemi cambiano con le persone; e tanto più in fretta esse mutano, altrettanto rapidamente si modificano i problemi. In tal senso la città è un vero e proprio organismo vivente (“l’unico essere vivente che può ringiovanire”, fa notare Attali), che va oltre la semplice sommatoria anagrafica dei suoi cittadini, per diventare il luogo degli stati d’animo individuali e collettivi. In questo senso Padova è certamente uno dei paradigmi più classici dello sviluppo e del benessere che esso comporta; ma è diventata anche il deposito di un malessere sociale sottile quanto diffuso, che alimenta disagio e paure, evocando fantasmi di nemici interni che mettono in pericolo il nostro ordine e le nostre sicurezze. Abbiamo paura dell’esplosione delle periferie, dei giovani che colonizzano le piazze, della microcriminalità diffusa; abbiamo comunque paura dell’altro. E in questo malessere collettivo si intersecano due sentimenti contrastanti: la città, il quartiere, vengono percepiti come il luogo dove abbiamo sempre vissuto, dove ci sono la nostra casa e le nostre relazioni; ma anche come un posto che ci pesa, con il quale stentiamo sempre più a identificarci.

Vista sotto questo profilo, prima ancora di essere pietre, opere, investimenti, servizi, la città è uno stato d’animo di cui è fondamentale tener conto. Per riuscirci, è indispensabile sviluppare una capacità di ascolto oggi invece carente soprattutto a livello delle istituzioni: ascoltare l’altro, l’avversario politico, il gruppo sociale, il cittadino, per capirne le ragioni, per mettersi in discussione, per raccogliere tutti i materiali possibili da utilizzare poi nella costruzione del progetto. Perché mai come oggi è indispensabile riuscire a elaborare una visione rinnovata dell’amministrazione partecipativa, che sappia prendere in considerazione le spinte sociali e culturali periferiche che mettono in discussione i vecchi assetti. E’ quello che vogliamo fare, per la nostra piccola parte, in questo spazio che mettiamo a disposizione di tutti. Chiediamo a chiunque sia interessato alla questione, al di là del ruolo che ricopre (cominciando dal più importante: quello di cittadino), di portare il proprio contributo a questo dibattito. Per coinvolgere tutti nella costruzione di una città a misura della persona anziché del Pil, delle relazioni anziché del reddito.

Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone, spiega Italo Calvino. Non lasciamo che il luogo del nostro esistere finisca sotto la sabbia.

 

 

Francesco Jori

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