SOCIETÀ
Climate City Contract: un laboratorio di innovazione per le città a zero emissioni

Le città occupano solo il 3% della superficie terrestre, ma sono responsabili di circa il 65% dei consumi energetici e del 70% delle emissioni che causano il riscaldamento globale. In Europa quasi il 75% della cittadinanza vive in aree urbane e si stima che nei decenni a venire questa percentuale potrebbe ancora salire. La transizione verso un modello di sviluppo più sostenibile passa obbligatoriamente per le città.
È per questo che l’Unione Europea ha lanciato l’iniziativa delle Net Zero Cities, cui hanno aderito 112 città di cui 9 italiane: Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino. Il traguardo, sulla carta ambizioso e sfidante, è quello di lavorare per una neutralità climatica già al 2030. L’obiettivo vero, ben più realistico, concreto e realizzabile, però è un altro, ossia quello di allestire un centinaio di laboratori urbani che elaborino strategie e traccino nuovi percorsi, che una volta rodati potranno venire copiati da tutti gli altri.
“Serve che queste città facciano da modello, siano un hub di sperimentazione e innovazione” ha detto Carlo Alberto Nucci, professore del dipartimento di energia elettrica e dell’informazione dell’Università di Bologna, che è intervenuto in qualità di referente nazionale presso il programma Horizon Europe della Mission 100 climate-neutral and smart cities by 2030, in un incontro organizzato dal Centro Levi Cases dell’università di Padova lo scorso 19 maggio, nella cornice del Festival dello Sviluppo Sostenibile.
Città sostenibili e smart
La drammatica alluvione che si è abbattuta sull’Emilia Romagna nel maggio del 2023 aveva provocato la maggior parte dei danni e delle vittime lontano dalle grandi città, ma aveva allagato anche la stazione di Bologna. “Due giorni dopo ho preso un treno e questo ci dice molto della resilienza delle nostre città” ha raccontato Nucci. A ottobre 2024 però la città e la stazione erano di nuovo sott’acqua “se me lo avessero chiesto nel 2023 avrei detto che sarebbe stato impossibile che accadesse di nuovo a distanza di un anno. E tutto questo ha un costo”. Il cambiamento climatico farà avvertire sempre di più il suo peso sulla società se non verrà messa in atto una convinta azione di mitigazione e adattamento, specialmente da parte delle aree urbane. “Un cambiamento è necessario e richiederà decenni”, ha sottolineato Nucci.
Nonostante la crescita della generazione di energia da fonti rinnovabili nell’ultimo decennio, circa l’80% dell’energia primaria consumata nel mondo continua a provenire da gas, petrolio e carbone. Le città producono emissioni dal consumo di energia impiegata per far funzionare i trasporti, per riscaldare gli edifici, per alimentare gli stabilimenti industriali. Le emissioni cittadine dipendono anche dal modo in cui vengono utilizzati il suolo e le aree verdi e da come vengono gestiti i rifiuti: tutte queste sono le cosiddette emissioni dirette (o scope 1). Esistono poi le emissioni indirette (scope 2) che riguardano soprattutto l’energia elettrica che viene consumata in città, ma che magari viene prodotta altrove da una centrale a gas.
Ci sarebbero poi anche le emissioni di filiera (scope 3), che però sono difficili da calcolare: si tratta per esempio di quelle prodotte un dispositivo elettronico che utilizziamo ogni giorno, come un computer o uno smartphone, la cui fabbricazione magari è avvenuta in Asia. Rientrano in questa categoria anche i rifiuti prodotti dalle città che però vengono smaltiti altrove.
Le città italiane che partecipano all’iniziativa europea hanno firmato un Climate City Contract (CCC), che pur non avendo valore legale le impegna a mettere in campo competenze e risorse per abbassare soprattutto le emissioni di tipo 1 e 2, che nelle aree urbane vengono prodotte in larga parte, per circa i tre quarti del totale, dal settore degli edifici, e in particolare dal gas delle caldaie, seguito da quello dei trasporti. Padova ad esempio emette ogni anno circa 1,3 milioni di tonnellate di CO2: 900.000 vanno iscritte agli edifici, 300.000 ai trasporti, 50.000 ai rifiuti.
La riduzione di queste emissioni secondo Nucci non va vista come un costo, ma piuttosto come un investimento. “Il bando europeo metteva inizialmente a disposizione 360 milioni di euro per un centinaio di città, che significa circa 3,6 milioni a città, una cifra che da sola non può bastare” spiega Nucci. “Serve impegno e volontà da parte delle città: solo Bologna ha impegnato 11 miliardi di euro” per la realizzazione del suo piano di decarbonizzazione, che al contempo è un piano di digitalizzazione.
Oltre alla neutralità climatica la missione europea punta a rendere le città smart: “L'interconnessione tra dispositivi e infrastrutture è fondamentale” rimarca Nucci, ed è soprattutto un passaggio indispensabile per efficientare il consumo energetico degli edifici. Ma significa anche avere “un’amministrazione cittadina più reattiva e sicura, che fa ampio uso dei big data, dell’Internet of Things e che rende accessibili e aperti i set di dati. Questa innovazione non è solo di natura tecnologica, ma anche sociale e culturale, oltre che giuridica”.
Padova e le comunità energetiche rinnovabili
Lo scorso 7 maggio a Vilnius, in Lituania, altre 39 città hanno ricevuto l’etichetta del CCC, la Eu Mission Label, che certifica la buona progettualità dei piani presentati all’Europa e che consente alle città di partecipare al Climate City Hub Capital, una piattaforma che permette l’accesso ai finanziamenti della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), la quale mette a disposizione fino a 2 miliardi di euro in forma di prestiti.
Ad oggi sono 92 le città che hanno ricevuto la EU Mission Label e Padova è tra quelle che l’ha ottenuta proprio a inizio maggio: “è l’inizio di una sfida e ora dobbiamo correre” ha detto Diego Benvegnù, energy manager della sezione ambiente e territorio del Comune di Padova. “Non è un lavoro che il Comune può svolgere da solo”. Il compito più importante probabilmente è il coinvolgimento degli stakeholder: sono 36 quelli che finora hanno sottoscritto il Climate City Contract della città di Padova.
Tra le azioni strategiche previste dal piano, Padova ha inserito anche le Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (CERS). Esistono già iniziative dal basso, come la comunità Guizzo d’Energia, ma si sta lavorando anche alla costituzione di una CER che coinvolge il Comune, l’Università, la Camera di Commercio, la Provincia e la Fiera di Padova.
“Il nostro percorso nasce a inizio 2023, quando avevano aderito Unipd, le parrocchie di Padova, e la maggior parte di associazioni di categoria” spiega Benvegnù. “Poi però il decreto ministeriale CACER sulle comunità energetiche ha stravolto il piano iniziale della bozza di decreto, che aveva creato altre aspettative”.
Ad esempio sono state introdotte una serie di regole tecniche, in capo al GSE (Gestore dei servizi energetici), e la necessità di avere un referente della CER: “una sorta di vero e proprio manager che si assume responsabilità civili e penali”. L’alfabetizzazione energetica delle persone comuni non va oltre quello che vedono in bolletta e spesso il linguaggio delle CER è ancora incomprensibile per il cittadino medio. “Nel panorama giuridico societario non esiste qualcosa che calzi il caso della CER. Questo ha creato sfiducia nei cittadini. Oltre a questo, la tariffa incentivante da sola non può bastare a coinvolgere i cittadini nell’unirsi a una comunità energetica”. Per tutte queste ragioni, secondo Benvegnù la leva su cui bisogna puntare per il coinvolgimento della cittadinanza è quella sociale.
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Grazie anche a uno studio di psicologia sociale condotto dai ricercatori dell’università di Padova sull’accettabilità delle comunità energetiche, secondo Benvegnù “la CER non è il fine ma un mezzo di un’innovazione sociale, che deve essere anche un’innovazione dell’amministrazione, che non è facile da fare, perché la legislazione non la favorisce”.
Tra i progetti che Padova intende realizzare c’è l’attivazione di uno sportello energia, volto proprio ad affiancare i cittadini non solo nelle pratiche relative alle CER, ma anche per sostenere le attività di riqualificazione energetica degli edifici, che da sole si prendono più della metà (3,3 miliardi di euro, per il 20% degli edifici) delle spese stimate per ottemperare agli impegni del Climate City Contract di Padova entro il 2030, che complessivamente ammontano a quasi 6 miliardi di euro.

Un lenzuolo sui tetti di Padova
In Italia ci sono circa 15 milioni di edifici. Il Veneto ne ha circa un milione, il 90% dei quali residenziali. “Quasi l’80% è stato costruito prima degli anni Novanta, con poca attenzione al risparmio energetico” sottolinea Angelo Zarrella, professore del dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Padova. “C’è quindi un enorme potenziale di riduzione dei consumi di energia primaria e delle emissioni”.
I dati di Enea di marzo 2025 dicono che in Veneto hanno usufruito del Superbonus 60.000 edifici, di cui circa un sesto condomini. A fronte della spesa ingente per le casse dello Stato, i numeri relativi alle riqualificazioni e all’abbassamento delle emissioni restano esigui. Quello che è mancato è stata una programmazione ex ante che consentisse di capire come rendere il più efficaci possibili gli interventi.
“Un edificio è un’entità complessa, fatta di impianti e utenti” spiega Zarrella. “Per studiarlo non posso costruire in laboratorio un edificio in scala e fare analisi. Bisogna invece usare software di simulazione. Ai miei studenti dico sempre che un modello è come un lenzuolo che si adagia sull’oggetto che si vuole modellare: il Cristo Velato di Napoli è il modello perfetto, perché il lenzuolo si adagia talmente bene che non lo distinguo dal corpo che ricopre. Ma immaginate un lenzuolo che si cala sul Santo di Padova: non coglierà tutti i dettagli”.
Il BETALab di Zarrella dal 2019 è passato da modellare singoli edifici, come Palazzo Bo, a intere porzioni urbane, “perché occorre dare strumenti a chi prende decisioni. Ma per crearne di affidabili servono dati di input che siano di buona qualità: questo è il punto più critico della creazione di un modello. Tutti gli edifici ad esempio hanno attestati di prestazione energetica (APE), ma ammesso che siano tutti accessibili, bisogna comunque verificare se sono riportati in modo corretto”.
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Nel 2020 ANACI Padova (Associazione nazionale amministratori condominiali e immobiliari) ha coinvolto gli studenti dell’istituto superiore Belzoni nella geolocalizzazione dei consumi di gas di 2500 condomini. “Questa è un’informazione chiave per chi fa ricerca: posso vedere l’impatto sui consumi del comportamento degli utenti, e quello delle condizioni climatiche esterne” spiega Zarrella. “Abbiamo stipulato convenzioni e raccolto anche i dati degli anni successivi. Abbiamo verificato il lavoro degli studenti, per 1000 edifici, ma lo faremo per tutti. Una volta validati i dati abbiamo calibrato il modello”, che una volta funzionante ha permesso di generare diversi scenari di intervento, consentendo di valutare costi ed efficacia. “Così possiamo capire ad esempio se è più conveniente fare tanta riqualificazione su pochi edifici, o poca riqualificazione su tanti edifici”.
È proprio in questa collaborazione tra ricerca, amministrazione e associazioni di categoria che va cercata la più importante ragion d’essere del Climate City Contract: l’apertura di canali di dialogo che genera innovazione e che costruisce nuovi, futuri standard.