SOCIETÀ

Dall'uscita dall'euro solo sciagure

«Non voglio nemmeno prendere in considerazione che l’Italia possa uscire dall’euro: si tratterebbe di una sciagura su tutta la linea, con costi enormemente superiori a possibili benefici»: è netta la posizione di Bruno Maria Parigi, docente di di economia politica dell’Università di Padova, al solo sentir parlare di questa eventualità.

Oggi qualcuno dice che sarebbe meglio recuperare la sovranità monetaria.

Chi sta parlando di questa possibilità cerca a mio avviso un consenso facile e immediato, capitalizzando sul malcontento generato dalla crisi. In realtà ci sarebbero conseguenze drammatiche. In particolare l’Italia ha un debito pubblico enorme, denominato in euro. La “nuova” lira si svaluterebbe sicuramente rispetto al cambio di 1.936,27 contro 1 euro, e andremmo quindi incontro a un default del debito pubblico italiano. Alcuni stanno dicendo che dovremmo sostanzialmente cercare di non pagare più i nostri debiti, ma questo significherebbe tagliare la possibilità di finanziarci sui mercati, senza parlare degli effetti che avrebbe sull’economia europea e mondiale il fallimento di un’economia come quella italiana. Salterebbero l’euro e, probabilmente, l’intera costruzione europea.

Eppure c’è chi sta considerando questa opzione.

Un conto è l’uscita dall’euro della Grecia, che è una realtà molto più periferica. In questo caso lo shock c’è stato e in parte è già stato assorbito: anche se uscisse dall’euro non credo che ci sarebbero cataclismi. La vera frontiera adesso è in Spagna, che ha le banche in crisi e inoltre grosse difficoltà a contenere il deficit. Il problema in questo caso viene dalla struttura quasi federale, dove le comunità autonome hanno grosse capacità di spesa ma non corrispondenti capacità di finanziarsi. Poiché nella periferia c’è un problema di consenso non si riesce a tagliare le spese regionali come si dovrebbe. Per giunta la Spagna ha un business model fortemente polarizzato sul turismo e sull’edilizia: quando questi due settori sono entrati in crisi, il paese si è trovato in grossa difficoltà.

Cosa accadrebbe in un paese che uscisse dall’euro?

Se malauguratamente avvenisse, tutto accadrebbe in un fine settimana. Un venerdì sera, a mercati chiusi, sarebbero bloccati tutti i sistemi di pagamento, a parte i contanti: conti correnti, anche online, bancomat e carte di credito. Tutti i conti bloccati sarebbero poi ridenominati nella nuova moneta: nel weekend lo stato sostituirebbe le banconote, oppure apporrebbe un timbro indelebile che sancirebbe il passaggio alla nuova moneta. Inutile dire che la nuova valuta sarebbe immediatamente svalutata. Il problema è che operazioni del genere vanno organizzate per tempo, e quindi le notizie trapelerebbero inevitabilmente. Giorni prima quindi la gente inizierebbe a ritirare i depositi: è quello che sta succedendo in Grecia e in parte anche in Spagna. Si tratta di uno degli eventi più drammatici che possano accadere, anche perché tende ad autoalimentarsi. In generale l’operazione si risolverebbe in un generale impoverimento ben peggiore anche di quello che del 2009, che ci è costato il 5-6% del Pil.

Ci sarebbero per lo meno dei benefici per l’industria?

Nel settore manifatturiero ci potrebbe essere un piccolo beneficio per le esportazioni. Bisogna però considerare anche altri fattori, come il crollo del potere d’acquisto e l’esplosione della bolletta energetica, che nel caso dell’Italia costa circa 70 miliardi di euro l’anno. Già oggi inoltre le imprese italiane soffrono di un maggior costo del credito, che con l’uscita dall’euro senza dubbio salirebbe ulteriormente. In realtà l’Italia nei decenni passati ha già effettuato diverse svalutazioni competitive: si tratta di un giochetto che ci ha fatto galleggiare per qualche tempo nel mercato globale, ma che non ha portato nel lungo periodo vantaggi sostanziali alla nostra industria. I problemi sono altri, a cominciare dalla produttività e dall’eccessivo peso dello Stato nell’economia.

Quali effetti avrebbe l’uscita dalla moneta unica per chi ha contratto un mutuo per la casa?

Bisognerebbe innanzitutto vedere se il debito rimarrebbe in euro oppure se verrebbe ridenominato nella nuova moneta. Nel primo caso, l’utente vedrebbe praticamente aumentare a dismisura quanto deve alla banca. Nel secondo caso il cerino rimarrebbe in mano all’istituto di credito, ma solo apparentemente. Le banche infatti si finanziano in euro, sia con la Banca Centrale Europea che con gli altri strumenti finanziari: non potrebbero certo vedere i loro crediti dimezzati senza andare incontro al fallimento. In ogni caso sui mutui con tasso variabile i tassi schizzerebbero verso l’alto.

Insomma una catastrofe su tutti i fronti. Ancora possibile?

Sono convinto che il crollo dell’euro non convenga a nessuno, nemmeno alla Germania che ha un’economia fortemente concentrata sul manifatturiero e sull’export: a chi venderebbe un domani i suoi prodotti? È vero che da tempo molte industrie tedesche, ad esempio la Siemens, hanno preso a produrre e a vendere i loro prodotti direttamente in oriente; il mercato cinese è però ancora lontano dalle dimensioni di quello europeo. Questo non significa che la fine dell’euro, ancorché assurda da un punto di vista economico, non sia possibile.

Pensa che alla fine si troverà una soluzione?

È ovvio che la Germania e il Fondo Monetario internazionale sono restii a pagare debiti contratti da altri; i paesi debitori d’altra parte hanno paura degli effetti di una politica di austerity troppo pesante. Il pericolo può venire dal fatto che tutti si impegnino in un tiro alla fune guardando solo ai propri interessi, perdendo di vista in questo modo l’interesse generale. Un’escalation della crisi potrebbe portare a un risultato che alla fine nessuno vuole e che va contro gli interessi di tutti. È quello che è successo ad esempio con lo scoppio della prima guerra mondiale, e a questo riguardo suggerirei la lettura del libro “I cannoni d'agosto”, di Barbara Wertheim Tuchman. Voglio però ancora ribadire che a mio avviso questo non succederà: credo, spero che si troverà un accordo.

L’ultimo vertice europeo del 27 e 28 giugno ha introdotto cambiamenti sostanziali?

L’incontro ha effettivamente aperto prospettive nuove, sia nella vigilanza bancaria che nel meccanismo di intervento del fondo salvastati. Significa che c’è una la volontà politica e questo non è poco, i dettagli degli interventi non sono però ancora venuti fuori e l’aspetto operativo è decisivo, come hanno subito dimostrato le prese di posizione della Finlandia e dell’Olanda. Bisogna poi capire che vigilanza bancaria era una delle poche prerogative rimaste alle banche centrali: non è ancora chiaro se queste in breve tempo potranno e soprattutto vorranno spogliarsene per concentrarla nella Bce.

 

Daniele Mont D'Arpizio

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