
Human Library Toscana. Foto da Facebook
Migrante. Ex giocatore d’azzardo. Figlio maltrattato. Transgender. C’è un catalogo e ci sono dei titoli che variano di volta in volta, a seconda della città e del contesto: i visitatori consultano le varie possibilità, scelgono il libro che desiderano leggere e lo prendono in prestito per un periodo di tempo limitato. Dopo la lettura, lo restituiscono e, se vogliono, ne prendono in prestito un altro. Sebbene ne abbia tutte le sembianze, quella descritta non è una biblioteca qualsiasi, perché qui i libri sono persone. In larga parte hanno alle spalle esperienze di discriminazione, stigma, o pregiudizi. Portano con sé un vissuto di esclusione sociale che condividono con chi li ascolta. Lo scopo è spingere i lettori a riflettere su visioni e convinzioni diffuse, con la speranza di influenzare positivamente i comportamenti e le percezioni della società. Le living library o human library hanno un storia ormai ventennale e sono un modello diffuso in tutto il mondo, adottato anche in Italia. Ne abbiamo ripercorso le origini e fatto il punto con Sandra Gambassi, presidente dell’Associazione culturale Pandora.
Alle origini del metodo
La prima biblioteca vivente fu organizzata nel 2000 dai fratelli Ronni e Dany Abergel e dai loro colleghi Asma Mouna e Christoffer Erichsen, componenti della ong Stop the violence, in occasione del Roskilde Festival in Danimarca. L’anno successivo l’iniziativa approdò al Sziget Festival di Budapest, uno dei più grandi festival musicali d'Europa, dimostrando che la metodologia poteva superare confini, culture e società ed essere adottata in contesti e ambienti diversi. Così nel 2003 la living library entrò a far parte del Human Rights Education Youth Programme del Consiglio d'Europa, nella convinzione che “i diritti umani non possono essere difesi e promossi solo dai testi giuridici”, ma è necessario sensibilizzare il grande pubblico sulla loro importanza per il tessuto delle democrazie. Fin dai primi anni il Consiglio rese disponibile una guida (Don't judge a book by its cover! The Living Library Organiser's Guide 2011) con cui intendeva fornire supporto e indicazioni agli organizzatori di biblioteche viventi.
Poco più tardi, nel 2008, fu creata infine la Human Library Organisation (Hlo) da alcuni degli organizzatori del primo evento a Roskilde, con l’obiettivo di aumentare il rispetto per la diversità e i diritti umani, promuovendo l’adozione del nuovo metodo e unendo organizzatori attivi in tutte le parti del mondo. Oggi sono più di 80 i Paesi in cui sono state organizzate biblioteche viventi, nell’ambito di musei, festival, conferenze, scuole, università e settore privato. I potenziali organizzatori, che dovrebbero innanzitutto frequentare un corso offerto dall’organizzazione, possono provenire da ambienti diversi: alcuni eventi di alta qualità sono organizzati da persone che lavorano in grandi istituzioni, educatori sui diritti umani, attivisti dei diritti civili ma anche bibliotecari oppure gruppi di giovani e volontari. “È un movimento globale per il cambiamento sociale – scriveva Dorota Anna Molodynska-Kuntzel della Hlo in un contributo del 2018 –, questo significa che tu puoi far parte di una comunità di centinaia di organizzatori e volontari in tutto il mondo, che condivide gli stessi valori e rispetta le regole, il concetto e la metodologia della Human Library”.
E Ronni Abergel, uno dei fondatori, in un’intervista aggiungeva: “Molte persone hanno paura perfino di conoscere nuova gente. Come pensi di poter incontrare uno che ha corni, tatuaggi e anelli dappertutto? Richiede molto sforzo per alcuni. Molti devono trascendere le proprie regole. Quindi credo che quello che offriamo sia una vera innovazione per la natura umana. O se non un’innovazione è comunque qualcosa che ti fa progredire, che ti fa uscire da te stesso e dalla tua comfort zone”.
Living library in Serbia - Council of Europe Office in Belgrade
L'esperienza italiana
Anche in Italia ormai da tempo vengono organizzate human library. Tra queste la Human Library Toscana, coordinata da Paolo Martinino, è una delle realtà più strutturate: è attiva in modo continuativo da dieci anni ed è nata come progetto dell’Associazione culturale Pandora che oggi costituisce un punto di riferimento nazionale per la realizzazione di percorsi di questo tipo. La presidente, Sandra Gambassi, spiega a Il Bo Live che non esiste attualmente una mappa delle città impegnate in attività di questo tipo, perché le esperienze sono eterogenee e discontinue.
Proprio per mettere in comunicazione le diverse realtà esistenti nel nostro Paese, nel 2017 su proposta dell’Associazione Pandora si tenne il primo convegno su questi temi, nell’ambito delle iniziative di “Pistoia capitale della cultura”. Martinino e Gambassi raccontano che non fu semplice individuare le human library presenti in Italia, a causa della “spontaneità” della loro attivazione e perché solo in alcuni casi veniva richiesto il riconoscimento all’organizzazione internazionale cui spetta il compito di censirle. In quell’occasione ci si concentrò dunque su quelle che non presentavano carattere occasionale, ma che offrivano invece un’attività continuativa radicata sul territorio e se ne individuarono otto: oltre alla Human Library Toscana, la biblioteca vivente San Giorgio di Pistoia; ABCittà - Milano che negli anni ha organizzato percorsi di biblioteca vivente in città come Milano, Roma, Lecce, Trento, e che tuttora continua la sua attività (a Genova in questi mesi, per esempio); la biblioteca vivente - Fondazione San Zeno di Verona; la biblioteca vivente di Seriate a Bergamo e quella di Treviso; la Human Library Associazione Giosef - Unito di Torino; la Human Library Sicilia a Palermo. Questa la fotografia al 2017: alcune di queste iniziative proseguono, di altre invece non si trova traccia recente in rete.
Nonostante questa eterogeneità, presente non solo in Italia ma anche all’estero, Martinino e Gambassi osservano: “Quando ogni biblioteca vivente, ogni human library, apre le sue porte, crea uno spazio di dialogo, di accoglienza, di comprensione e di ascolto reciproco che rappresenta, comunque, un piccolo grande passo, un gesto forte, perché offre alle persone l’occasione di scegliere di dedicare trenta minuti del proprio tempo a leggere un libro guardandolo negli occhi e generando inevitabilmente un cambiamento dentro se stessi e nella società”.
Un processo di coinvolgimento delle comunità
“Il nostro approccio – spiega Gambassi a Il Bo Live –, come vogliono le linee guida internazionali, è quello di non limitarci a eventi occasionali, ma di creare un processo di coinvolgimento della comunità. Quando veniamo chiamati ad avviare una human library in un territorio, proponiamo degli incontri informativi aperti ai cittadini e alle associazioni. Chi lo desidera poi può continuare con gli incontri di formazione per libri viventi, collaborare nella veste di volontario, o ancora venire all'evento finale come lettore”. Questo metodo aiuta a rendere la biblioteca vivente più radicata nel territorio e garantisce che i libri siano espressione delle realtà locali, perché proprio in queste realtà chi racconta la propria storia ha vissuto il disagio.
Approfondisce la presidente: “Le persone interessate seguono un percorso di formazione, perché essere un libro vivente richiede la capacità di sostenere un dialogo aperto e di raccontare la propria esperienza in modo sostenibile per se stessi innanzitutto. Non basta narrare la propria storia: è un dialogo in cui il lettore può fare domande e approfondire aspetti inattesi. L'incontro tra libro e lettore genera una terza storia, un’esperienza unica che non si ripete mai uguale”.
Gambassi spiega inoltre che una human library non dovrebbe mai concentrarsi su un solo tema, ma rappresentare la diversità, includendo libri viventi che raccontino storie di migrazione, disabilità, genere e pregiudizi di vario tipo. “Questo è un punto che in Italia spesso è stato trascurato, sviluppando i progetti in modo più creativo rispetto alle linee guida internazionali”.
Per concludere, chiediamo alla presidente quale sia il valore aggiunto delle human library. Risponde senza esitazione: “L'empatia. L'incontro tra libro vivente e lettore crea un rapporto diretto e personale, molto diverso da una conferenza o da una lettura tradizionale. Il lettore non è passivo, può fare domande, esprimere dubbi e condividere esperienze. Questo scambio abbassa le barriere, fa cadere i pregiudizi e crea un momento di ascolto autentico”.