
Una vista notturna di Pechino
Sempre più persone al mondo vivono in città. Il sorpasso della popolazione urbana su quella rurale è avvenuto nel 2007 e nel 2050 due persone al mondo su tre vivranno in aree urbane. A dirlo sono le proiezioni più affidabili e recenti sull’andamento dell’inurbamento, come quelle pubblicate qualche anno fa dal Dipartimento di Economia e Affari sociali delle Nazioni Unite. Per questo motivo, sapere come crescono le città può essere uno strumento importante per la pianificazione delle città e dei quartieri del futuro. A venire in aiuto oggi è un nuovo modello predittivo, messo a punto da un gruppo di ricerca delle Università di Bologna e Ca’ Foscari di Venezia, capace di riprodurre in modo accurato la distribuzione delle aree urbanizzate sulla base dei dati di luminosità notturna.
“Abbiamo dedicato la nostra attenzione a un’area geografica vasta, ma circoscritta attorno a Pechino, in Cina”, racconta Serena Ceola, che dello studio pubblicato sulla rivista scientifica Earth’s Future è la prima firma. Il periodo preso in considerazione nella ricerca è quello compreso tra il 1992 e il 2013: “un periodo per il quale avevamo a disposizione i dati sulla luminosità notturna anno per anno con una risoluzione al chilometro quadrato”.
In pratica, per un’area di mille chilometri quadrati attorno a Pechino, erano disponibili i dati sulla luminosità notturna con la regolarità necessaria per testare se il modello matematico messo a punto dal team era in grado di prevedere lo sviluppo urbano. “In quegli anni Pechino è stata protagonista di una crescita urbana molto pronunciata”, spiega Ceola. Quest’area è stata suddivisa in tanti quadrati con il lato di un chilometro e per ognuno di essi, anno per anno, è stato determinato se si trattasse di un'area urbanizzata o meno.

Immagine che mostra la luminosità (a destra) e la probabilità di presenza urbana (sinistra) (foto: Ufficio stampa Università di Bologna)
Questo è il punto in cui le cose si fanno più complicate. Infatti, ogni quadratino presentava il dato, ottenuto dalle immagini satellitari, della media della luminosità annua. “Noi abbiamo identificato, sulla base delle nostre ricerche e della letteratura scientifica sull’argomento, quale fosse la soglia dell’indicatore per dire se un’area era da classificarsi come urbana o meno”, commenta Ceola. I parametri a disposizione andavano da 0 a 63, “E trenta è stato individuato come valore soglia per indicare il passaggio da non urbanizzato a urbano”. In pratica, il valore pari a zero indica nessuna luminosità notturna e, mano a mano che questo sale, è un indicatore piuttosto affidabile della presenza stabile di esseri umani. Ossia di inurbamento.
Parametri influenti
Il modello messo a punto su questa base di prova, secondo quanto racconta Serena Ceola, ha dato prova di una grande precisione. Ma non è basato esclusivamente sui dati della luminosità. “Abbiamo estratto dalla letteratura e dalle conoscenze storiche cinque parametri che sono associati all’urbanizzazione”. Alcuni sono facili da comprendere, come la quota sul livello del mare e la pendenza del terreno: “a una maggior altitudine è associata una diminuzione delle temperature, mentre una pendenza troppo elevata è uno svantaggio in termini di sviluppo urbano”. Un altro elemento determinante per lo sviluppo urbano che si ricava dalle indagini storiche è la vicinanza a fiumi e sorgenti: i centri urbani tendono a svilupparsi in aree dove l’acqua sia facilmente accessibile. Per completare la lista dei parametri Ceola e il resto del team hanno “aggiunto anche i dati sulle precipitazioni e le temperature”: altri due fattori in grado di influenzare l’inurbamento.
Aiutare a immaginare
Con questo armamentario di parametri e sulla base dei dati, il modello matematico ha fatto un ottimo lavoro di predizione. Non è però ancora stato testato in altri contesti e, in questo senso, il lavoro di Ceola e dei suoi colleghi è soprattutto una dimostrazione dell’efficacia del metodo. “Che può essere adattato, comprendendo altri fattori che in questo lavoro non abbiamo preso in considerazione”, illustra Ceola, “come per esempio la presenza o meno di strade, segno inequivocabile della presenza umana in un determinato territorio”. E indicatore di una potenziale direttrice di sviluppo urbano.
In un contesto di crisi climatica, con l’aumento della frequenza di eventi estremi che possono mettere in grande difficoltà territori fragili come quelli urbani, uno strumento come quello messo a punto dalle due università potrebbe essere utilizzato per provare a meglio governare lo sviluppo urbano di città sempre più grandi, soprattutto in alcune aree del mondo. Il modello, infatti, potrebbe trovare applicazione dentro agli scenari climatici realizzati a livello locale o regionale, “ma potrebbe anche essere usato”, aggiunge Ceola, “per aiutare a prevedere in che aree la popolazione potrebbe concentrarsi nel prossimo futuro”.