SOCIETÀ

Un frigo "social" contro lo spreco

Attraverso il computer condividiamo tutto, perché non condividere anche il cibo? In Germania, dove da anni il tema dello spreco alimentare è sempre più sotto i riflettori, si moltiplicano – complici le nuove tecnologie – le iniziative volte a ridurre gli sprechi e moltiplicare le possibilità di riutilizzo e di condivisione. Esperimenti particolarmente attivi a Berlino, ma diffusi in tutto il paese.

Fra questi, mettere a disposizione dei "frigoriferi collettivi", in spazi aperti al pubblico, che vengono riforniti da persone, associazioni, ristoranti, esercizi commerciali che si trovano ad avere un eccesso di vivande che non riescono a consumare. Il cibo rimasto da un party, un matrimonio o un'inaugurazione, per esempio, o una spesa eccessiva. Un frigo da svuotare prima di un viaggio, il surplus di una trattoria. Nella città i "punti di scambio", per metà dotati di frigoriferi e per metà di semplici ripiani ove mettere prodotti meno deperibili, sono ormai oltre 100, e sono solo una delle componenti di Foodsharing.de, una piattaforma Internet, frequentata da 55.000 utenti regolarmente, che offre ai membri la possibilità di connettersi con gli altri partecipanti e condividere il cibo in eccedenza. Il grosso della condivisione avviene infatti attraverso il rapporto diretto fra gli iscritti.

A rendere popolare la pratica ha contribuito un documentario di alcuni anni fa, Taste the waste del regista e documentarista Valentin Thurn, dedicato al fenomeno della "caccia" alla componente ancora commestibile dei rifiuti di supermercati, mercati alimentari, mense e ristoranti. Thurn non pensava certo, iniziando le riprese, di dare il via ad una "rivoluzione alimentare", ma quando vide che una gran quantità di cibo perfettamente consumabile finiva nella spazzatura, provò una gran rabbia e, da lì, nacque l’idea di condividere il cibo su internet fondando Foodsharing.  

Per motivi di sicurezza, Thurn e il suo team hanno fissato alcune regole di base vietando prodotti freschi e deperibili come carne o pesce, e stabilendo in linea generale di condividere solo quegli alimenti che avrebbero mangiato loro stessi. Secondo le leggi tedesche che regolano la distribuzione di cibo, la condivisione alimentare tra gli individui è perfettamente legale, ma i frigoriferi di condivisione sono posti sotto stretto controllo per garantire il rispetto delle norme igieniche e di conservazione degli alimenti. Nonostante problemi riguardanti la scortesia o l’avidità dei membri, nessuno finora si è lamentato di essersi sentito male. Tuttavia, 12 siti simili sono stati chiusi, perché nessuno supervisionava o poteva documentare la provenienza del cibo come invece la legge prevede.

Ma le iniziative si moltiplicano. Georg Kaiser, amministratore delegato di Bio Company, una catena di mercati biologici, ha accolto con favore l'opportunità di ridurre i rifiuti della sua azienda mettendoli a disposizione attraverso internet. "Per me, personalmente, è una questione di rispetto per le persone e la terra", ha detto. "Anche se non è vendibile, è ancora buon cibo".

Sandra Teitge, uno dei fondatori della Dinner Exchange Berlino, che fornisce pasti a base di prodotti lasciati dai negozi o mercati degli agricoltori invenduti a fine giornata, nota che la sovrabbondanza non ha portato solo allo spreco, ma anche alla mancanza di creatività e flessibilità. Essendo lei stessa cresciuta nella Berlino Est, dove non c’era molta scelta, si è abituata a scegliere e mangiare solo cibi sani.

Creatività e ingredienti biologici sono alla base del successo di questo progetto, che sul suo sito si definisce una TAZ (sigla che sta per Temporary Autonomuous Zone ovvero "zona temporaneamente autonoma", una denominazione risalente al movimento degli Squat degli anni Novanta) e rifornisce sempre più iniziative culturali, vernissage e party nella capitale,

Sempre a Berlino ha aperto quattro mesi fa Culinary Misfits, un bar che affronta il problema degli scarti alimentari lavorando direttamente con gli agricoltori per procurarsi quei prodotti che non sono commercializzabili a causa delle dimensioni o di altre caratteristiche commerciali (troppo grossi, troppo piccoli, superficialmente non perfetti) per dimostrare che sono ugualmente buoni.

"Quello che la gente compra, non è naturale – dice Lea Brumsack, una dei proprietari del bar – È possibile acquistare una mela di forma perfetta dalla Nuova Zelanda al supermercato, ma appena fuori Berlino gli alberi sono pieni di mele nessuno che nessuno raccoglie".

La condivisione alimentare ha permesso di evitare che 1.000 tonnellate di cibo finissero nei rifiuti, ma considerando lo spreco a livello nazionale questa è solo una piccola parte. La vera soluzione sarebbe cambiare il modo di pensare.

Eleonora De Franceschi

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