SOCIETÀ
Corruzione, il “mondo di mezzo” dell’Italia

Foto: Alberto Cristofari/A3/contrasto
Mafia capitale, Expo 2015, Mose. Tanto per citare tre casi giudiziari, eclatanti e recenti, che trattino di un male italiano (ma non solo: nel nostro paese se ne parla solamente molto di più, forse combattendolo con meno mezzi), ben radicato in quel “mondo di mezzo” ai confini fra amministrazione e criminalità citato in alcune intercettazioni dell'inchiesta romana.
E se diversi rapporti additano l’Italia come il paese con il grado di corruzione percepita più elevato (corruption perception index 2014: livello 43 su 100) o come il paese in cui una tangente pagata ha uno dei più alti tassi di ritorno per la risoluzione del problema (l’elaborazione del global corruption barometer dà all’Italia una percentuale di risoluzione del 69%, a pari merito con la Grecia e al secondo posto in classifica dopo l’Estonia), il problema trova le sue radici nel modo sistemico in cui il fenomeno si è inserito negli affari pubblici e privati.
Per la professoressa Patrizia Marzaro, direttore del dipartimento di diritto pubblico, internazionale e comunitario dell’università di Padova, “potrebbe essere troppo tardi per colpire un sistema di deresponsabilizzazione ben diffuso nella pubblica amministrazione”.
D’altra parte, anche le armi per combattere la corruzione corrono il rischio di essere spuntate in partenza. Inasprire le leggi, come sembrerebbe espressa intenzione dal governo Renzi, potrebbe non essere la direzione giusta da seguire: “L’entità della pena - spiega ancora Marzaro - non frena la realizzazione dei fatti”, mentre la pervasività del fenomeno comporta una vera e propria distorsione sistemica del mercato italiano e della contrattazione nella pubblica amministrazione.
A prescindere dalle leggende metropolitane secondo cui la corruzione in Italia costerebbe 60 miliardi all’anno, rimane un dato di fatto che il sistema pubblica amministrazione-cliente-corruttore (mutuabile anche per il privato) si sia rafforzato nel tempo superando tutti i tentativi di combatterlo e abbia modificato le modalità con cui agisce.
Una volta c’era Tangentopoli, ora c’è un policentrismo della corruzione. Già Dante aveva destinato all’Inferno i barattieri (canti XXI e XXII, Divina Commedia), colpevoli di aver usato le loro cariche pubbliche per arricchirsi attraverso la compravendita di provvedimenti, permessi e privilegi. E proprio i partiti politici erano la cabina di regia, ricorda il professore dell’università di Pisa, Alberto Vannucci, “della corruzione svelata poi nell’inchiesta di Mani pulite”. Ma ora, in una logica che segue lo stesso principio nel pubblico e nel privato, “gli attori del reato - prosegue Vannucci - sono molteplici in una rete sistemica che disciplina i vari rapporti ai diversi livelli”.
C’è sempre il politico che funge anche da corruttore quando agisce nella cosiddetta compravendita dei voti, ma in mezzo si sono inseriti i faccendieri, “persone con un elevato ruolo di credibilità e affidabilità che mediano e trattano tra i diversi attori - spiega ancora Vannucci - imprenditori a loro volta legati in cartelli fino ad arrivare alla criminalità organizzata”. Mafia, per il docente di Pisa, che gioca un ruolo fondamentale nel “disciplinare” l’ampia rete di corruzione. Che, tralasciando gli episodi piccoli, quasi da “tutti i giorni” come la classica “patente farcita” da dare al poliziotto di turno, mette in atto fenomeni centripeti o centrifughi a seconda di come si strutturi il reato. Si va dai casi in cui il centro di comando è accentrato e praticamente unico come si sta scoprendo essere il sistema di mafia capitale fino a casi in cui le gerarchie sono molteplici così come le aree di competenza: Expo 2015 e sistema Mose con faccendieri, imprese e fondazioni incaricati a diversi livelli di spartire appalti, lavoro e bustarelle.
E la rete vivrebbe anche grazie alle eredità dei precedenti scandali come Tangentopoli: “L’eredità della corruzione passata - conclude Vannucci - gioca un ruolo fondamentale tramandando regole sommerse che si rafforzano di volta in volta con intermediari che più risultano implicati in inchieste passate più assumono fama di garanzia di successo”. Il sistema, appunto. La legge e chi la applica arrivano a scoprire i fatti quando il danno è stato spesso già fatto. Come intervenire? “Ci sono lacune legislative che devono essere colmate in fretta”, dice Vannucci, affiancate da interventi volti a sanzionare le pratiche politiche che poi portano alla corruzione, come la realizzazione di codici etici per gli amministratori.
Forse palliativi per un problema così radicato, e con un monito che arriva dal passato: attenzione a far proliferare troppe leggi. Lo diceva anche Tacito negli Annales (Libro III): “Corruptissima re pubblica plurimae leges”. Moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto.
Mattia Sopelsa